martedì 29 dicembre 2015

remember this moment

Perdere una persona cara nel periodo delle feste e' davvero una doppia fregatura. E' che c'e' tutta questa impazienza di provare un qualche tipo di felicita', anche solo un surrogato, ma non e' cosi' che funziona, ci vuole tempo a riprendersi e chi dice di no mente. I primi giorni forse l'unica cosa che puoi fare e' mettere insieme i pezzi cercando in ogni modo di comprendere determinati avvenimenti e parole che in fondo noti e osservi per la prima volta.
L'eredita' materiale che Ms. Guorton mi ha lasciato prima di andarsene consiste in una serie di libri per bambini e giocattoli che aveva archiviato nel giro di molti anni per i suoi ipotetici nipotini mai nati. Ne ho voluti mettere un paio sotto all'albero per sentirla un po' presente, ancora una volta. Cosi', la notte della Vigilia mentre impacchettavo, ho scoperto che per qualche strano motivo in mezzo a tutti quei giocattoli c'era una cornice d'argento anche quella nuova, ancora nella scatola. La cornice riporta un'incisione:

Remember this moment, ricorda questo momento.

Per qualche incomprensibile ragione, la stessa notte, mi e' tornata in mente una piccolissima cosa successa l'estate scorsa. Ero in un museo che celebrava una tribu' di nativi americani in Nuovo Messico. C'era un video che veniva mandato a ciclo continuo. A un certo punto chiedevano a una giovane donna di quella tribu' perche' si stesse impegnando per tramandare quelle tradizioni e lei dava una risposta splendida. 

Che le storie sono come persone, che hanno un cuore che batte e se smetti di raccontarle muoiono. 

Ecco, ho pensato che anche le persone sono come le storie e solo se smetti di raccontarle e di ricordarle, muoiono.

lunedì 21 dicembre 2015

pull gently and it won't jam

Qualche giorno fa Ms. Guorton ci ha lasciato. Ho passato le ultime settimane cercando di capire cosa le stesse succedendo, ma non e' stato semplice. Lei non riusciva piu' a rispondere o a parlare al telefono. Lasciavo messaggi nella sua segreteria, ma nessuno mi richiamava. Ogni tanto riuscivo a mettermi in contatto con qualche familiare che tagliava corto e, con grande gentilezza, mi diceva sempre che stava bene. Io rispondevo solo va bene, per favore dille che le voglio bene e che penso a lei tutti i giorni. Qualcuno mi ha chiesto se mi faccia soffrire non averle potuto dire addio. Assolutamente no. Credo che un addio ci sia stato e che lei non volesse condividere con me questa parte del suo percorso. Rispetto questo suo pudore che per altro e' perfettamente coerente con il modo in cui ha vissuto e ha impostato anche il nostro rapporto. 
Certo, qualche volta mi sono chiesta il perche' di questa esclusione da parte delle persone che sono subentrate ad aiutarla nella fase finale della sua vita. Potrebbero esserci varie spiegazioni. Forse mi dicevano che stava bene per questo bizzarro spirito combattivo/ottimistico americano che non fa ammettere un risultato negativo nemmeno di fronte all'evidenza. Forse non avevano voglia di parlare e lo posso capire benissimo. Forse non sapevano chi ero e quanto sia stata vicina a Ms. Guorton negli ultimi anni. Io proprio non lo so, fatto sta che bene non stava. Uno che sta bene non sta morendo, per la miseria. 
Noi espatriati formiamo spesso delle bellissime famiglie elettive per forza di cose, ma per la prima volta mi sono resa conto di quanto questi legami siano fragili di fronte alla legge e alle situazioni piu' estreme. Forse chi e' contrario ai diritti civili per le coppie omosessuali, non si e' mai dovuto trovare ad affrontare una cosa simile. Ma non divaghiamo.
E' dura. E' dura pensare che una persona che faceva parte del mio quotidiano, una persona con cui avevo delle splendide conversazioni e con cui ridevo non c'e' piu'. E' dura pensare che una persona cosi' piena di vita, che ha amato la vita fino all'ultimo momento, questa vita non ce l'abbia piu'. E' dura anche dover dire a Joe che la sua maestra preferita, non verra' piu' a trovarci. Sono passati parecchi giorni e non sono ancora riuscita a trovare le parole, ma lo faro' perche' dentro di me, c'e' la netta sensazione che sia giusto farlo questo sforzo. 
Joe aveva fatto per lei una piccola decorazione per l'albero di Natale che le abbiamo spedito. L'ultima volta che mi ha telefonato e che abbiamo avuto un dialogo piu' o meno normale, mi ha chiesto di dirgli che le era piaciuta molto e che aveva un posto speciale sull'albero di Natale che aveva nella sua camera.
- Ms. Guorton ha un albero di Natale in camera sua? Che bello!  
Ms. Guorton mi manchera', ci manchera'. 
Un po' meno a scuola, magari. Quando sono li' sento la sua presenza, il suo spirito e' rimasto li'. Mi sembra di vederla, di sentire la sua voce. Ho tanti di quei bei ricordi che mi fanno sorridere. L'altro giorno a scuola, ad esempio, mi e' venuto in mente un aneddoto insignificante, ma cosi' perfetto. 
Una volta hanno cambiato il distributore di asciugamani di carta nella sala insegnanti e tutti hanno cominciato a lamentarsi perche' si inceppava sempre. Un giorno lei ha preso un piccolo foglio giallo e ha scritto con la sua bella calligrafia da maestra pull gently and it won't jam, tira piano e non si inceppera'. E sapete cosa e' successo? Che ha smesso di incepparsi. Perche' la gente leggeva quelle parole immaginando la sua voce calma e ferma e non strappava piu'. Lei era cosi', aveva questo effetto sulle persone, non solo sui bambini. E non seguiva mai la massa, pensava sempre con la sua testa e andava avanti per la sua strada. Aveva un modo di risolvere i problemi che era solo suo e non si lamentava mai, almeno non delle cose serie perche' per il resto era una gran brontolona. Si lamentava di mille inezie che a nessuno davano fastidio. Una volta si lamentava che il pavimento era troppo duro, non potevo crederci, aveva superato il limite. Poi, pero', l'anno scorso, quando non stavo bene mi e' tornata in mente quella lamentela. Se hai determinati dolori e ti tocca camminare tutto il giorno, la durezza del pavimento la noti eccome. Giudichiamo sempre, ma poi ci proviamo a metterci nei panni degli altri?
Domani ci sara' il suo funerale. Sara' bello, spero, avere un breve momento di pace da dedicare solo a lei. E' assurdo, ma in questo momento per me anche questo e' un lusso. La vita mi chiama e mi assorbe come e' giusto che sia con due bambini piccoli e non ho il tempo materiale di farmi troppe domande. 
E' andata cosi' ed e' triste, ma come lei stessa mi ha ricordato verso la fine, abbiamo vissuto un sacco di cose insieme e mi sono accorta di averle detto davvero tutto quello che volevo dirle. 
E questo in fondo e' meraviglioso.   
Che la terra ti sia lieve, amica mia.

venerdì 4 dicembre 2015

ti voglio bene o I love you?

L'altro giorno mio padre ha registrato un messaggio vocale su WhatsApp per Joe. Cominciava cosi':
- Ti voglio bene Joe!
Sentendolo, ho avuto una sorta di mancamento.
Per la prima volta, mi sono resa conto che a me non l'ha mai detto o almeno non che mi ricordi. E sembra una cosa terribile, ma in realta' non ci avevo mai pensato perche' non mi e' mai mancata questa parola. E' solo una parola e io non ho mai e poi mai avuto bisogno di nessuna conferma da lui in questo senso. Lui non l'ha mai detto a me e io non l'ho mai detto a lui, non so, e' sempre stato cosi' non ci e' mai venuto per una qualche forma di pudore suppongo.
Joe invece lo dice sempre ti voglio bene, ti voglio tanto bene lo dice quasi troppo, ma paradossalmente credo lo abbia preso proprio dalla sottoscritta. Lo dico sempre anch'io qui in casa, soprattutto a lui e a suo fratello adesso. E' da quando e' nato che glielo ripeto, mi e' sempre venuto spontaneo e non ci ho mai fatto caso. Evidentemente e' cosi' che va, se i genitori lo dicono, i figli lo dicono. Se i nipoti lo dicono, anche i nonni lo dicono.
Ad ogni modo, pensavo che in effetti questa e' una grande differenza rispetto all'inglese. 
Ricordo che mi faceva molta impressione appena conosciuto Mr. J. che chiudesse le telefonate con la madre con un love you. Mi faceva impressione prima di tutto perche', come dicevo, non era nel mio vocabolario quotidiano e poi perche' lo faceva senza pensarci, tipo se vedemo, love you. Bah. Non mi piaceva granche', poi mi ci devo essere abituata vivendo tutti questi anni qui perche' in effetti e' una cosa che si dice con una certa nonchalance in inglese.
Mi sono confrontata con la mia amica francese e ho sfondato una porta aperta. Anche lei ha sempre avuto esattamente la mia sensazione. Ci siamo fatte una risata pensando di dire je t'aime, il massimo del romanticismo, scendendo dalla macchina o uscendo di casa. Come se I love you o a dopo fossero sinonimi. 
Insomma, e' cosi', e in fondo non mi dispiace, mi adatto io. Bisogna solo tenere presente che e' tutta una questione di intenzione e di intonazione. Anche se la parola e' la stessa, dopo un po' i vari utilizzi sono chiarissimi. E' una di quelle sfumature che si perdono nella traduzione.

lunedì 23 novembre 2015

e di me si spendea la miglior parte

Una volta, parlavo con la giovanissima baby sitter di una mia amica. Texana, cresciuta in una famiglia molto religiosa, mi raccontava di non voler andare al college perche' non le serviva. Voleva sposarsi e fare la casalinga o come si dice qui con un'espressione che trovo particolarmente stucchevole e che sento spesso, I want to be a stay at home mom. Insomma, il ragionamento era: se la mia ambizione e' letteralmente stare a casa e fare la mamma perche' spendere soldi all'università?   
Avevo piu' che altro ascoltato in quell'occasione, era una conversazione breve con una semi-sconosciuta, pero' mi fece tanta pena quella ragazzina. Pensai che evidentemente nessuno le aveva mai fatto capire che non si studia solo per un ritorno economico, ma per avere degli strumenti in piu' per affrontare tutte le situazioni della vita e cercare di capire meglio il mondo. E questo e' un concetto che non serve aver studiato per capire. Sono forse la prima o la seconda persona laureata nella mia famiglia, eppure i miei non parlavano d'altro, perfino mia nonna analfabeta. 
Ripensavo a tutto questo in questi giorni per via di quello che sta succedendo a Ms. Guorton. Un giorno ero in macchina e all'improvviso mi e' ritornata in mente A Silvia di Leopardi. L'avrò letta quindici anni fa o piu' l'ultima volta, eppure e' tornata fuori al momento del bisogno, come solo la vera poesia sa fare. Mi si e' stretto il cuore.

