martedì 31 marzo 2015

perversioni gastronomiche, ognuno ha le sue

In tutti questi anni in Texas, ho visto che per me, in quanto expat credo, e' senza dubbio molto piu' facile fare amicizia o conoscenza con stranieri che americani. Gli stranieri (mi riferisco soprattutto agli europei) da queste parti, sono in genere persone molto colte che vengono qui per fare lavori altamente qualificati. I famosi cervelli in fuga, con mogli spesso altrettanto cervellone, ma quasi sempre disoccupate, almeno per i primi tempi.
In questo quadro, ho scoperto a mie spese che e' molto facile entrare in qualche strano giro di foodies, gente unita soprattutto dall'amore sconfinato per la buona cucina e che si incontra quasi sempre intorno a un tavolo.
E' una cosa in linea teorica molto positiva, ma che purtroppo non ha sempre dato i frutti sperati per quanto mi riguarda. Sono stata costretta a constatare che a volte questa passione per l'arte culinaria confina un po' con l'ossessione. Di solito succede che il componente della coppia che non e' qui per lavoro, non ha molto da fare e si concentra sul cibo in modo estremamente serio. Ma proprio estremamente serio. Cosi'si perde, secondo me, un po' di spensieratezza, di piacere nella pura convivialita'. Il cibo diventa quasi una competizione, una maniera per affermare la propria superiorita' in vari campi. Il problema principale e' che ci sono tanti che hanno diete o convinzioni alimentari rigidissime e le vogliono imporre o propagandare agli altri. Conoscevo una persona che chiedeva agli amici di non bere bevande gasate in presenza della sua famiglia, ad esempio. Roba che mi veniva voglia di farmi una soda apposta davanti a loro, giusto per il gusto di. Mai piu' vista. Poi ci sono i vegani e quelli fissati con i cibi biologici, che si puo' anche fare un bel barbecue tutti insieme ma devi portargli il certificato del contadino che attesta di aver massaggiato tre volte al giorno la mucca. Ognuno ha le sue fisime e va benissimo, basta non pontificare ogni volta che ti siedi a tavola, che se no passa anche l'appetito.
Sul versante opposto, ci sono gli americani, con un'attitudine quasi sempre completamente diversa nei confronti del cibo. Pochi da queste parti, mangiano il pesce, ad esempio. Non fa molto parte della cultura, d'altronde il mare e' lontanissimo, non ci sono abituati. Spesso incontro persone che non mangiano i funghi o le melanzane o che comunque mettono un bel po' di paletti nel provare cose nuove. E piu' di tutto vedo che mangiano senza soffermarsi molto a pensare. Raramente ti chiedono una ricetta o ti fanno un complimento, dandoti sempre l'impressione che una cosa valga l'altra. E infatti, quando mi invitano -molto di rado- non mi stupisco piu' se ordinano una pizza o qualcos'altro d'asporto. Non si siedono quasi mai a tavola e se lo fanno, e' solo per il tempo di finire il pasto.
Poco tempo fa, sono venuti degli amici da un'altra citta' a fare un weekend a Dallas e ci hanno invitato a cena in un ristorante. Hanno ordinato l'impossibile e hanno detto di aver fatto altrettanto a pranzo. La cena era alle sei del pomeriggio, praticamente hanno passato la giornata a ingozzarsi. Insomma, tante volte mi sembra che l'idea di soddisfazione gastronomica degli americani sia legata meramente alla quantita' piu' che alla qualita'.

Ma conosco anche americani che non la pensano cosi', tipo quello che ho sposato. Non faccio statistiche, solo osservazioni molto empiriche basate su nove anni in questa zona, di sicuro altrove, New York o Los Angeles, sara' tutto diverso.

