domenica 26 gennaio 2014

io sono qui

Mi succede una cosa molto strana, piu’ passano gli anni e piu’ le insicurezze aumentano. Una volta i miei giudizi sulle persone e i fatti erano piu’ taglienti, ora sono abbastanza cauta. Sono sempre piuttosto appassionata delle mie cause, ma pondero molto di piu’ quello che dico e che faccio, la realta’ e’ cosi’ complicata e in divenire che mi lascio sempre degli spiragli aperti. Mi fido ancora molto del mio istinto, anzi piu’ di prima in realta’, ma tengo in conto anche il fatto che le persone spesso non sono quello che sembrano e le situazioni nascondono sempre risvolti che solo i protagonisti possono conoscere.
Questo mio modo di vedere la vita, da un po’ di tempo condiziona anche questo posto. Ogni volta che c’e’ da premere quel tasto li’, pubblica, e’ un po’ un dramma. L’ansia e’ quella di non spiegarsi bene e quindi in qualche modo di tradirsi. Insomma lo confesso, mi diverto meno.
Recentemente, poi c’e’ anche stato un post che per qualche motivo a me imperscrutabile ha causato moltissime polemiche, in alcuni casi sgradevoli che mi hanno toccato e offeso. So che queste cose sono all’ordine del giorno nella maggior parte dei blog, ma non qui, in sette anni non era mai successo. Difatti, ho ricevuto subito molti messaggi di solidarieta’. Da quelli piu’ seri a quelli piu’ divertenti che sdrammatizzavano perche’ in fondo, lo dico io stessa, non e’ successo nulla. Chi mi diceva non e’ che ora chiudi, eh? oppure ma lasciali perdere quelli li’ che non ti conoscono, a chi mi chiedeva spiegazioni e anche chi mi faceva i complimenti e mi diceva che cosi’ era tutto molto piu’ appasionante e si vede che tocchi le persone e usala questa cosa, vedrai come ti aumentano le visite. Ma a me delle visite non importa un accidente, infatti appena mi hanno spiegato come funzionano queste cose, ho smesso di rispondere e si e’ subito sgonfiato tutto lo scandalo. Sarebbe ipocrita dire che a questo punto scrivo solo per me. Mi fa piacere raggiungere piu’ persone possibili, ma non trattandosi di un lavoro, la mia aspirazione e’ raggiungere i miei amici, soprattutto quelli che non ho la fortuna di frequentare spesso, o al massimo entrare in contatto con chi mi piacerebbe incontrare anche nella vita e da cui sento di poter imparare qualcosa, non chiunque. In linea di massima, e’ sempre stato cosi’. Ora invece, i numeri, pur minimi rispetto a quelli di tanti altri siti, stanno portando nuovi visitatori e cambiando un po’ tutti gli equilibri. Mi piacerebbe fare quella a cui i giudizi negativi scivolano addosso, ma non e’ cosi’ soprattutto se piu’ che argomenti ti trovi davanti provocazioni o insulti, magari anonimi. Mi fa rabbia vedere (e non solo qui) con quanta foga certa gente si metta a distruggere il lavoro degli altri. E’ cosi’ facile distruggere e cosi’ difficile costruire, creare, mettersi in gioco. Ci sono persone che trovano lo stimolo a fare meglio sotto pressione, ma io penso che per la maggior parte di noi il meccanismo sia opposto. Di solito, si cresce, ci si sente abbastanza forti da sfidare i propri limiti in un’ambiente benevolo. Posso solo immaginare con imbarazzo tutti gli errori che devo aver commesso appena assunta qui con il mio pessimo inglese e un lavoro che non avevo mai fatto prima, errori di cui magari non mi sono neppure accorta e a cui non ho potuto rimediare. Eppure nessuno mai me li ha fatti pesare, al contrario. I commenti che ricevevo riguardavano quello che di positivo riuscivo ad aggiungere all’ambiente scolastico e cosi’ pian piano invece di rinunciare ho migliorato, sono stata promossa e continuo ad andare avanti.
In questi giorni, ho ragionato per la prima volta davvero su quello che questi anni di Nonsisamai hanno rappresentato per me. Se rinunci, devi capire bene a cosa rinunci. 
La prima cosa che mi e’ venuta in mente e’ che l’esercizio di questo particolare tipo di scrittura, riempie di significato esperienze che altrimenti passerebbero inosservate. Mi fa aguzzare la vista, tiene viva la mia mente, l’immaginazione. La vita e’ cosi’ veloce che ho l’impressione di afferrarla per un attimo solo quando la descrivo. E la descrivo con i miei occhi, non si tratta di pontificare. Oltre a questo ci sono i lettori. Mi riferisco soprattutto a quei quattro gatti che oramai ho l’impressione quasi di conoscere sul serio, ma non solo a loro. Ci sono amici che non avrei mai incontrato, lavori che non mi sarebbero stati proposti. Quando leggo determinati commenti o messaggi mi sento incredula e lusingata che persone di questo livello umano e culturale usino una piccola parte del loro tempo per leggere questo blog. Mi e’ anche capitato spesso di consigliargli di non farlo, di leggere qualcosa di piu’ adatto a loro, pero’ se si ostinano a tornare, a condividere e con grande discrezione ad essere presenti, forse e’ perche’ e’ vero quello che disse Neil Gaiman rispondendo a una giovane artista a cui era stato caldamente consigliato di cambiare mestiere perche’ ci sono gia’ abbastanza artisti al mondo: che ci possono essere tutti i punti di vista che vuoi, ma nessuno ha il tuo particolare, unico, piccolo punto di osservazione della realta’ e per qualcuno proprio quello li’, il tuo, potrebbe rivelarsi prezioso.
Beh, non so cosa faro’, ho anche altri interessi in fondo e una vita fin troppo piena che andra’ avanti lo stesso come prima. Mi e’ capitato di pensare che forse eventi di questo tipo possono essere presi come segnali che e’ arrivato il momento di cambiare direzione e i cambiamenti non devono essere per forza negativi. Ad ogni modo, non amo fare piani e prendere decisioni drastiche vediamo un po’ cosa succede, con molta tranquillita’ da parte di tutti, spero.