  1. ....rimembri ancora
  2. quel tempo della tua vita mortale,
  3. quando beltà splendea
  4. negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi...
  5. ....quel vago avvenir che in mente avevi
  6. ... il ciel sereno, le vie dorate e gli orti

E poi, sempre in questi giorni, la filosofia, per esempio.

Un giorno lavavo i piatti e all'improvviso mi e' tornato in mente Epicuro, pensa te. Solo un vago ricordo. Quell'idea tutto sommato semplicissima che e' stupido aver paura della morte perche' quando c'e' lei non ci siamo noi. Mi piaceva quel pensiero, come se qualcuno mi avesse posato un braccio sulle spalle.

"Perciò stolto è chi dice di temere la morte non perché quando c’è sia dolorosa ma perché addolora l’attenderla; ciò che, infatti, presente non ci turba, stoltamente ci addolora quando è atteso. Il piú terribile dunque dei mali, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte noi non siamo piú. Non è nulla dunque, né per i vivi né per i morti, perché per i vivi non c’è, e i morti non sono piú. Ma i piú, nei confronti della morte, ora la fuggono come il piú grande dei mali, ora come cessazione dei mali della vita la cercano. Il saggio invece né rifiuta la vita né teme la morte; perché né è contrario alla vita, né reputa un male il non vivere. E come dei cibi non cerca certo i piú abbondanti, ma i migliori, cosí del tempo non il piú durevole, ma il piú dolce si gode."

Avrei dovuto dirlo a quella ragazzina, la vita non e' mica una passeggiata, bisogna equipaggiarsi. E tante cose si fanno non per soldi, ma per farle e tenerle li' dentro di noi da qualche parte. Di solito capita che siano le piu' utili e le piu' preziose. 

giovedì 19 novembre 2015

joe's philosophy

- Woody io ti vorrò sempre bene, anche quando sarò un uomo adulto e tu sarai ancora un bambino.
- No, Joe. Ti sembra impossibile adesso, ma quando tu sarai grande anche Woody sarà grande. E io sarò una vecchietta.
Allora si rivolge di nuovo a Woody.
- Woody la gente invecchia, è così che va il mondo.

mercoledì 18 novembre 2015

i giovani cristiani cool del texas

C'è una cosa strana con i super cristiani qui. Che molto spesso sono giovani e parecchio fighi. Porto all'asilo Joe e tante volte mi sembra di essere nella metropolitana di Milano durante la settimana della moda. Certi outfit finto trasandato, certi corpi scolpiti. Poi c'è un caffè dentro alla scuola che è anche quello molto cool, una sorta di Starbucks con lucine di Natale tutto l'anno, e loro, i giovani cristiani texani, si ritrovano lì con i loro laptop e in sottofondo ascolti una musica che sembra il solito pop rock americano che senti alla radio e invece poi fai caso meglio alle parole ed è tutto un Dio e Gesù e roba del genere. Per una cresciuta con i ciellini e gli oratori, è un certo shock culturale.

lunedì 16 novembre 2015

l'aereo di joe


Joe ha costruito un aereo. Gli ho detto bello, l'unica cosa è che forse bisognerebbe rinforzare un po' le ali...
- No, io non voglio che va troppo lontano.



sabato 14 novembre 2015

un pezzettino di infanzia

- Giochiamo a un gioco? Io comincio una storia e tu continui!
- Va bene Joe, comincia.
- C'era una volta una balena. Che andava a fare un pic nic. Su un vulcano.  Sott'acqua. Poi il vulcano esplodeva e la balena finiva sullo spazio. E atterrava sulla luna.
- E poi?
- E poi si tuffava e finiva dentro alla sua casa. Tocca a te.
Questo succedeva mentre ci preparavamo per andare al parco. Entriamo in macchina, accendo la radio e sento di Parigi. Davo per scontato che Joe non stesse ascoltando, in realtà non ne sono così sicura. Era un po' strano stasera, malinconico. Credo che abbia captato qualcosa.
E' difficile addormentarsi adesso. Vorrei svegliarmi domani e scoprire che è stato solo un film particolarmente realistico o uno scherzo di cattivo gusto ma so che così non sarà e allora penso ai miei amici francesi e ancora di più penso ai loro bambini che oggi, nella fortuna di non essere stati  toccati dalla tragedia, hanno comunque perso un pezzettino di infanzia per sempre.

martedì 10 novembre 2015

ne pas oublier

E' successo. Ms. Guorton e' stata messa in quello che chiamano hospice care, in pratica significa che e' ufficialmente una malata terminale.
Mi ha telefonato l'altro giorno per dirmelo dopo essere stata dal medico, me lo aspettavo, ma ad ogni modo. Stavo dando la crema di piselli a Woody. Dopo che ho chiuso, Joe continuava a parlarmi non so di che cosa. A un certo punto si ferma e mi fa:

- Perche' parli cosi'?

Perche'. Bella domanda. E ora cosa ti rispondo? Che sto cercando di non farmi sentire piangere?

- Joe la vita e' bella, ma a volte succedono delle brutte cose. 

- Cosa e' successo? [In realta' lui dice ciuccesso, e' molto buffo]

- Te lo ricordi che Ms. Guorton era malata, vero? Ecco e' ancora malata e il dottore ha detto che non riesce a trovare delle medicine giuste per lei, per questo la mamma e' triste, perche' Ms. Guorton non sta bene.
Lui non ha detto una parola, non un fiato e si e' volatilizzato davanti ai miei occhi.
Ho avuto paura di aver sbagliato, di averlo spaventato. Anzi a dire il vero forse ho avuto piu' paura che la cosa gli fosse del tutto indifferente.
E' riapparso solo un paio di minuti dopo, con in mano un dente di leone striminzito che ha trovato in giardino. 

- Per te mamma, cosi' non sei triste.

E li' davvero e' stato complicato trattenere le lacrime. Abbiamo parlato di tutte le cose piu' belle che ha fatto quando era nella classe di Ms. Guorton e poi le ha fatto un disegno in cui ci sono loro due che vanno a caccia di ghiande e foglie secche. 
Mi sono accorta in quel momento che avevo gia' cominciato a pensare a lei al passato, ricordando tutti quei piccoli momenti che abbiamo condiviso e a cui prima non avrei mai dato importanza. Sbagliavo perche' lei e' ancora qui, stiamo ancora condividendo delle cose, posso ancora parlarle o chiederle un consiglio. Il brutto verra' dopo quando mi manchera' e ci saranno solo quei ricordi a tenermi compagnia. 
Con questo in mente, sono riuscita ad andare a trovarla senza piangere e senza demoralizzarla ulteriormente. Ho dovuto dar fondo a tutto il mio coraggio, vederla in quelle condizioni e' stato straziante. 
Prima di salutarmi mi ha dato un sacco, anzi due, uno per Woody e uno per Joe, di giocattoli e libri per bambini. Pare che negli ultimi dieci anni si sia dedicata segretamente a collezionare oggetti per i suoi ipotetici nipotini che pero' non sono mai arrivati. Non me ne aveva mai parlato in questi termini, non immaginavo ci tenesse cosi' tanto a diventare nonna. Pochi pensieri mi mettono piu' tristezza dell'immagine di questa anziana signora malata che va a comprare giocattoli da nascondere in un armadio al solo scopo di nutrire la propria speranza segreta. Che strano come va la vita a volte. Ti aggrappi cosi' tanto a un desiderio, a qualcosa, e poi ti accorgi che era tutto nella tua testa e solo li'. Suppongo che pero', quel pensiero fino a un certo punto debba averla aiutata. Mi chiedo se il fatto che mi abbia fatto questo regalo significhi che non ci rivedremo piu'. E' tutto ancora li' nel cofano della mia macchina, non ho il coraggio di pensarci in questo momento. Prima ho aperto per prendere una cosa e ho deliberatamente cercato di non guardare, ma non ho potuto fare a meno di notare la scritta in francese che campeggiava su una delle buste ne pas oublier, non dimenticare.

martedì 3 novembre 2015

tutte le cose del mondo sono bellissime

L'altro giorno mi ha telefonato mia nonna. Non la sento spesso. E' che non sono una grande appassionata di conversazioni telefoniche, poi con lei, non so, non e' un rapporto di parole, e' affetto puro, dolcezza, cibo, abbracci, piccoli gesti. Qualcosa che non si puo' spiegare, che e' assenza di parole, silenzio, piuttosto che rumore. Ad ogni modo, mi chiamava perche' voleva sentire la mia voce, tutto qui. Ha addirittura cambiato il suo piano telefonico per chiamarmi. E' andata in uno di quegli orribili negozi di telefonia dove ti fanno aspettare un'ora e ti trattano con sufficienza e ha spiegato che sua nipote vive in America e lei la deve chiamare piu' spesso, o almeno cosi' immagino.

E io che la posso chiamare quando voglio, non lo faccio mai, che vergogna. Prima le mandavo delle foto quando potevo, da un po' nemmeno quello. Le giornate mi scappano di mano da un anno a questa parte, vivo in un vortice.

Pero' pensavo. Non trovo il tempo di chiamare la mia unica nonna che mi adora e sento quasi tutti i giorni Ms. Guorton, ad esempio. La vita dell'emigrante e' un po' cosi'. Quando vai lontano a un certo punto, devi staccarti da quello che hai lasciato. E' una cosa che ho capito a mie spese, dopo i primi anni qui. Non puoi occuparti di tutto quello che hai lasciato e allo stesso modo ricostruirti una vita nuova, semplicemente non e' possibile. Il tuo pensiero e' qua ed e' la' in ogni momento, ogni giorno, ma la contingenza ti chiama, c'e' poco da fare. Le cose e le persone vicine sono pressanti, inevitabili, non e' una questione di importanza, ti devi occupare prima di quello che ti passa accanto, non hai altra scelta.