Fatto sta che, in tutto questo, abbiamo anche dei cari amici americani e vegetariani. Altrettanto istruiti se non di piu' dei cervelli in fuga europei, che leggono un sacco di cose e sono sempre sul pezzo, ma con una filosofia completamente diversa sul cibo. Non si lamentano mai, non giudicano mai, non parlano praticamente mai di cibo.
Pero'. Ho raccolto degli indizi, si.
La prima volta che li abbiamo invitati, nel nostro orto c'erano degli ottimi piselli e i loro bambini non sapevano cosa fossero e come si mangiassero. Tanti piccoli dettagli come questo mi hanno incuriosito della loro dieta, ma non ho mai voluto infrangere questa fantastica regola non scritta di non farsi gli affari degli altri a tavola. Tranne l'altro giorno. Hanno tirato fuori loro la cosa. Raccontavano che i loro figli hanno ribrezzo della carne (giustamente, non l'hanno mai mangiata) e che non hanno nessun desiderio di provarla. Mi e' venuto spontaneo chiedere, anche per avere qualche spunto in piu' per Joe, che cosa mettano dentro alla lunchbox, il sacchetto del pranzo.

[Il sacchetto del pranzo e' il dramma quotidiano del genitore che non vuole soccombere alle improbabili mense scolastiche texane]

- E' che io quando sono di fretta, un bel toast al prosciutto e ho risolto, tu come fai?

- Hai presente quella cosa...Nutella? E' una cosa che si spalma, al cioccolato... ecco mio figlio adora il sandwich di Nutella e miele. Quello lo mangiano volentieri. Ma se sono proprio di corsa, a volte gli riempio la lunchbox di frutta e basta.

Ecco, ogni volta che mi fanno questi discorsi, ho la stessa fantasia perversa: dare appuntamento a tutti questi personaggi estremi, accendere la miccia lanciando un tema gastronomico a caso e vedere di nascosto l'effetto che fa.

domenica 29 marzo 2015

agli atti

Ieri sera, eravamo a cena con amici e pensavo che la pancia e' proprio una calamita, quando e' cosi' evidente come la mia adesso. Tutti avevano voglia di raccontare le loro pance. Perfino semi sconosciuti finiscono per farti confidenze intime che quasi ti imbarazzano. Per non parlare di quelli che allungano le mani. Chiedete il permesso almeno, anche se abitata, e' sempre la mia pancia dopo tutto. Quello che mi dicono di piu' le donne e' quanto si sentissero belle. E felici. E forti. Una mi ha raccontato che la figlia e' nata a 41 settimane, ma lei sarebbe andata avanti tranquillamente un altro paio di mesi perche' era tutto stupendo. Io, non so cosa mi ricordero' quando tutto questo sara' finito, ma potete pure mettere agli atti che l'unica cosa che voglio, dal primo giorno, e' dormire.

venerdì 27 marzo 2015

dio puo' calcellarti






Joe torna a casa con questa gommina che dice "God erases sin", Dio cancella il peccato. Interrogato a riguardo risponde: "Me l'ha dato la maestra dice God can erase you!"

Si Joe, Dio può anche cancellarti, suppongo.



giovedì 26 marzo 2015

la chiamano gelosia

Confesso. Sono il genitore che arriva all'uscita di scuola trafelato all'ultimo minuto. Mi consola solo il fatto di non essere mai proprio l'ultima di tutti, per fortuna ci sono sempre una o due che fanno perfino peggio di me. Pensavo che Joe non ci facesse caso, anzi non pensavo niente. Ma oggi avevo appuntamento con la maestra e quindi sono arrivata mezz'ora prima della fine delle lezioni. Sono andata a prenderlo al solito orario, alla fine forse anche piu' tardi, ma lui deve avermi individuato perche' la prima cosa che mi ha detto, pieno di orgoglio, appena mi ha visto e' stata: "Oggi sei stata la prima di tutte le mamme!". Avrei voluto sprofondare.
Avevo completamente rimosso quella sensazione dei bambini. Quando non vedono la mamma nel pubblico della recita, quando scrutano la strada davanti alla scuola e i minuti non passano mai.
Senza dubbio Joe e' nel pieno dell'elaborazione dell'arrivo del fratellino. Tutti parlano di gelosia, ma quello che vedo e' solo tanta insicurezza nei confronti dei genitori, specialmente io. E' strano perche' tu li ami in una maniera sconsiderata totale e ti accorgi che loro, ancora, nonostante tutto quello che ti sembra di fare, hanno bisogno di conferme ogni giorno, non ne sono mai poi cosi' sicuri.

lunedì 23 marzo 2015

solite questioni difficili

Ero a scuola e stavo facendo lezione, quando nel bel mezzo del lavoro un bambino, il piu' piccoletto della classe, un settenne di origini messicane che di anni in realta' ne dimostra si e no cinque, si alza in piedi tutto infiammato e punta deciso il dito contro una ragazzina dall'altra parte del tavolo:

- You are a racist! That's racist! You are a racist! Razzista, sei una razzista!