giovedì 16 gennaio 2014

notizie americane

In questi giorni mi hanno colpito due notizie americane.

La prima e’ quella del dibattito sulla possibilita’ o meno di vietare l’ingresso ai bambini nei ristoranti di lusso. Sono decisamente d’accordo sul fatto di non portare un bambino in un ristorante di lusso, ma non mi piacciono i divieti. Tra l’altro, non riesco a immaginare una discussione simile in Italia, abbiamo tutt’altro approccio nei confronti nei bambini, piu’ naturale a mio parere. Qui, ad esempio, allattare in pubblico e’ una sorta di affronto, in Italia una semplice esigenza che non scandalizza nessuno (almeno questa e’ sempre stata la mia esperienza). Tutto quello che riguarda i bambini, mi sembra troppo complicato e iper–regolato negli Stati Uniti. Appena sono arrivata qui, pur non avendo figli rimanevo sempre interdetta quando ricevevo un invito con scritto a chiare lettere di non portare bambini. Oramai ci ho fatto l’abitudine, pero’ mi pare sempre brutto. Mi pare brutto anche portare bambini in posti non per loro, ma dove lo mettiamo il buon senso dei genitori in tutto questo discorso?

La seconda notizia invece e’ quella del tale in Florida che si e’ irritato a tal punto con qualcuno che usava il telefono al cinema (per mandare un messaggio all’asilo della figlia piccola mica per parlare, eh) da tirare fuori la pistola e ammazzarlo a sangue freddo. Il suo avvocato ha sostenuto che si e’ sentito minacciato perche’ la vittima gli ha tirato addosso dei popcorn (non e’ una battuta).