Ms. Guorton sta molto male adesso. Non parliamo mai della sua situazione medica e sono molto fiera di essere una distrazione dai suoi problemi e non una spalla su cui piangere, ma l'altro giorno l'ho vista e per la prima volta e' stato difficile far finta di niente, ho pensato qualcosa tipo... e' morta. All'improvviso, non era piu' lei, questo. Si trova in una situazione atroce di sofferenza fisica e solitudine costante e sembra si preoccupi soprattutto di una cosa: dei materiali didattici che ha lasciato a scuola per l'insegnante che ha preso il suo posto. Sono materiali che ha accumulato e collezionato e comprato con i suoi soldi personali nell'arco di trent'anni di carriera. Ci sono oggetti che anche volendo non saprei dove ricomprare. C'e' il modello di un cuore grande come quello di un bambino per spiegare ai bambini stessi come funziona il loro corpo. Tante di quelle cose, di quei ricordi. E lei prima ha lasciato tutto li' perche' le e' stato chiesto e forse se ne e' sentita in un certo senso lusingata e ora invece ci pensa e ci ripensa e si logora. Qualcuno li stara' usando? Qualcuno avra' capito il mio lavoro, i miei sacrifici, il mio messaggio?
A quanto pare tutti coloro a cui si e' rivolta sono riusciti a evitare accuratamente di darle una risposta in merito, cosi' lei ha dato alla sottoscritta il compito ingrato di investigare. Ho dovuto scavare un bel po', ma alla fine e' uscito fuori quello che temevo. Quei materiali sono stati in maggioranza buttati via dalla nuova insegnante, che probabilmente non conoscendola e non sapendo nulla, ha pensato bene di fare tabula rasa prima di insediarsi. E' strano come uno stia morendo e si fissi su un piccolo dettaglio della sua vita -ricordo che successe qualcosa di simile anche al nonno del Far West...- una piccola cosa che a qualcuno potrebbe sembrare di poca importanza nel quadro generale e invece non lo e'. Si da' importanza a quello a cui si da' importanza per tanti motivi e nessuno dovrebbe permettersi di giudicare i sentimenti altrui. Non ho il coraggio di dire a Ms. Guorton la verita' sulle sue scatole e ho deciso che non lo faro' perche' non ne vedo l'utilita'. La portero' avanti io la sua "filosofia", come la chiama lei, glielo ho detto l'altro giorno. Anzi la sto gia' portando avanti, mi ha insegnato talmente tanto. I materiali in fondo non servono a niente se non si ha avuto la possibilita' di vedere e osservare a lungo come ho avuto il privilegio di fare io, il modo in cui sono stati usati.
E' un periodo particolare questo, sono toccata tutti i giorni da cose grandi, troppo grandi forse, e la verita' e' che non mi sento piu' la stessa. Non si puo' rimanere indifferenti al contatto diretto di una materia cosi' incandescente, la vita che cresce gioiosa sotto i tuoi occhi e la vita che finisce lentamente sempre sotto i tuoi occhi. La settimana scorsa una collega di Mr. J e' morta. Un mese fa ha avuto due stupende gemelle e poi e' morta, non so nient'altro. Ho pianto davvero tanto e non l'ho mai nemmeno vista questa donna, ma non importa. Credo di aver pianto soprattutto perche' so che cosa si e' persa e cosa si sono perse le sue bambine e forse ho anche una vaga idea di cosa deve avere provato. Potevo esserci io al suo posto. Ho vissuto tanti mesi con il terrore che qualcosa di simile succedesse a me. Ci pensavo spesso, ma nessuno mi dava retta, nessuno voleva ascoltarmi perché non bisogna nemmeno dirle certe cose. Tutti, tranne alcuni medici, dicevano andra' tutto bene e in effetti, contro ogni previsione, e' andato tutto bene alla fine, ma adesso e' arrivato il momento di fare i conti con il fatto che poteva anche non. Dopo che e' nato Woody ho sentito un forte disturbo interiore, per diverse settimane non riuscivo ad essere del tutto felice. Insomma, un po' era la sofferenza fisica perche' ad ogni modo non e' stata una passeggiata, un po' era che non e' come si vede nei film che ti salvi e poi assapori la vita in ogni suo istante e diventi immediatamente una persona molto migliore e tutti vivono felici e contenti. E' dura ed e' dura per tutti quelli coinvolti. Certe esperienze segnano. La tensione accumulata non ti abbandona da un secondo all'altro. Ma quando ho saputo di questa tragedia, cosi' vicina a noi, forse in quel momento si', la tensione e l'angoscia si sono davvero dileguate. Mi ha costretto a fare finalmente i conti con quello che e' successo e che non e' successo e mi sono scrollata un grosso peso dalle spalle. Che poi la prima cosa e' chiedersi perche' lei si' e io no? Allora sono qui per un motivo, forse sono qui per fare qualcosa di importante. Gia', ma lo sto facendo? Cosa sto facendo esattamente con la mia vita? La sto usando bene?

Ho chiamato questa cosa qui la sindrome del sopravvissuto fra me e me, poi ho visto che esiste davvero la sindrome del sopravvissuto, non si inventa mai nulla. Accidenti, e' un periodo un po' cosi'. Poi magari fra un po' si tornera' a pensare alle solite stupidate, ma ora e' tutto estremamente forte, profondo, intenso.

Mi perdo negli occhi di Woody, questi occhi che sono di un colore

indefinibile - il colore delle galassie ha detto qualcuno con grande poesia- questi occhi cosi' scuri e unici che nessuno capisce da chi li abbia presi- che ti scrutano sorridendo in ogni momento. Vivo di contrasti e sento che adesso si', adesso comincio a essere davvero presente e con un senso di gratitudine per tutto, perfino per le notti in bianco che mi tormentano. Una mia amica l'altro giorno mi ha detto resisti, e' solo una fase, fra un po' tornerai a riposarti. Ecco in realta' e' piu' che altro questo che mi da' fastidio. Il sonno e' fondamentale e quanto mai agognato e paradisiaco, ma ci sono cose perfino piu' appaganti nella mia vita di adesso.

Ad esempio ascoltare cio' che puo' tirare fuori un bambino di cinque anni. Stamattina Joe appena sveglio e' corso da me.

- Mamma ti devo dire una cosa. 

- Dimmi.
- Tutte le cose del mondo sono bellissime.
- Che bel pensiero, amore, come ti e' venuto in mente?
- Perche' ti voglio tanto bene.

venerdì 30 ottobre 2015

verso halloween







Stamattina Joe ha avuto un'idea geniale per rendere il suo famoso costume da scheletro ancora più spaventoso...

sabato 10 ottobre 2015

pensare confonde le idee

A volte penso che mi fanno moltissima paura le persone che sono troppo impegnate, quelle che hanno sempre i minuti contati e che anche quando sono con te stanno gia' pensando a quello che faranno dopo e tu lo percepisci e non ti senti mai completamente a tuo agio. Mi fanno cosi' paura che mi viene la tentazione di starne alla larga, anche quando mi piacciono molto. Mi fanno paura perche' se ti leghi a loro, poi e' un avvilimento continuo, l'ho gia' sperimentato. Pero' l'altro giorno, mi sono ritrovata ad andare nel panico perche' era tardi. Ho guardato l'orologio ed erano passati cinque minuti, cinque, ma la cosa non mi ha rassicurato. Certi giorni, cinque miseri minuti persi significano una serie di ritardi a catena e di corse. Non mi piace per niente ammetterlo, ma in parte sono anch'io come quelle persone che cerco di evitare. Ho sempre qualcosa da fare ed e' sempre stato cosi' indipendentemente dal tipo di lavoro o dalla situazione familiare: non mi sono mai annoiata in vita mia. Probabilmente la scrittura qualcosa c'entra con questo ragionamento e anche l'amore per la solitudine e i tanti interessi sparsi. Comunque quello che volevo dire e' che le volte che penso male di quelli che sono sempre impegnati, poi mi ricredo e decido che no, sono mille volte piu' pericolosi quelli che hanno troppo tempo libero (come me in questo momento particolare) perche' pensano, pensano troppo e puntualmente creano malintesi inutili. Quando uno ha troppo tempo libero fa quei pensieri che a volte confinano con la paranoia perche', come diceva Bruno Munari, pensare fondamentalmente confonde le idee.

venerdì 9 ottobre 2015

cose difficili

E cosi' arriva questo bambino di prima elementare che senza nessun motivo, mentre stiamo disegnando arcobaleni, viene da me e mi racconta che ha visto un incidente stradale con otto camion dei pompieri e fa gli incubi. Gli dico che forse i pompieri hanno salvato quelle persone, che non lo sappiamo. Mi fa no, il bambino è uscito dalla macchina, ma il padre è morto bruciato e la mia mamma ha detto che se le fiamme arrivavano fino a noi la nostra macchina sarebbe diventata un cumulo di cenere
Poi il racconto si e' fatto sempre piu' confuso. Non ho capito piu' se lui era davvero li' sul luogo dell'incidente in un'altra macchina con la sua famiglia e poi ha rivisto tutto al telegiornale o se era una notizia del telegiornale che lo ha particolarmente turbato. 
Ogni volta che cercavo di consolarlo, aggiungeva dei dettagli sempre più macabri. Mi sembrava spaventato e anche preoccupato.
Ma io non sono una psicologa, sono l'insegnante di arte. Ho avvertito chi di dovere, ma pare che i genitori non parlino neanche un po' di inglese, non  c'e' molto che si possa fare, credo. L'ho fatto sfogare un attimo, quello si', a volte aiuta. 
L'unica cosa che mi è venuto in mente di dirgli è che quando arriva quel brutto pensiero, la sera prima di dormire, c'è almeno una cosa che può fare: immaginare una storia tutta diversa, con un altro finale. Per me l'unico vero rifugio e' nell'immaginazione, nella capacita' di imparare a portare la mente in un posto piu' sicuro. Spero di non aver detto una cosa troppo sbagliata.

mercoledì 7 ottobre 2015

lo vedete quello?

Lo vedete quello?


Sembra un piccolo alluce che esce da una tutina. In realta', e' l'emblema di quanto sia meraviglioso questo momento. Con tutte le imperfezioni che possono esserci -e guai se non ci fossero- non so cosa darei per fermare tutto. A volte ci provo anche, in modo molto maldestro, come potete vedere. Non la voglio mettere via quella tutina che ti sta cosi' bene, ma tu non ne vuoi sapere della tutina e giustamente continui a crescere e crescere. Assistere a questo spettacolo giorno dopo giorno e' il piu' grande privilegio che mi sia capitato, per ben due volte. So che sono stata immensamente fortunata e che nella mia vita ci sono anche tantissime altre cose a cui voglio dedicarmi e che per il momento ho dovuto accantonare, ma sono consapevole che in questo senso e' un po' l'ultimo giro di giostra, come diceva Terzani, e anche mettere via una tutina fa scendere una piccolissima lacrima.
Questo e' il guaio con le cose che si vogliono cosi' tanto e poi arrivano (e poi se ne vanno).

lunedì 5 ottobre 2015

le macchine di joe

L'altro giorno ho passato tutto il tempo al lavoro con un solo pensiero: tornare da Woody. Non mi era ancora successo cosi' forte da quando ho ripreso, ma quel giorno non lo avrei voluto lasciare per nessun motivo al mondo. Saranno gli ormoni, ma quando l'ho rivisto alla fine della giornata, e' stato come riprendere a respirare dopo otto ore di apnea. Cosi' ho detto a Joe che poteva fare una delle sue cose preferite, che mi chiede in continuazione di fare, giocare ai videogiochi e me ne sono andata un po' di la' a rilassarmi con Woody. Non volevo escluderlo, e' che in questi casi dopo un po' si stufa e comincia a farsi sgridare, pensavo fosse piu' contento con i suoi amati videogiochi. Invece quando sono uscita dalla mia stanza, ho visto che molto stranamente li aveva spenti e si era messo a disegnare. Prima che potessi chiedergli nulla, mi ha spiegato:
- Ho progettato un sistema per salvare Woody quando cade.
- Ah, inquietante interessante. E come funziona?
- Ti faccio vedere.