La supplente, da par suo, decide che la migliore cosa da fare sia intimare:

- Adesso basta! Seduto, noi non parliamo di queste cose!

Normalmente, evito di contraddire i colleghi, ma di fronte all'assurdo...il bambino, uno sveglio, aveva fatto una denuncia ben precisa, non ci si poteva passare sopra. E poi no, noi parliamo di queste cose se serve, perche' mai non dovremmo?

Lo chiamo in disparte e mi spiega che quella tale bambina, bianca, ha detto ad alta voce "S. non puo' arrossire perche' ha la pelle nera".

Accidenti, aveva ragione. Proprio una brutta cosa da dire.

S. sembrava del tutto ignara, cosi' non l'ho disturbata. Ho chiamato fuori, invece, la presunta piccola razzista e le ho chiesto spiegazioni. Fa appena in tempo a confermarmi di aver detto quella stessa frase e scoppia in lacrime sostenendo di volere solo dire la verita' e non offendere. Il modo in cui piangeva e la conoscenza del tipetto, mi suggeriva il contrario, che cioe' capisse perfettamente la gravita' delle sue parole, ma non avendo nessuna prova di questo, l'ho consolata e ho solo cercato di farle capire dove aveva sbagliato e perche'. 

Incidente apparentemente chiuso, ma i bambini continuavano a mormorare. A quel punto ho drizzato le antenne. Sostanzialmente, mi pare di aver capito che il resto della classe volesse una reazione dalla bambina di colore, ma lei non si e' per niente scomposta. Non ha mai alzato gli occhi dal foglio. L'unico commento che le ho sentito fare e' 'io non so cosa sia il razzismo'. Pero' chi lo sa che cosa stesse pensando davvero, di sicuro qualche emozione era uscita fuori da tutta quella polemica di cui era involontariamente il centro. Erano gli ultimi minuti della lezione e anche della giornata. Ho pensato di parlarne con il direttore e lasciare a lui ogni ulteriore intervento, in fondo io sono solo l'insegnante di arte. 

Finita li' in teoria, solo che dopo scuola la supplente e' venuta di corsa a cercarmi per provare a giustificarsi e chiedermi in qualche modo di coprirla se qualcuno si fosse fatto vivo per lamentarsi. Le ho detto di mandare pure chi voleva da me, che non avevo nessun imbarazzo a dare spiegazioni. 

Pero' l'ho vista davvero agitata. A volte, anche per stanchezza, si reagisce in modo impulsivo, forse e' quello che e' successo a lei quando ha tentato di azzittire quel bambino, pero' sono cose importanti e fanno parte del nostro lavoro, dobbiamo abituarci ad affrontarle. 
Tra l'altro io ancora mi sto chiedendo se ho agito bene e cosa avrei potuto fare di meglio. 

sabato 21 marzo 2015

la casa sull'albero


Sapete che Joe non fa disegni ma progetti. Ecco stavolta ha fatto il progetto di una casa sull'albero. C'è lo spaventapasseri, lo scivolo, la scala e anche una corda per dondolare. 
Quando ce lo ha fatto vedere Mr. J. mi ha detto a bassa voce con una faccia molto sofferente : "Non vedo l'ora di costruirla!". Me lo sono fatto ripetere dopo perché non capivo. "Non vedo l'ora di costruirla...ma c'e' un problema"
"Non hai ancora finito il letto nave dei pirati?"
"No, peggio! Non abbiamo l'albero! Dobbiamo aspettare di trasferirci nella prossima casa...". E faccia triste di nuovo. 
È stupendo. Avere trovato qualcuno che si esalta, e prende sul serio, queste cose da bambini quanto me.