E’ una notizia che mi ha scioccato due volte: per l’accaduto in se’ e per le reazioni. Non solo i soliti commentatori pazzi, ma fior di critici cinematografici e bloggers si sono messi a sostenere tra il serio e il faceto che la vittima se l’e’ cercata. Insomma, in un secondo hanno spostato il dibattito da “guarda cosa combinano quelli che dicono di andare in giro armati per proteggerci” (il pistolero era un ex poliziotto) a “quanto e’ fastidioso quando la gente manda i messaggi durante un film”.

Quando leggo cose simili penso che non mi amalgamero’ mai, saro’ sempre un outsider. E mi va bene cosi’.

mercoledì 15 gennaio 2014

se sei di fretta, non dire mai di essere italiano

 

Entro di corsa in un posto a prendere un caffe’. Mi precipito alla cassa. Voglio dire, probabilmente si poteva intuire che ero di fretta. 

- Sei francese?

- No, italiana.

- Ci sono andato vicino. Stavo cercando di indovinare…che bell’accento… Sai che c’e’? Ti raccontero’ una storiella divertente sull’Italia.

- …

- Sono stato in Italia tanti anni fa con un amico e volevamo davvero vedere Florence. Cosi’ abbiamo cominciato a guardare la mappa e…non c’e’ nessuna Florence. Guardiamo e riguardiamo. Oh man, in Italia non c’e’ Florence e com’e’ possibile?  

- …

- E’ perche’ non c’e’ nessuna Florence, in Italia c’e’ Firenze!

martedì 14 gennaio 2014

il vero significato delle parole: bless your heart

A volte, specialmente esprimendoti in una lingua che non e’ la tua, puo’ capitarti di avere una certa sensazione riguardo al vero significato di una conversazione, quello nascosto fra le righe, ma non avendo tutti gli elementi per valutare, ti affidi al consiglio dei tuoi amici che usano quella lingua da quando sono nati.

Cosi’ l’altra sera a cena, racconto ai miei amici americani un piccolo episodio capitato la settimana scorsa a scuola.

Il preside, nel primo trimestre, aveva chiesto con un solo giorno di preavviso a me che insegno arte e ad altri due insegnanti ‘speciali’, quello di musica e quello di spagnolo, di scrivere delle lettere per le famiglie. A me era sembrato chiarissimo che quel lavoro, da quel momento in poi, dovevamo farlo ogni trimestre. Quindi l’ho fatto e basta. Anche perche’ per me scrivere sette lettere in inglese non e’ uno scherzo, preferisco non essere costretta a farlo la notte prima e avere il tempo di farmele correggere da qualcuno. 

E’ venuto fuori che i miei colleghi, senza nemmeno mettersi d’accordo, avevano invece deciso entrambi di far finta di niente e sperare che il capo si dimenticasse. Comportamento estremamente maturo. Una dei due, simpaticissima, con cui ho sempre avuto un ottimo rapporto, ridendo e scherzando mi fa uno strano discorso:

- Ema tu la devi smettere di fare le cose cosi’ bene, fai fare a noi una bruttissima figura. Lo vedi? Noi siamo qui (e mette una mano all’altezza della vita) e tu sei qui (e porta la stessa mano sopra la testa), ma noi siamo felicissimi di stare quaggiu’!

Li’ per li’ ne abbiamo tutti riso, io compresa, pero’ poi ho pensato che se me lo ha detto, significa che lo pensa. O no? Era solo una battuta o era la solita menata passivo aggressiva in una forma un po’ piu’ leggera? A prescindere dal fatto che la cosa stavolta non mi tocca in nessun modo, che io continuo a fare il mio lavoro come ritengo piu’ opportuno e che di quello che pensa lei non mi importa piu’ di tanto, voglio capire.

Ecco, secondo i miei amici all’unanimita’, non c’e’ nessun dubbio: la collega voleva dirmi esattamente quello che ha detto. La questione che loro pero’ hanno messo in evidenza e’ molto piu’ ampia e generale. Sostengono cioe’ che soprattutto qui al sud semplicemente non si dice quello che si pensa. Mai. E se proprio, come in questo caso, lo si vuole dire lo si maschera talmente bene da lasciare sempre l’altra persona con qualche dubbio, come e’ successo alla sottoscritta.