- Non capisco, me lo spieghi?
- Si. C'e' Woody che cade nell'acqua.
- E come si salva?
- La macchina non funziona adesso. Funziona quando diventa grande.

venerdì 2 ottobre 2015

il vocabolario di Woody

E' vero Woody ha solo quattro mesi, ma ha gia' cominciato a chiacchierarsela, come si dice dalle mie parti. 
La settimana scorsa, Mr. J. gli ha detto hi!, ciao, e lui ha risposto hi! come se fosse la cosa piu' normale del mondo.
Ci siamo guardati in faccia e poi io ho continuato quello che stavo facendo come se non fosse successo nulla, mentre Mr. J. era cosi' emozionato che quasi gli si spezzavano le parole in gola.
Lo ammetto. Con grande malignità, ho considerato di far finta di non aver sentito. E' che...hi....che parola e'? E' un suono, non vuol dir niente, e poi in inglese...e poi soprattutto non a me. Non ero per niente soddisfatta. No, no Woody, cosi' non andiamo d'accordo.
La prima parola di Joe mi diede molte piu' soddisfazioni a suo tempo, ma tant'e'.
Hi! teniamocela. Si dice che la prima parola di Picasso sia stata lapiz, matita in spagnolo, e sappiamo com'e' andata a finire. Nel caso di Joe potrebbero aprirsi prospettive un po' particolari, e' vero, ma hi e' proprio un po' insipida, eh. Staremo a vedere.
Come se non bastasse, il pomeriggio vado a prenderlo all'asilo e racconto l'accaduto alle maestre.
- Sapete, oggi ha detto la sua prima parola...
- Hi, vero? L'ha detto anche a noi prima, un paio di volte...
Come sarebbe a dire l'ha detto anche a voi? Praticamente questo bambino parla con tutti tranne che con la persona con cui passa il 90% del suo tempo.
Dopo un paio di giorni ha compiuto quattro mesi e l'ho portato a fare i suoi vaccini e la sua visita di controllo in cui il medico mi ha detto che devo cominciare a dargli della crema di riso.    
Primo pasto. Mangia tutto e si ciuccia pure le mani.
Allora chiedo in italiano Ehi Woody, ti e' piaciuto? e lui mi risponde Yeah! 
Tutto filmato. Altrimenti io stessa penserei di avere avuto le traveggole.
A quattro mesi, gli faccio una domanda in italiano e mi risponde...non in inglese, ma praticamente in Texano. E poi si parla di bilinguismo. Mi sa che abbiamo fra le mani uno dei piu' giovani bilingui al mondo. E mi sa anche che continueremo a sentirne delle belle qui a casa Johnson. 

mercoledì 30 settembre 2015

joe super cool (2)

Il post di ieri ha suscitato numerose reazioni, cosi' per comodita', ho deciso di rispondervi con un nuovo post.
La domanda piu' frequente e' stata: tu cosa hai risposto?
E' andata cosi'.
Ho spiegato alla maestra che noi non diciamo mai a Joe cosa credere, ma che quando ci fa delle domande su Dio, la morte o qualunque altro argomento, cerchiamo di dirgli sempre la verità o almeno di fornirgli la quantità di informazioni che ci sembra adeguata alla sua eta'.

Devo dire che quello pero', si e' presto trasformato in un momento vagamente sconcertante perche' con piglio scherzoso ho aggiunto che se Joe ci chiede come si e' formato l'universo, gli raccontiamo del Big Bang e tutto il resto...non siamo mica creazionisti noi (ovviamente)! 

E lei non ha riso. Ed e' calato il gelo ed e' finita cosi'. Arrivederci.

E questo ci porta alla seconda questione che e' emersa nei commenti: la maestra e' una deficiente. 

Ecco io oggi, mentre andavo al lavoro (l'unico momento di relativa pace delle mie giornate) ci ho pensato molto a questa cosa. E sapete cosa vi dico? Che no, la maestra purtroppo non e' una deficiente. In un certo senso, sarebbe molto piu' semplice se lo fosse, ma cosi' non e'. Anzi la maestra e' una donna piena di energia, che dopo tanti anni, ama ancora molto il suo lavoro e cerca di rinnovarsi e farlo al meglio. Ci ho parlato abbastanza a lungo prima di decidere di iscrivere Joe nella sua classe e mi piace come la pensa sull'insegnamento. 
D'altra parte, ha delle visioni religiose, che non conosco in modo approfondito, ma che sono lontane anni luce dalle mie. 
Dovrei guardarla dall'alto in basso o considerarla una deficiente per questo? Non credo. Non siamo d'accordo, capita. Non capisco e non ho voglia di capire il suo credo, ma a parte questo mi sembra una gran brava persona. E' sufficiente. Anch'io sono andata all'asilo dalle suore, eppure non ho subito nessun trauma. Penso che i bambini piccoli abbiano bisogno di affetto, di allegria e di qualcuno che gli ricordi il valore dell'amicizia e della riconoscenza. Se tutto questo c'e', su altre cose sono disposta a chiudere un occhio.

E' facile dirsi tolleranti e poi appena si incontra qualcuno che la pensa diversamente assumere un atteggiamento di superiorita' o tagliare il dialogo. Per quanto mi riguarda, che ognuno faccia e creda un po' quello che gli pare, se non danneggia nessuno.

martedì 29 settembre 2015

joe super cool (1)

La settimana scorsa sono stata mandata a chiamare dalla maestra di Joe. Non si preoccupi, eh, ci vediamo domani.
Gia' perche' e' del tutto normale prima o poi essere chiamati dagli insegnanti dei figli. Alle elementari, alle medie, alle superiori, ma - scusate- chi e' che viene fatto chiamare dalle maestre dell'asilo? I genitori di Jack lo Squartatore? 
Quella sera le ho pensate davvero tutte. Che mi facessero chiamare perche' aveva picchiato qualcuno, l'ho subito escluso. Joe avra' tanti difetti, ma non e' mai stato manesco. Che fosse stato picchiato lui, non mi sembrava allo stesso modo possibile: me lo avrebbe raccontato. Allora che cosa mai avra' combinato? mi chiedevo. E non riuscivo a immaginare un motivo tanto grave da richiedere un colloquio privato e urgente.
L'unica cosa che mi veniva in mente e' che mi volesse dire che mio figlio e' un asociale o qualcosa del genere. Dovete sapere che io ero esattamente come lui da piccola. Avevo pochi amici e mi piaceva giocare da sola, a casa e credo mi chiamassero timida o al massimo brava bambina. Qui invece, anche come insegnante, ho visto subito che questo tipo di personalita' non viene apprezzata. E' come se i bambini timidi andassero aggiustati. Mi ricordo che ai miei tempi a scuola c'erano grossomodo tre tipologie di bambini: quelli come me, quelli chiacchieroni e quelli vivaci (che poi sono quelli che in questi anni, in questo paese, vengono considerati iperattivi o ADHD e imbottiti di psicofarmaci). Il bambino vincente per la maestra, e forse anche per la societa', e' il piccolo leader, lo vedi subito, e Joe chiaramente per ora non lo e'.  
Basta. Le cose devono cambiare, mi sono detta. Bisogna fargli fare sport, iscriverlo a qualcosa, farlo uscire da questo fantomatico guscio. 
La mattina dopo mi presento puntuale all'appuntamento. La maestra mi fa tutto un pippone stranissimo, che si rendeva conto di toccare una sfera molto privata, ma che si era consultata con la direttrice e avevano concluso che genitori e insegnanti devono agire insieme per il benessere dei bambini e bla bla bla.
Insomma, per farla breve, e' successo questo. Un bambino ha portato in classe una Bibbia da far vedere ai compagni. Tutti erano estremamente gioiosi e contenti, ma Joe, il mio Joe, quattro anni, si e' alzato in piedi e ha annunciato a gran voce: "Non e' vero che Dio ha creato l'universo, e' stato il Big Bang!".  
La maestra si e' detta mortificata perche' Joe continuava a chiedere perche'non accettava le sue spiegazioni che, ha precisato, non erano idee sue ma della Bibbia stessa. Secondo lei Joe sarebbe un bambino ovviamente tormentato e diviso fra due visioni contrastanti del mondo. Tormentato certo.
Avrei solo voluto vedere la scena, ecco solo questo.



Continua qui.

sabato 26 settembre 2015

quel momento li'

Continuo a pensare a quel passaggio di Turné di Salvatores dove il giovane e tormentato, e fighissimo, Fabrizio Bentivoglio dice a Diego Abatantuono che c'e' bisogno di rallentare, di gustarsi la vita, di coltivare i rapporti che valgono e lui risponde: "Uno passa la vita a farsi dire che prima è troppo giovane, poi dopo diventa troppo vecchio... Ci sarà una fase centrale in cui uno deve correre, no?" 
Ecco, mi sa che per me e' proprio quel momento li'.