giovedì 19 marzo 2015

nutrire anche l'anima in uganda

Un giorno ho scoperto di avere una studentessa dell'Uganda e ho deciso di farle vedere che noi non apprezziamo solo l'arte occidentale, ma accogliamo tutte le idee di bellezza. E' cosi' che mi sono imbattuta casualmente in diversi artisti di quella zona. I miei bambini qui a Dallas fecero dei lavori bellissimi e gli artisti che riuscii a contattare, si dissero onorati di averli ispirati.
Ora scopro che uno di loro, Fred Mutebi, non solo e' un ottimo artista, ma e' impegnato in uno splendido progetto che coinvolge bambini africani vittime della violenza e dell'aids.
Sto pensando a un modo per poterlo aiutare. Immagino che nella mia scuola molti fra genitori e insegnanti sarebbero interessati a sostenere qualcuno che ha pensato a nutrire anche lo spirito di questi bambini sfortunati, ma non e' una cosa che si puo' organizzare dall'oggi all'indomani, specialmente se stai per andare in maternita'. Cosi' ho pensato che intanto la cosa piu' importante che si puo' fare, e' spargere la voce e far sapere che questa iniziativa esiste nella speranza che qualcuno abbia la possibilita' di fare qualcosa di concreto.



mercoledì 18 marzo 2015

il problema delle armi in texas

Un giorno, parlavo con delle amiche europee degli 'sleepover'. Mi spiegavano che qui e' molto comune gia' dalle elementari che i bambini si fermino a dormire dagli amichetti mentre io ricordo di aver fatto questo tipo di esperienza molto piu' avanti, negli anni del liceo. Qualche pigiama party, tante notti a parlare fitto fitto di segreti e ragazzi. Forse anche le mie amiche, forse e' anche per questo che erano cosi' riluttanti, a causa dell'eta'. Non proprio. Dicevano di non fidarsi. Dicevano che e' troppo difficile conoscere qualcuno sufficientemente bene in generale e soprattutto capire se ha un'arma in casa e come la gestisce. Ecco questo era l'argomento principale. Siamo in Texas, la gente e' armata fino ai denti. Alcuni conoscono le norme di sicurezza, altri no. Come puoi fidarti a mandare tuo figlio piccolo in giro da solo?
Rimasi molto turbata, non ci avevo mai pensato in questi termini. Dopo un po' di tempo e' capitato di affrontare lo stesso discorso con una carissima amica americana, ma la sua posizione era completamente diversa. Aveva solo due regole: d'accordo solo con bambini che conosce bene e che ha visto tante volte durante il giorno e incontrare i genitori almeno una volta prima della fatidica nottata.
Da un lato, mi piaceva la sua leggerezza perche' avrei tanto voluto averla anch'io, ma ormai mi avevano messo la pulce nell'orecchio. Cosi' ho cominciato a fare obiezioni. Volevo vedere se la sua era davvero solo leggerezza o se aveva pensato bene alle conseguenze. Mi sarebbe piaciuto che mi convincesse, Joe gia' mi chiede di fare gli sleepover e vorrei potergli dire di si'. E' successa invece, una cosa del tutto inaspettata. Questa persona, che conosco da molti anni come liberal stranamente, quando ho tirato fuori l'argomento delle armi, ha cominciato a dimostrarsi in un certo senso conservatrice.

In fondo e' la costituzione...In fondo le statistiche dicono che muore molta piu' gente per altre cause...Io penso che sia giusto che se uno vuole avere un'arma lo faccia... Quella tipa che si e' fatta ammazzare al supermercato dal figlio di due anni mentre gli altri quattro assistevano alla scena, in fondo si e' solo dimenticata la sicura, sono cose che capitano...   

E io bollivo. Cosa ci fa una mamma al supermercato con una pistola in borsa? Se possiedi un'arma non ti puoi dimenticare niente, non esiste, non e' una possibilita', altrimenti la pistola non ce la puoi avere.

Mi raccontava un'altra amica, moglie di un chirurgo infantile che non si puo' immaginare quanti bambini vengano portati al pronto soccorso con ferite di arma da fuoco accidentali ogni singolo fine settimana qui a Dallas. Spesso sopravvivono e cosi' non finiscono nelle statistiche, ma le statistiche non parlano di come vivono il resto della vita quei bambini, paralizzati, menomati, e' una tragedia infinita e silenziosa con cui qui nessuno vuole fare i conti. E a pensarci e' pazzesco. Si armano per proteggere la famiglia, cosi' dicono, e poi la mettono in pericolo proprio loro.