Hanno aggiunto che, nella maggior parte dei casi, si tratta di dettagli minimi, cose che solo una persona cresciuta qui puo’ veramente cogliere.

Una mia amica faceva l’esempio di sua nonna. Per sessant’anni, ogni volta che il marito faceva una cosa che non condivideva, gonfiava i polmoni, faceva una specie di ghigno e diceva tutto d’un fiato:

- Va bene, questo e’ quello che hai deciso allora.

Tutti sapevano che non le andava bene, ma lei di fatto non lo ha mai detto.

A un certo punto del discorso pero’, e’ successa una cosa che cambiera’ per sempre la mia vita qui: mi hanno spiegato il vero significato di bless your heart.

Dovete sapere che bless your heart e’ una frase che sento, soprattutto a scuola, mediamente venti o trenta volte al giorno e non ci ho mai trovato nulla di strano o di cattivo. Significa semplicemente poverino/a. O almeno questo e’ quello che credevo fino all’altra sera.

Secondo i miei amici, invece, c’e’ poco da fare: il novanta percento delle volte significa piu’ qualcosa tipo ‘fottiti idiota’.

Ma vediamo alcuni esempi.

- Persona incapace di svolgere un qualunque compito. Oh, bless his heart, he tried so hard!

- Persona vestita in modo stravagante. Bless her heart, she’s so special.

- Non hai capito qualcosa. Oh, bless your heart, it’s ok.

- Quando non sono d’accordo con un tuo giudizio. Bless your heart anche in quel caso.

E potrei andare avanti all’infinito.

A chi obietta, come ho fatto io, che queste frasi non sono necessariamente offensive, bisogna dare ragione in pieno. Ma non capite che e’ proprio questo il punto?

Insomma, secondo la teoria dei miei amici e non solo loro, questa frase che sento quotidianamente dire per lo piu’ a vecchiette indifese puo’ significare niente di male o tutto di male. E per di piu’ non puoi offenderti perche’ anche se pensi che intendessero darti dell’idiota, il significato letterale e’ un altro.

In italiano non c’e’ niente del genere, vero?

Ah, quanto era piu’ semplice la mia vita quando in inglese capivo giusto l’indispensabile…

mercoledì 8 gennaio 2014

l’intolleranza dell’intolleranza

E’ venuto a trovarci un amico da un’altra citta’, piu’ piccola e provinciale di Dallas. Lui e’ un artista, un intellettuale, un tipo pieno di idee e iniziative, chissa’ cosa potrebbe fare in un ambiente diverso, ma per qualche motivo che mi sfugge (e la conosco piuttosto bene quella citta’), non si sposterebbe mai e poi mai da li’.

A un certo punto ci ha raccontato che da quelle parti, come ovunque del resto, nessuno si definisce razzista, ma in questi ultimi tempi la situazione e’ peggiorata a tal punto che e’ diventato del tutto normale fare commenti apertamente razzisti. Qui, in tutti questi anni, non ho mai sentito un commento razzista del tipo a cui alludeva lui.

La mia reazione e’ stata:

- Ma tu perche’ ci parli con questi qui che fanno i commenti razzisti?

E li’ e’ cominciata la discussione che facciamo puntualmente, ogni volta che ci vediamo.

- Perche’ bisogna parlarci! E’ cosi’ che si cambia il mondo!

Ha detto proprio queste parole. E’ cosi’ che si cambia il mondo.

Bello, certo, ma no grazie. Io non ci riesco a ragionare come lui, non sono cosi’ tollerante. Mi piace molto di tanto in tanto farmi una chiaccherata casuale con qualcuno che dice assurdita’ estremiste. Mi incuriosiscono le persone lontane da me, ma da li’ a stabilirci un qualunque tipo di rapporto continuativo o a pensare di volerle o poterle convincere di qualcosa, ce ne passa. Infatti, di solito faccio l’esatto contrario di quello che fa lui: se so di essere in compagnia di un fanatico delle armi o di un fanatico in generale, cerco di non iniziare nessuna polemica perche’ mi sembra sterile scannarsi per scannarsi [--> segno di vecchiaia].