venerdì 25 settembre 2015

oggi

Oggi abbiamo fatto un lavoro su La grande onda di Hokusai. Erano bambini di terza elementare e facevo delle domande aperte come sempre, cercando di costringerli a guardare bene e a provare a esprimere delle idee. Siamo arrivati presto alle emozioni ovviamente. Che cosa ti suscita quest'opera?
E una bambina, alza la mano e mi risponde che forse quel pittore ha dipinto quel quadro perche' ha perso il suo papa' su una barca, sotto una grande onda come quella li'.
E lo diceva con il sorriso sulle labbra, con serenita', con calma. Sono stata io che per una frazione di secondo ho quasi ceduto alla commozione.
La scorsa primavera il papa' di quella bambina, poco piu' che trentenne e' morto per una malattia tanto rara quanto orribile. La sua sofferenza, e' durata un paio d'anni e nessuno dei suoi quattro bambini piccolissimi, tutti miei studenti, ha mai espresso in nessun modo quel dolore a scuola, almeno che io sappia.
Le altre maestre mi hanno sempre detto che era perche' si erano "abituati" alla situazione, ma io non ho mai capito, in questa come in varie altre circostanze simili che mi sono capitate a scuola in questi anni qui, come sia possibile per dei bambini andare avanti apparentemente in tutta normalita' quando cose di questo tipo succedono. Potere dell'arte che unisce un vecchio giapponese vissuto tanto tempo fa con una bambina americana che ancora probabilmente non capisce cosa le e' successo, ma in un certo senso lo vede e lo rivede dappertutto.
Poi oggi e' successa un'altra cosa, di tutt'altro tenore, ma sempre legata al concetto delle emozioni inespresse e trattenute.
C'e' questa maestra che arriva sempre in ritardo alle lezioni di arte e tende in qualche modo a sopraffarmi. Ha una mania per la disciplina, che si sa, non e' proprio il mio forte, e mi interrompe spesso per richiamare i ragazzi all'ordine o per fargli vedere correzioni che sta facendo su compiti che non c'entrano nulla con la mia materia.
Entra in classe trafelata spiegandomi il motivo del ritardo e le dico che va bene, ma e' anche la terza settimana di fila e in realta' non va bene. E non va bene nemmeno interrompere il lavoro dei ragazzi, per nessun motivo. Non ero per niente alterata, pero' le ho detto quello che pensavo con l'intenzione di poter lavorare piu' tranquillamente il resto dell'anno scolastico. Cosa avrei dovuto fare altrimenti?
E' successo che si e' offesa a morte e questo ci puo' stare. Ma poi...e' scoppiata a piangere e ha detto che ho, testualmente, ferito i suoi sentimenti. E io ero, non so come dirvi...incredula.
Era una situazione totalmente surreale. Ho avuto una sorta di esperienza ultracorporea, di quelle in cui ti sembra di vederti dal di fuori. Questa donna, molto piu' alta, molto piu' irruente e molto piu' anziana di me, mi si stava sbriciolando davanti, a causa di qualcosa che io le avevo detto. Incredibile. Io. Proprio io che mi sono sentita dire per tutta la vita che sono troppo dolce/ buona/ gentile/ comprensiva/ tollerante, e chi piu' ne ha piu' ne metta.
E mentre tutto questo succedeva, pensavo due cose.
La prima e' che forse queste cose succedono a causa del maledetto atteggiamento passivo aggressivo che va tanto per la maggiore da queste parti e di cui si e' ampiamente disquisito in passato su queste pagine. Mi sembra che a furia di trattenere le emozioni e di farsi perennemente vedere sorridenti e in forma, le persone non siano piu' in grado di esprimere quello che realmente provano e vogliono che l'altro sappia di loro. Se non siamo d'accordo su qualunque cosa, sempre, diventiamo automaticamente nemici. Ma perche'? Non si puo' discutere?
E la seconda e' che sono davvero cambiata. Una volta forse ero io quella a cui veniva da piangere o per lo meno quella che si faceva trascinare dal vortice emotivo della controparte. Ora, invece - non so, credo che sia per via di tutte le cose che mi sono successe negli ultimi mesi- mi sembra che ben poche cose importino. Non ho tempo da perdere in stupidate come queste e, non so se lo sono davvero, ma mi sento piu' forte, molto piu' forte di prima. E rido anche molto di piu' delle cose che mi succedono.
Non proprio tutti tutti i mali vengono per nuocere, forse.
(Pero' al di la' di tutto, che fatica lavorare con le donne. Bisogna ammetterlo e magari darsi anche una calmata.)

mercoledì 23 settembre 2015

odori e ricordi

Succede spessissimo, soprattutto all'inizio dell'anno. Entrano in classe e qualcuno dice "che buon odore che ha la classe di arte, ma che cos'è questo profumo?". E io dovrei dirgli forse che è muffa, umidità, vecchia pittura, sporcizia, ma non lo faccio perché in fondo io lo so benissimo cos'è che sentono. È il profumo di tutte le sensazioni belle che associano a quello che facciamo li dentro. E questa cosa mi riempie di gioia. Pensare che per molti di loro questo sarà sempre un posto magico dell'infanzia e per questo indimenticabile.

domenica 20 settembre 2015

i miei robot invisibili

- Mamma, Woody sta giocando con i miei robot invisibili!
- Quali robot?
- Quelli invisibili!
- Ah...e tu li vedi? 
- Io no perche' sono invisibili, ma Woody si.

Tempo di dire queste parole e Woody si era gia' addormentato, seduta stante. 
Osservo:
- Caspita, si e' proprio stancato a giocare con i robot invisibili...dovrai prestarglieli quando non riesce a dormire. Mah... cosa stai facendo Joe?
- Li metto via.

Ecco Joe e' questo tipo di bambino. Non credo sia eccezionalmente fantasioso come alcuni dicono. Credo solo che per intravedere uno spiraglio del mondo di un bambino, bisogna guardare a lungo e con molta attenzione e io lo faccio e lo faro' sempre perche' e' la cosa piu' interessante e misteriosa che mi sia mai capitata di poter fare nella vita sia come insegnante che come genitore. Spero che questo filo speciale di comprensione e comunicazione fra noi non si spezzi mai, che lui non smetta mai di sentirsi libero di esprimersi e che mi trovi sempre li' ad ascoltarlo. 

venerdì 18 settembre 2015

mai dimenticarsi di ascoltare le conversazioni degli sconosciuti

Ero in fila e due donne sulla sessantina parlavano di qualcuno che aveva avuto dei problemi di salute.
- Come sono andati gli esami del sangue? Fa una.
Una terza donna, al principio della fila -forse le conosceva o aveva solo voglia di attaccare bottone- si gira e chiede con un sorriso:
- Posso sapere se state parlando di una persona a due o quattro zampe?
Allora una delle due donne risponde ridendo:
- E' mio figlio a quattro zampe, ha 14 anni...
Poi spiega, in modo che si sentisse, con gioia direi, che quattordici anni fa suo figlio, quello umano, e' morto in un incidente stradale e quattro mesi dopo questo cane e' apparso sulla porta di casa. E non se ne andava. Un giorno suo marito gli ha preso la testa fra le mani e ha chiesto al cane sei lui?
Alla fine hanno cominciato a pensare che fosse li' per loro, per aiutarli credo e lo hanno tenuto.
- Quindi non scherzavo, lui e' davvero mio figlio a quattro zampe.

lunedì 14 settembre 2015

ma d'estate babbo natale cosa fa?

Questo fine settimana siamo stati in un parco naturale qui in Texas, in cui sono visibili delle impronte di dinosauro. Si trovano sul fondo di un piccolo fiume. L'acqua e' bassa, pulitissima. Joe si e' divertito come un matto e anche Woody ha tenuto botta molto bene schiacciando pisolini meravigliosi all'ombra dei grandi alberi, nella brezza di fine estate.
Appena fuori dal parco c'e' il Museo della Prova della Creazione, giusto per non dimenticare che siamo pur sempre nella Bible Belt. Mi ha fatto molto ridere questa cosa e avrei voluto andare a darci un'occhiata, ma la mia proposta fortunatamente non e' stata presa sul serio.
La sera siamo andati nel centro del paesino a cercare qualcosa da mangiare e siamo capitati in un ristorante molto bello, ricavato da una vecchia casa vittoriana.
Abbiamo chiacchierato amabilmente con la proprietaria, una spumeggiante giovane donna di Fort Worth, che ci ha raccontato, fra le altre cose, che il marito, lo chef, sta cercando di convincerla a trasferirsi al piano di sopra, ma lei non ne vuole sentire parlare perche' e' convinta che nella casa ci sia un fantasma. Nel prato, sotto un albero, abbiamo notato una vecchia sedia a dondolo vuota che ha fatto piuttosto presa sulla mia immaginazione e anche su quella di Joe.
Si stava proprio bene li', nel patio, clima perfetto, lucine, musica jazz in sottofondo. Era quasi ora di chiusura ed eravamo da soli a goderci la serata finche' un altro gruppo di clienti e' uscito dalla sala interna del ristorante. Fra loro...Babbo Natale.
Si e' seduto al tavolo accanto al nostro e ha sfilato qualcosa dalle scarpe. Al posto dei lacci, aveva dei palloncini sgonfi. Con destrezza ne ha gonfiato subito uno e lo ha piegato in modo da farlo diventare una sorta di animaletto, suppongo. Joe era completamente rapito quando lo ha ricevuto in dono.
Ma allora ecco cosa fa Babbo Natale d'estate! Va a trovare i dinosauri!
E' stato un bel fine settimana, ma quello che mi porto davvero a casa e' il ricordo di quel vecchio Babbo Natale. Ha fatto un piccolissimo gesto che non era in realta' piccolo per niente. Ha portato un po' di magia e incanto nella vita di un bambino di quattro anni, ha creato un minuscolo momento unico, una piccolissima storia. A volte ce ne dimentichiamo, ma ci vuole cosi' poco per riempire giornate qualunque di significato per noi e per gli altri. Una persona che fa un gesto cosi', ti insegna a guardare quelli che incontri, anche solo per un attimo e a dargli valore e attenzione.

giovedì 13 agosto 2015

cose che succedono quando si allatta in pubblico e si parlano due lingue

Racconto a Mr. J. che ieri al parco, per la prima volta, ho allattato in pubblico senza coprirmi: c'erano tipo 40 gradi e non ci ho pensato un secondo. Si sentono tante storie qui nel cuore della famigerata Bible Belt e non si sa mai come la gente possa reagire, ma e' successa una cosa molto buffa invece. Appena ho iniziato, si e' seduta accanto a me un'altra mamma e ha fatto esattamente lo stesso. Ci siamo guardate e siamo scoppiate a ridere. Abbiamo cominciato a chiacchierare allegramente e, dicevo a Mr. J., che lei mi ha raccontato di essere stata ripresa in un supermercato mentre allattava una volta.

- Cosa?

- Si', e' stata ripresa in un supermercato mentre allattava. Ti rendi conto che gente?

Io andavo avanti con il mio racconto e lui sembrava scandalizzato o scioccato o qualcosa del genere. Lui aveva capito che fosse stata 'ripresa' con una telecamera. Proprio cosi'.

Ah, le gioie dell'amore bilingue, pero' si ride molto.  

giovedì 30 luglio 2015

la nascita del mito - si parla di cibo

Joe ultimamente mi fa spesso delle richieste culinarie. Non avevo mai realizzato che effettivamente a casa nostra si mangia in maniera diversa rispetto a quella di tanti suoi amichetti dell'asilo. Ha cominciato con i pancake. Ci siamo accorti che in effetti, non li aveva mai provati e mi sono molto vergognata. Roba da ritiro del passaporto. Tra l'altro mi piacciono moltissimo i pancake. E' solo che nel weekend ci svegliamo tutti a orari diversi e arriviamo sempre all'ora del brunch con la voglia di una pasta piu' che di uova e bacon. Abbiamo deciso di metterci una toppa abbracciando un'altra tradizione delle famiglie americane, una un po' piu' segreta e furba: la cena breakfast che si adatta molto meglio alle nostre esigenze.
L'altro giorno, Joe si e' fatto avanti di nuovo con un'altra richiesta. Ha preso il discorso mooolto alla lontana.
- Mamma sai... la macchina rossa?
- Certo, la nostra macchina.
- Sai certe volte la prendiamo e usciamo di casa.
- Si.
- E quando usciamo di casa vedo sempre un ristorante. Io penso sempre che voglio andarci in quel ristorante.
- Ma quale ristorante? Ce ne sono tanti vicino a noi...
- E' un ristorante che ha una grande emme.
- Come una grande emme?
- Si, una grande emme tutta gialla...io voglio andare sempre in quel ristorante, ma noi non ci andiamo mai.
Non mi fraintendete, non sono una salutista e non penso che McDonald sia peggio di tanti altri fast food, ma la vita e' cosi' corta per perdere tempo a mangiare quella roba. Se proprio ci va un fast food che sia uno local e cool come Whataburger almeno, no? Whataburger e Dr. Pepper cosi' passiamo proprio per la famiglia texana media.
Pochi giorni fa, mi ha chiesto questi tali jelly beans, che sono delle caramelle colorate che ho visto a scuola, ma che non ho mai provato. Gli ho spiegato che la mamma non conosce i jelly beans come le mamme dei suoi amici, ma conosce molto bene le uova Kinder in compenso. Non c'e' stato bisogno di aggiungere altro, e' un ragazzino sveglio Joe.
Ora invece, e' la volta dei macaroni and cheese, che sono una sorta di pasta in scatola, un classico della cucina casalinga americana, e li' mi sono un attimo impuntata. In tutti questi anni, li ho assaggiati una sola volta e non mi sono per niente piaciuti. Glielo ho detto chiaro e tondo: non so come si preparano. E non mi sembra un gran problema tanto prima o poi qualcuno glieli offrira', e' solo questione di tempo.
Lui non ha protestato, ma ieri mi ha portato un disegno, anzi una ricetta, in diversi fogli e piuttosto elaborata.
Nella prima pagina c'erano le uova strapazzate. Nella seconda gli hamburger buns, quel pane particolare che si usa per gli hamburger. Nella terza pagina, nel panino c'erano le uova strapazzate. Nella quarta il tutto veniva presentato sul bastoncino di un ghiacciolo, come una sorta di grosso gelato. Et voila', i macaroni and cheese, sono serviti.
Ecco come nasce una legenda: meno parli di una cosa e piu' la fantasia si scatena. 
E niente, mi sa che mi toccherà farglieli provare davvero questi macaroni and cheese, altrimenti diventera' lo zimbello della scuola. E' quasi peggio di quella volta che al parco un bambino gli parlava del pollo di McDonald e lui invece aveva capito che il bambino conosceva Old McDonald quello della vecchia fattoria ia ia o. Povero Joe.  

lunedì 27 luglio 2015

un paio di spunti sul latte materno

Poco tempo fa, piu' o meno quando nasceva Woody, il bambino di una mia vecchia amica ormai persa di vista, si ammalava gravemente. E' una di quelle cose a cui sto pensando molto nelle mie lunghe notti insonni con il piccoletto. Sto pensando un po' a tutto. Allo sguardo di quel bambino, al perche', al cosa stara' passando lei, a com'e' crudele a volte la vita e poi anche a come aiutare. Al di la' della semplice donazione di denaro, pian piano si e' fatta avanti una strana idea di aiuto a cui non avevo mai pensato prima. E se donassi qualcosa che davvero non ha prezzo?
Il latte materno. Perche' no?
Lo so che e' un argomento molto delicato e se per caso siete delle mamme e avete delle paure o delle difficoltà a questo riguardo, non pensate che sia sempre stato semplice nemmeno per me. La mia prima esperienza e' stata abbastanza disastrosa. Avevo avuto un parto difficile, anticipato e avevo decisamente bisogno di un po' di tempo per riprendermi, eppure in ospedale le cosiddette consulenti all'allattamento non mi diedero un secondo di tregua, ripetendomi che era tutta una questione di volontà e in sostanza colpevolizzandomi. In qualche modo, riuscii ad andare avanti sei mesi con Joe, ma non e' stata un'esperienza facile o particolarmente piacevole.
Questa seconda volta invece, e' stato tutto diverso. Ho trovato ascolto e competenza. E latte materno all'ospedale, per l'appunto. Le nuove consulenti, mi hanno permesso di dare a Woody del latte materno proveniente dalla banca del latte dell'ospedale attraverso il cosiddetto finger feeding finche' la situazione non avesse cominciato a ingranare. E poi soprattutto mi hanno capito, ascoltato, e' stato fondamentale non sentirsi alla sbarra degli imputati. Mi hanno fatto capire che se riuscivo bene, altrimenti bene lo stesso. La pressione e' sparita e tutto e' andato per il meglio.
Ci ho ragionato un bel po' e l'altro giorno ho finalmente fatto quella telefonata che mi metteva sulle spine. Avevo paura che mi dicessero che fosse qualcosa di molto complicato e invece no. Devo rispondere a una serie di domande al telefono e fare un esame del sangue, tutto qui. C'e' una quantita' minima di latte che si puo' donare ed e' quella che in questo momento, dopo soli due mesi, giace nel mio freezer. Quelle bustine di plastica potrebbero essere pastorizzate e arrivare a 300 bambini malati o prematuri. Non mi sono mai sentita piu' utile in vita mia. Spero davvero di essere accettata in questo programma e questo post l'ho scritto per invitare chi e' nella mia posizione attuale a considerare questa forma di solidarieta' che non e' molto pubblicizzata, ma e' agevole, indolore e puo' aiutare molto e molte persone allo stesso tempo. A volte e' solo che non ci si pensa.



P.S. Dopo aver pubblicato il post ieri, ho ricevuto diverse segnalazioni di articoli ed esperienze personali in giro per il mondo. Pare che in Italia, nella maggior parte delle strutture, non esista un'educazione all'allattamento come si fa qui ed e' un peccato perche' allattare per moltissime donne non e' proprio questo miracolo della natura spontaneo e immediato che si vede nei film, anzi richiede molta pazienza e dedizione, tecnica direi. Qui in Texas, l'allattamento viene a dir poco incoraggiato, a volte quasi con arroganza sia dalla societa' che dal personale ospedaliero. Qui, che l'allattamento al seno sia migliore del latte artificiale, non l'ho mai sentito mettere in dubbio da nessuno. Del resto, come non essere a favore valutando tutti i pro e i contro per madre e bambino? E ve lo dice una che ne farebbe anche a meno se non fosse per tutti i benefici che comporta. Qui se non si dichiara di non voler allattare, si viene seguiti automaticamente da almeno una o due consulenti.
Il messaggio fondamentale che mi e' stato passato molto chiaramente durante questa seconda esperienza, e' che allattare non deve essere doloroso, che puo' esserlo all'inizio in modo sopportabile (se facendo un bel respiro e contando fino a dieci il fastidio non si stabilizza o passa del tutto, c'e' qualcosa che non va) e che ci sono diverse strategie e cose da fare per risolvere ogni problematica che si puo' presentare sul cammino. Insomma, puro ottimismo americano all'opera in un momento della vita in cui ce n'e' bisogno piu' che mai.

lunedì 20 luglio 2015

dividere o moltiplicare?

Joe ha avuto tanti comportamenti bizzarri in questi mesi, ma su un punto e' sempre stato molto chiaro: adora il fratellino. Ripete mille volte al giorno quanto gli vuole bene e quanto abbia sempre voluto avere un fratello e nel suo piccolo, quando non ha di meglio da fare, fa tutto quello che puo' per aiutarlo. Mi avvisa quando piange, gli rimette il ciuccio, aiuta a fargli il bagno o a cambiargli i pannolini. Ogni tanto, si avvicina al lettino e gli dice: "Ehi Woody! La vuoi sentire una canzone bellissima?" e comincia a cantare e ballare come un matto le sigle dei cartoni animati.
Pero' io lo so che qualcosa bolle in pentola, come e' giusto che sia, e infatti l'altro giorno fa:

- Ti voglio tanto bene Woody.

E io gli rispondo:

- Ti voglio tanto bene Joe. E voglio tanto bene anche a Woody.

- Ma a me di piu'.

- Mmm....no.

- Ma io faccio tante cose per te.

Allora parto con un improbabile discorso metaforico e profondo.

- Lo so, ma vedi Joe l'amore della mamma non funziona cosi'. Se tu hai una torta, ad esempio, e vuoi dividerla in due, ottieni due pezzi piu' piccoli, giusto?

- Si.

- Invece l'amore della mamma e' speciale e molto strano e diverso da tutto il resto perche' se lo dividi ottieni pezzi sempre piu' grandi. Ogni volta che cerchi di dividerlo si moltiplica... non e' incredibile?

Lui rimane in silenzio, sembra che abbia capito o almeno che stia valutando la cosa e poi invece esclama:

- Si, ma io di piu'.

Joe io lo so che non ha senso, credimi. Se me lo avessero raccontato alla tua eta' non ci avrei mai creduto nemmeno io. Arriva un estraneo che non fa niente a parte piangere e piangere forte e dormire e dormire molto poco e mangiare e mangiare molto spesso e gomitare, come dici tu, e io gli voglio immediatamente bene quanto ne voglio a te dopo piu' di quattro anni che ti conosco? Ebbene si, per quanto folle possa sembrare e' proprio cosi', e' come dicono tutti e ora posso confermarlo. Con la matematica non ci vado d'accordo, te l'ho spiegato subito quando eri molto piccolo a scanso di equivoci, ma una piccola regola almeno te la posso insegnare, l'amore non si divide mai, si puo' solo moltiplicare. Non farti troppe domande stavolta, credici.

giovedì 16 luglio 2015

il mercato delle vanita'

Mi e' successa una cosa particolare. Un po' di tempo fa e' stato dedicato un articolo su un piccolo giornale locale a un progetto che ho fatto a scuola. Ecco, ora c'e' una compagnia che fa placche commemorative di articoli pubblicati sulla stampa (!) che mi sta inseguendo. Non capisco se il giornalista abbia fatto da tramite o se questi passino le giornate a leggere i giornali e cercare le persone da tampinare. Ad ogni modo, apprezzo se non altro la fantasia di questo strampalato stile imprenditoriale che crea un mercato basato giusto sulla vanita' delle persone. Le placche sono costosissime, qualcuno evidentemente le compra, buon per loro, suppongo.