Pero’ continuavo a pensare a quelle parole. E’ cosi’ che si cambia il mondo. In fondo, mi ha dato fastidio fare la parte della cinica, visto che non credo di esserlo. Cosi’ mi sono messa a discutere della questione con un’amica texana per sentire un altro punto di vista. Innanzitutto le ho chiesto se secondo lei anche qui la gente parla in quel modo perche’ io non conosco nessuno che lo farebbe. Lei pensa che la situazione da queste parti non sia a quel livello, anche se sicuramente lo e’ nelle piccole citta’ sperdute. E poi mi ha dato da pensare anche lei. Mi ha raccontato che su Facebook un tipo che conosce e con cui e’ anche uscita qualche volta, si e’ messo a postare commenti molesti contro gli omosessuali e lei gli ha scritto un messaggio privato per spiegargli con chiarezza di non prenderla sul personale, ma che doveva eliminarlo dai contatti perche’ non era per niente d’accordo con il suo pensiero e non voleva rischiare di leggere altre cose simili in futuro. Il tipo non ha nemmeno risposto.

Ecco, io sono drastica, le volte in cui mi sono capitate cose del genere, non ci ho nemmeno pensato a dare delle spiegazioni, ho scancellato il contatto e basta. Non ci sono tante cose che mi irritano, ma se si tratta di violenza, omofobia e razzismo mi chiudo a riccio.

Mi chiedo se sbaglio (mi chiedo sempre se sbaglio). Probabilmente si’, ma forse non ho una vera scelta davanti. Qualcuno dall’altra parte mi ha scritto che anche l’intolleranza verso gli intolleranti e’ razzismo e qualcun altro invece che tollerare l’intolleranza e’ rendersi partecipi. La posizione dell’amico che vuole cambiare il mondo e’ senz’altro la piu’ alta a livello etico, ma bisogna anche fare i conti con i propri limiti. Diciamocelo: cambiare il mondo, e soprattutto attraverso la persuasione, non e’ da tutti.

Forse sono egoista o edonista o non so che, ma io penso che la vita e’ corta e che voglio passarla tutta, avendo la possibilita’ di scegliere, con persone migliori di me, con persone che mi aiutino a crescere e che mi insegnino qualcosa di buono.

Voi come vi regolate?

lunedì 6 gennaio 2014

alabama, mississippi o giu’ di li’

Vi ricordate la famosa storia divenuta poi una sorta di barzelletta, della vecchietta che ha fatto causa a McDonald perche’ il caffe’ era troppo caldo? Ecco, recentementre ho guardato un documentario (intitolato Hot coffee) e sono rimasta senza parole. Tutto quello che ci e’ stato raccontato per anni e cioe’ che la signora era alla guida mentre cercava di bere, che non si era fatta praticamente niente e che voleva solo arricchirsi, era una menzogna. Il documentario mostra le foto delle ustioni e cio’ che quella povera donna ha dovuto subire per colpa di uno stupido caffe’ e’ raccapricciante e scandaloso. Senza contare il danno morale, lo scherno e le offese di cui e’ stata vittima per il resto della sua vita a causa di quella vicenda.

Se uno va a fare una qualche attivita’ pericolosa, accetta di correre un rischio, ma se uno va a farsi un caffe’, come puo’ anche solo immaginare di trovarsi in una situazione del genere?

Dopo centinaia di proteste per quel caffe’ che sembrava uscito direttamente da un radiatore, qualcuno si ustiona. Il ristorante invece di scusarsi e risarcirlo, fabbrica e distribuisce a tutti media una verita’ completamente ribaltata in cui loro non c’entrano nulla e la vittima invece diventa una demente o alla meglio una brutta persona disposta a tutto per fare soldi facili. E l’opinione pubblica naturalmente si beve tutto. Non mi esprimo su altre questioni, ma quello che quest’azienda e’ stata capace di fare in questo caso specifico, e’ aberrante e diabolico.

Proprio pensando tutto il male possibile di McDonald, la settimana scorsa, sono finita per andare da McDonald. Lo so, la coerenza. Pero’ eravamo in viaggio, un viaggio lunghissimo, cinque stati in un giorno e ci serviva un posto in cui il piccolo Joe potesse finalmente giocare e sfogarsi un po’ dopo essere stato seduto per ore, McDonald era l’unico a portata di mano. E’ cosi’ che ti frega.

Viaggiando nel sud degli Stati Uniti, dalla Florida al Texas, si attraversa una zona che definire desolata e’ poco. Si respira un’atmosfera triste, un certo degrado rispetto ad altri stati, o almeno questa e’ stata la mia impressione superficiale di automobilista di passaggio.

Eravamo da qualche parte, Mississippi, Alabama, non ricordo, e dovevamo fermarci assolutamente. A un certo punto, attraversiamo una piazza con un Dollar tree, un Dollar Family e Food for less, uno accanto all’altro: un quartiere molto povero e anche un po’ inquietante.

Entriamo nel ristorante e mi colpisce questa gigantografia.

        

Nessuno si sente cosi’ euforico da McDonald, e specialmente in quello li’.

Andiamo direttamente nella sala giochi. La struttura e’ composta da grandi tubi di plastica colorata in cui i bambini si arrampicano, suppongo sia simile in tutto il mondo. Ci sono una decina di bambini o anche di piu’, e’ difficile localizzarli. Sono molto rumorosi, alcuni troppo grandi per giocare li’ dentro, sui dodici, tredici anni valuto ad occhio. Joe e’ felice di essere finalmente libero, ma sembra intimidito. E’ un pesce fuor d’acqua, il piu’ piccolo e l’unico non di colore. Gli altri bambini urlano, saltano e a un certo punto, lo circondano, correndo cosi’ forte intorno a lui da far vibrare tutto. Lui corre fuori, ma poi rientra. Si ficca dentro uno di questi tunnel di plastica, il piu’ alto e io comincio a innervosirmi. Non lo vedo piu’, si sentono dei colpi, delle urla, non e’ mai salito cosi’ in alto e non sono nemmeno sicura che sappia scendere. Una delle mamme tira su la testa dal telefono e senza dirmi una parola comincia a cercare anche lei di vedere cosa stia succedendo. Poi chiama i figli, uno sui sei e l’altro sui tredici e, senza mai rivolgersi verso di me o sorridere, gli dice di andare a prendere il piccolo Joe. Loro eseguono l’ordine, ma fanno anche molto di piu’. Non solo lo riportano fuori e lo aiutano mentre e’ bloccato e non sa piu’ come fare a scendere, ma gli insegnano come arrampicarsi da solo e, senza che nessuno glielo chieda lo seguono una, due, tre…mille volte su e giu’, come degli angeli custodi. Dei ragazzini eccezionali.

Qualche giorno prima a New Orleans mi ero trovata in mezzo a un’altra bizzarra situazione che coinvolgeva dei bambini sempre sui dodici, tredici anni. C’era una guardia che li stava inseguendo perche’ avevano rubato una bottiglia di Sprite, ho capito dopo, e io che mi godevo la mia passeggiata completamente fra le nuvole, mi sono trovata in mezzo alla zuffa e gli ho involontariamente permesso di scappare. Li ho visti ridere con la bottiglia in mano dall’altra parte della strada mentre la guardia gli urlava contro. Ridevano come ridono i bambini, occhioni vispi, ma domani potrebbe non essere una Sprite e potrebbe non esserci una svampita in mezzo a bloccare chi li insegue con in tasca una pistola.

Quanti modi ci sono di essere bambini.