lunedì 13 luglio 2015

anch'io

Quando tornavo in Italia, le mie amiche senza figli, la maggior parte, mi raccontavano spesso di quelle poche che invece erano diventate madri con una punta di fastidio. L'accusa sostanzialmente era una sola: sono scomparse, hanno avuto il figlio e non si sono più viste. E io, pur essendo gia' madre a mia volta, mi sforzavo di capire, ma dovevo davvero usare l'immaginazione perche' a me non era successo cosi'. Io avevo avuto Joe ed ero tornata in pista come prima, anzi prima ancora di essermi completamente ristabilita, le mie amiche di qui (tutte gia' madri) erano venute fisicamente a prelevarmi. Ricordo che uno dei primi giorni a casa con il bambino, si presentarono a sorpresa con tante cose da mangiare e mi fecero una specie di festa di incoraggiamento, se cosi' si puo' dire.  
Stavolta, invece, con il piccolo Woody, e' tutto diverso e mi e' tornata in mente la storia delle madri scomparse perche' adesso capisco esattamente cosa fosse successo loro. E' molto semplice: erano stanche, esauste, magari anche un po' esaurite, come me in questo momento. Ci sono mille fattori in gioco in questi casi, ma fondamentalmente il problema e' uno solo: la mancanza di sonno che ti manda ai matti. Dopo una settimana senza dormire per piu' di un'ora e mezza o due di fila, cominci ad avere le allucinazioni, a mettere le scarpe nel frigo e le zucchine nell'armadio. L'ultima cosa che ti viene in mente e' chiamare un'amica, organizzare una visita o un'uscita o qualunque cosa perche' non sai mai come andra' la notte e se avrai almeno un minimo di energia extra il giorno dopo per fare qualcosa che non sia strettamente legato al bambino (o ai bambini, se ne hai altri). Per forza di cose, la tua vita sociale diventa l'ultima delle tue priorità.
L'altro giorno ero d'accordo con un'amica di portare i bambini al parco qua vicino, niente di speciale. Eppure aspettavo l'ora dell'appuntamento con ansia. Non riuscivo nemmeno a spostarmi dal divano dove stavo guardando i cartoni con Joe. Avevo un mal di testa colossale, l'idea di fare quei quattro passi fuori mi attanagliava, come se avessi dovuto scalare una montagna, fare uno sforzo sovrumano, ma allo stesso tempo ero imbarazzata a disdire, non sapevo come spiegare cosa mi stava succedendo. Beh...non ce n'e' stato bisogno. Ha capito tutto da sola, e' venuta, si e' portata via Joe e mi ha lasciato qualche ora per riposare. Mi e' dispiaciuto tantissimo dover scegliere fra passare del tempo con un'amica -e non potete immaginare quanto ne avessi bisogno- e dormire. Che razza di scelta e' poi? Non e' giusto scegliere fra due bisogni cosi' elementari. Ieri notte, finalmente ho dormito (ben cinque ore! Mi sento come di ritorno dalle Maldive, sul serio) e oggi ho lasciato tutto a Mr. J. e me ne sono andata un paio d'ore fuori con lei.
Sono successe delle cose in questo periodo e forse gliene avrei parlato, per giustificare certe mie assenze, certi comportamenti che mi appartengono poco, ma non ce n'e' stato bisogno nemmeno questa volta. Mi ha portato a mangiare un dolce enorme ed e' stata lei a raccontarmi quello che ha passato quando si trovava nella mia condizione attuale e poi ha aggiunto che io ho un grande difetto, non mi piace ne' chiedere ne' accettare aiuto. Mi ha fatto un bene infinito. Solo fra donne puo' esistere questo livello di comprensione e condivisione.
Tante volte, la vita ti mette di fronte a determinati problemi e tu, anche mentre li stai affrontando, sai che sono cose normali e che non e' la fine del mondo, ma... accidenti se fanno male, se sono difficili da risolvere nell'immediato. Io lo so, ad esempio, che Woody fra un paio di mesi probabilmente, lo spero almeno, smettera' di svegliarsi ogni ora e mezza affamato, ma adesso e' veramente un casino.
L'altro giorno, una signora gli ha dato un'occhiata e ha esclamato che bel bambino, come si chiama? 
Ci credete? Non me lo ricordavo. Ho avuto un momento di quelli tipo quando ti fanno una domanda a un esame e ti va in pappa il cervello e fai scena muta. Solo che non mi hanno chiesto la differenza fra le virtu' etiche e dianoetiche secondo la morale aristotelica, ma semplicemente il nome di mio figlio.

Quando passi momenti simili l'unica cosa che puo' aiutarti e' quello che ha fatto la mia amica per me, sentirsi dire anch'io. Lei ha avuto le allucinazioni uditive addirittura e ne abbiamo riso e abbiamo anche un po' pianto perche' e' cosi' in questi casi, la vita e' bella come mai prima e forse anche dopo, ma e' dura.

Evviva le donne che si aiutano e questo post e' per chi passa di qui e ha capito perfettamente di cosa parlo. A voi voglio dire che... anch'io.

lunedì 22 giugno 2015

the shopping experience

Vado nel mio negozio di scarpe preferito con in mano (cioe' sul telefono perche' me lo avevano mandato via email...) un buono sconto di quindici dollari scaduto da qualche settimana. In questo negozio come in tanti altri, la scadenza non importa, ma chiedo conferma alla commessa giusto per sicurezza e mi dice che invece no, da un paio di mesi non accettano piu' buoni sconto scaduti perche' c'era chi se ne approfittava e cercava di usare sconti scaduti da anni. Le dico scherzosamente va bene, ma guardi qui, ho appena avuto un bambino, mi sembra di avere una buona scusa per non essere venuta a usare il mio sconto, no?
Mi risponde che e' vero e che chiede subito al suo capo se si puo' fare un'eccezione. Comincio il mio giro fra gli scaffali e dopo un po' vengo raggiunta da un'altra commessa che mi dice che e' tutto a posto e posso usare il mio buono. Come al solito, quando hai uno sconto non trovi nulla che ti piace. Cerco e ricerco e alla fine mi imbatto in un paio di scarpe che possono andare, ma non c'e' il mio numero. Chiedo se possono dare un'occhiata in magazzino e mi dicono che quel numero non c'e', ma possono spedirmele a casa gratuitamente e arriveranno fra due giorni.
La cosa piu' bella in tutto questo e' stata l'espressione sbalordita della mia mamma.
Ci sono tanti pro e contro nel vivere qui o in Italia. Sulla gentilezza dei negozianti, pero' non c'e' davvero paragone, gli U.S. vincono a man bassa.  

lunedì 15 giugno 2015

di caitlin jenner e rachel dolezal

Non pensavo di farlo cosi' presto, ma torno gia' sul tema del razzismo perche' e' successa una cosa davvero troppo interessante per ignorarla.
Allora. A Washington c'e' un'attivista per i diritti degli afroamericani, tale Rachel Dolezal, che a quanto pare, ha sempre fatto un ottimo lavoro. E' nera. Ci sono molte foto che la ritraggono con il padre, il marito e il figlio di colore e si e' dichiarata anche vittima di discriminazioni razziali.
C'e' solo un piccolo problema, sarebbe tutto falso. L'altro giorno, infatti, una coppia di bianchi ha dichiarato di essere molto preoccupata per la salute mentale della figlia Rachel, nota attivista per i diritti degli afroamericani, che finge da molti anni di essere di colore. La Dolezal avrebbe costruito un vero e proprio castello di bugie. Il presunto figlio sarebbe in realta' il fratello e il padre un impostore. E' tutto molto complesso e poco chiaro, ma avrebbe mentito a tutti.
La notizia e' stata riportata anche dai giornali italiani. Un titolo sembrava avere la soluzione dell'enigma in tasca: Si finge afroamericana per anni per diventare una leader della lotta dei diritti civili dei neri. E i commenti relativi a quell'articolo facevano sorridere per l'ingenuita'. La maggior parte non riuscivano ad andare oltre al fatto che una donna bionda, con le lentiggini e gli occhi chiari fosse riuscita a farsi credere nera.
In realta', come ho spiegato molte volte qui, non tutti i neri sono neri. E' un terreno molto scivoloso, ma e' cosi': ci sono afroamericani dalla carnagione chiara che  si dichiarano neri senza sembrarlo e altri che scelgono di passare per bianchi tutta la vita.
Ma l'aspetto interessante della vicenda non e' se questa signora sia pazza, se abbia imbrogliato con un fine e che cosa le sia passato per la testa insomma, ma la reazione della societa' americana a tutto questo.
Il punto centrale del dibattito qui e' subito stato un altro:
perche' se una persona si sente nera, non puo' vivere da nera? Perche' se fa bene il suo lavoro dovrebbe essere penalizzata dall'essere di un colore rispetto a un altro? La nostra societa' non dovrebbe volare al di sopra di queste differenze e guardare alla persona in se'?
E tantissimi si sono messi a paragonare Rachel Dolezal a Caitlin/Bruce Jenner, l'ex campione olimpico che proprio pochi giorni fa e' uscita allo scoperto come donna sulla copertina di Vanity Fair.
Devo dire che gia' la storia di Caitlin Jenner mi aveva fatto sentire molto felice di vivere in questo paese. L'idea che qualcuno faccia un gesto simile e venga supportato dall'opinione pubblica nel modo in cui lui lo e' stato, e' meravigliosa. La maggior parte dei commenti che ho letto sia di giornalisti che di persone comuni erano dalla sua parte. E' stato definito ovunque un eroe e un simbolo.
Ora. Anche il caso di Rachel Dolezal e' significativo, ma porta la discussione quasi al paradosso.
Cioe' io potrei dire di sentirmi un uomo asiatico a questo punto ed essere nel pieno diritto di essere trattata come tale? Non so cosa pensare, non ho un'idea, ma adoro il fatto che questo dibattito filosofico esista e che un sacco di gente si stia ponendo come me per la prima volta questo tipo di domande.  

domenica 14 giugno 2015

nonni e nonni

Se e' perfettamente appurato che non tutti tengono a diventare genitori, e' altrettanto appurato che quasi tutti a una certa eta', vogliono fare i nonni. Lo dico perche' i piccoli Johnson hanno schiere di pretendenti: nonni e bisnonni veri e acquisiti, amici di famiglia e insegnanti che fanno viaggi per vederli, gli comprano giocattoli, li viziano, gli scrivono lettere e pretendono di essere chiamati nonni o come si usa qui Mimi, Cici, Pa Pa, ecc. Pero' poi ti accorgi che e' proprio un gioco. La verita' e' che dopo un pomeriggio con i bambini, un paio d'ore a dir tanto, la maggior parte dei nonni, non ne puo' piu'. Amano l'idea di essere nonni, ma non poi cosi' tanto sorbirsi i nipoti con tutti i lati negativi che la realta' comporta (funzioni corporali, capricci, notti insonni, impossibilita' di spegnerli...).
Ecco, in questo la Nonna Squalo e' davvero una voce fuori dal coro. Quando le togli un nipotino per farla riposare un attimo, ti sembra quasi di farle un torto.
La Nonna Squalo viene dall'altra parte del mondo per vedere i suoi nipoti e non per modo di dire. 24 ore su 24 sempre con loro.
Gioca, canta, coccola, fa qualsiasi cosa per loro e con loro. Non sta ferma neanche a legarla.

giovedì 11 giugno 2015

l'incidente di mckinney

McKinney e' una cittadina qui vicino. Forse per questo l'incidente del poliziotto Rambo che viene chiamato a risolvere una banale lite durante una festa di ragazzini (quasi tutti di colore) e dopo una rocambolesca entrata in capriola finisce per puntare la pistola e bloccare una pericolosissima quindicenne in bikini sedendocisi sopra, mi ha colpito tanto. Avrebbero potuto essere i miei studenti, i figli dei miei vicini di casa.

Mi ha colpito la violenza, il sessismo, il razzismo e soprattutto la stupidita' che poteva facilmente causare ancora una volta la morte di qualche innocente (come spiega Steven W Thresher nell'editoriale piu' appassionato che abbia mai letto su un giornale come il Guardian).

La notizia ha fatto subito il giro del mondo e la condanna e' stata pressoché unanime. L'agente e' stato definito indifendibile dai suoi stessi colleghi e alla fine si e' dimesso. Ha poi spiegato attraverso il suo avvocato di aver agito in maniera avventata perche' ancora sconvolto dopo essere intervenuto sulla scena di un suicidio e di un tentato suicidio quello stesso giorno. 

Umanamente lo si puo' anche capire al limite - io mi sconvolgo per molto meno - ma se scegli di fare quel mestiere devi avere i nervi piu' saldi del cittadino comune, altrimenti non ha senso, peggiori solo le situazioni.

A me e' sembrato, leggendo quella dichiarazione dell'avvocato, che il poliziotto non si rendesse conto di far parte della storia di questa societa'. E' un momento molto particolare, contrassegnato da enormi tensioni razziali e le ragioni personali -ho avuto una giornata no- in una prospettiva simile contano zero perche' la tua cosiddetta giornata no  ora come ora, puo' scatenare una rivolta senza precedenti, basti pensare a Ferguson.  

Poche settimane fa, a Waco, sempre qui in Texas, due bande di motociclisti si sono affrontate in pieno giorno, davanti a un ristorante affollato, uccidendosi a vicenda. Nove morti. Anche quella notizia ha oltrepassato i confini nazionali, ma la polizia e' intervenuta in modo completamente diverso. Nelle foto che giravano ovunque si vedevano questi pericolosi energumeni accusati di omicidio seduti tranquillamente ad aspettare che li portassero via senza nemmeno le manette, quasi annoiati. Quindi tu che osservi, e nel mio caso da molto vicino, hai questa sensazione netta e avvilente di ingiustizia: la polizia si accanisce con una violenza spaventosa contro degli adolescenti neri a una festa in piscina in un quartiere residenziale perche' teme per la propria incolumita', ma tratta questi motociclisti bianchi, assassini dalla pistola ancora fumante con i guanti, li lascia perfino liberi con in mano cellulare a giocare per ingannare il tempo.

In questo paese, e in Texas sicuramente piu' che altrove, c'e' un problema razziale, e' evidente, ma qualcuno si ostina a non vedere.

martedì 9 giugno 2015

dare un nome alle cose

Gli americani a volte sono un po' strani. Puo' darsi che si offendano se gli fai una domanda sulla politica o sulla religione, ma poi magari ti raccontano esperienze personali privatissime senza nessun tipo di pudore. Mi e' successo molte volte, anche con persone che non conoscevo bene o addirittura in ambito lavorativo. Nessun problema a tirar fuori volontariamente le proprie dipendenze, arresti, molestie subite, esaurimenti nervosi, fantasie di suicidio. Sembra non esistere un argomento che non si possa affrontare in tutta normalità e scioltezza.
Un giorno, in ospedale, dopo aver avuto Woody, ero piena di dolori e avevo anche la febbre alta. E mi sentivo inconsolabilmente triste. E piangevo, come una fontana. Senza pensare a niente o capire perche' o potermi fermare. In quel momento e' entrata un'infermiera a controllarmi, anziana, un po' accigliata. Non si e' scomposta per niente.
- Ascoltami bene, honey. Ci sono un paio di cose che devi sapere adesso. E' normalissimo nella tua situazione sentirsi triste e avere voglia di piangere. Si chiamano baby blues e passano e non c'e' niente di cui preoccuparsi. Ma fai attenzione. Se invece ti senti incapace di prenderti cura del tuo bambino, se non riesci nemmeno a prenderlo in braccio o a cambiargli un pannolino, devi cercare subito aiuto. Questi sono i segni della depressione post parto.
Beh, mi ha aiutato. Con il suo pragmatismo ha riportato tutto in una dimensione di normalità e mi ha rassicurato. Il messaggio per come l'ho interpretato io era: in entrambi i casi, e' tutto sotto controllo.
Parlare chiaro e dare un nome alle cose aiuta sempre.

giovedì 4 giugno 2015

il turbinoso arrivo di woody

Si sente sempre dire: il giorno piu' bello della mia vita e' stato quello in cui mi sono sposato o quello in cui e' nato mio figlio. Ecco. Sono felicemente sposata, ho due figli adesso, eppure se penso a un ipotetico giorno piu' bello della mia vita, ammesso che ci sia, mi vengono in mente soprattutto giorni normali, in cui non e' successo nulla di speciale. Quelli in cui hai il tempo di guardarti intorno e assaporare la tua vita, cosa che, devo ammettere, un po' mi manca in questo periodo.
Woody e' nato pochi giorni fa e certo, il momento in cui l'ho visto per la prima volta, e' stato fortissimo, indimenticabile e perfetto, ma la verita' e' che quasi tutto quello che c'e' stato prima e anche dopo e' stato ed e' ancora, piuttosto difficile.  In tutta la vita, non credo di aver mai sofferto tanto fisicamente e per quanto tu possa essere razionale e determinato e straentusiasta di una situazione, che tra l'altro hai desiderato con tutte le tue forze, dopo un po' succede che dal corpo il malessere passi allo spirito. E' fatale forse, mettiamoci anche gli ormoni impazziti. Ti manca l'energia, hai cosi' tante limitazioni che praticamente tutto quello che amavi fare prima ti e' precluso. Ci vuole tanta pazienza, una qualita' di cui non sono mai stata molto provvista purtroppo.
Eppure quando nasce un bambino, si dice mamma e bambino stanno bene e sembra sempre finisca tutto li', come nelle favole. Una specie di e vissero felici e contenti prima che tutto cada nell'oblio.
Allora, vado un po' controcorrente e vi racconto come qualche volta vanno davvero le cose.
Quando e' nato Joe, c'e' stato un grande problema durante il parto. Ho rischiato grosso, ma non lo sapevo prima e l'incoscienza mi ha aiutato ad affrontare la situazione. Questa volta invece, e' stata tutta un'altra storia. Mi hanno spiegato che succede molto raramente, ma per mia immensa (s)fortuna, ho avuto di nuovo lo stesso identico problema e con rischi perfino piu' gravi essendo la seconda volta. Quello che mi faceva piu' impressione nelle ultime settimane prima del parto era il modo in cui mi parlavano i medici. Non erano mai di fretta. Mi chiamavano anche a casa e mi spiegavano tutto nei minimi dettagli. Le visite potevano durare intere ore ed ero sempre io a decidere quando era abbastanza. Non so come funzioni in Italia o nemmeno se sia normale qui, ma il problema in questo mio caso particolare, era che toccava a me, una volta compresi i rischi, decidere che tipo di intervento volevo. Ho sentito mille pareri, ma era proprio uno di quei casi in cui non c'e' solo un modo di operare oppure, come disse una volta il mio fantastico e super rassicurante ginecologo asiatico traducendo letteralmente dalla sua lingua credo, there is not just one way to kill a chicken, non c'e' un solo modo di uccidere una gallina.
Dopo essere finita in ospedale un mese prima del parto, dal mio lettuccio, a riposo forzato, ho cominciato a fare dei pensieri strani. Sulla mia sopravvivenza, soprattutto. Anche in questo caso, come con Joe, sapevo che il rischio era tutto mio e che il bimbo stava bene e questo mi aiutava moltissimo, certo, ma sostenere tutte quelle conversazioni su quanti litri di sangue avrei potuto perdere e su cosa era andato storto alle madri che prima di me non ce l'avevano fatta, mi aveva provato emotivamente. Alla fine avevo scelto la strada che diminuiva al minimo il mio rischio di perdere la vita, ma che portava con se' tanti altri rischi, come quello di tornare in sala operatoria dopo qualche giorno o perfino di subire qualche danno permanente.
Il giorno dell'operazione le infermiere mi dicevano che un caso come il mio capitava si e' no una volta l'anno e che mi portavano da un'altra parte ed era tutto un po' diverso. Tutto lo staff venne a salutarmi e a presentarsi, dalle infermiere, all'anestesista. A un certo punto, nell'attesa di iniziare, il mio medico, quello della gallina, mi prese lungamente la mano nel tentativo di darmi conforto. Un comportamento talmente fuori dal suo personaggio che ottenne il risultato opposto di darmi perfettamente la misura dei pericoli a cui stavo andando incontro.
Ad operazione iniziata, Mr. Johnson era li' con me e io stavo bene, ero serena, vigile e non avevo nessun dolore. Dopo pochissimi minuti, abbiamo sentito il pianto di Woody. Davvero si', uno dei singoli momenti piu' esaltanti della nostra vita. E poi, nello stupore generale, un'operazione che si pensava sarebbe dovuta durare ore e' finita quasi subito, o almeno questa e' stata la mia percezione. E' andato tutto nel modo migliore possibile. Non e' successo niente di tutto quello che avevamo paventato. Non mi sono mai sentita tanto fortunata nella vita, e' stato incredibile, surreale, un sogno ad occhi aperti.    
Questo di solito e' il momento che dicevamo, quello in cui il padre esce dalla sala operatoria e dice "mamma e bambino stanno bene" e cala il sipario perche' e' arrivato il lieto fine. Pero' siccome non e' una favola e nella realta' raramente vissero tutti felici e contenti e basta, sono successe tante altre cose. Per quanto sia andata molto meglio del previsto, l'operazione non era comunque una passeggiata. Oltretutto, uscita dall'ospedale mi sono beccata una febbre alta che non si sapeva da dove arrivasse e tanti altri problemucci che dopo due settimane stanno solo cominciando a migliorare.
Mi sono fatta un'idea sul perche' di tutto questo. Credo che il mio corpo stesse continuando a mandarmi chiari segnali di smettere di fare bambini. Lui non sapeva che il messaggio era gia' stato ampiamente recepito.
Adesso siamo in questa fase un po' complicata di stupore e meraviglia permanente per questo secondo essere perfetto e sublime che e' entrato a fare parte delle nostre vite e tante altre cose meno piacevoli. Le preoccupazioni per la sua salute fisica (niente di grave, era un po' prematuro e ha perso un po' piu' peso del previsto) e per le enormi insicurezze di Joe condite da un mio livello di energia bassissimo per affrontare tutto questo nel modo piu' pieno e sereno.
Chissa' forse e' il mio destino quello di avere sempre un qualche rimpianto, ma in questo caso, mi sarebbe davvero piaciuto godere di piu' di tutto questo, a partire dalla gravidanza e poi tutto quello che e' venuto dopo. Avrei voluto che gli ultimi mesi fossero stati un po' meno difficili e angoscianti, ma e' andata cosi'. Anzi. E' andata benissimo comunque.
Mi viene in mente quello che dice sempre una mia amica in carriera, con tre figli piccoli e mille impegni. Qualunque cosa ci possa capitare di brutto o doloroso, guarderemo sempre a questi anni e a questi giorni, come i piu' belli della nostra vita.