Ad ogni modo, ero allibita. Una persona che conoscevo bene si dimostrava tollerante nei confronti delle armi. Evidentemente non la conoscevo poi cosi' bene? Pensavo a tutto questo mentre discutevamo. Guardavo la sua espressione accigliata, facevo congetture. Forse era solo un po' di sano spirito di contraddizione nei confronti della saccente amica europea? Ma...un momento! Proprio dietro alla sua testa spuntava un fucile. Era li', appoggiato sul camino. Come avevo fatto a non notarlo prima, era enorme. Nel frattempo, Joe correva e giocava felice e contento con i suoi amichetti in quella stessa stanza. Lei parlava e io immaginavo il peggio. Se avessi dovuto dare il permesso di dormire a casa di qualcuno, sicuramente quello sarebbe stato il posto che avrei scelto, senza nessuna remora.

Ma allora e' vero che non si puo' mai stare tranquilli con questa storia delle armi? Ero abbastanza sconvolta, lo ammetto. Avrei voluto dire qualcosa, ma non ero stata capace, non volevo offendere e la mia amica era gia' sulla difensiva per via delle mie obiezioni. Me ne sono tornata subito a casa e non sono piu' tornata indietro per molto molto tempo. Sono persone a cui voglio molto bene, per cui ho deciso semplicemente di vederle a casa mia o fuori, anche se sapevo che prima o poi avrei dovuto affrontare il problema.

Qualche giorno fa, sono tornata nella stessa casa con Mr. J. Gli avevo detto di quel fucile e infatti era sempre la', appoggiato casualmente sul camino, chissa' se era carico, se i proiettili erano in casa.

Non importa perche' era un fucile a pallini, un giocattolo, dicono.

Sono stata ingenua. Del resto, io ho un'idiosincrasia per le armi. Non ne sopporto nemmeno la vista, non le conosco, per me se una cosa sembra un fucile, probabilmente lo e'. Questo episodio mi sta facendo considerare l'ipotesi di fare uno di quei corsi introduttivi per imparare a sparare. Forse ne ho bisogno. Vivendo qui, volente o nolente, saro' sempre esposta a queste situazioni, tanto vale rimanere calmi e capire cosa sta succedendo.


mercoledì 11 marzo 2015

i nomi italiani maschili a volte fanno ridere, quelli femminili no

In questi ultimi mesi ho avuto un problema immenso, che mi ha fatto impazzire e perdere nottate di sonno: trovare un nome per il nuovo Baby Johnson. Se mi seguite da un po', sapete quanto mi appassioni la questione dei nomi in generale, immaginate come possa stare ora che si tratta di dare un nome al mio di figlio!
E' una responsabilita' immensa e i criteri che questo nome deve soddisfare per poter essere scelto, sono svariati e talvolta cozzanti fra loro, e' un rompicapo. Ma cominciamo.
  1. Deve essere un nome italiano. Non si discute nemmeno.
  2. Deve piacere almeno a me, a Mr. J. e a Joe (che all'inizio non avevo considerato e invece e' quello con le idee piu' chiare di tutti).
  3. Deve avere un significato: mi rifiuto di scegliere un nome solo in base al suono.
  4. Deve abbinarsi bene al cognome.
  5. Deve essere accettabile e pronunciabile sia in italiano che in inglese.
Mica facile.

Se avessi dovuto scegliere un nome da femmina, non avrei avuto problemi. C'e' solo l'imbarazzo della scelta fra i nomi che sono uguali o comunque molto semplici da pronunciare sia in italiano che in inglese e poi non credo ci siano mai particolari ilarità o doppi sensi con questo tipo di nomi (Alice, Olivia, Zoe, Sofia, Emma, Giulia...). Trovare un nome da maschio invece, e' tutta un'altra storia perche' i nomi italiani maschili in questo paese possono essere un po' a rischio. A parte i vari classici famosi Mario, Luigi, Fabio e Guido che fanno sempre partire qualche sorrisetto malizioso, anche nomi che trovo molto belli e originali, qui vengono percepiti in tutt'altro modo. Se uno mi dice Leonardo, ad esempio, sara' che sono una storica dell'arte, ma a me viene in mente Leonardo da Vinci non certo Di Caprio, se uno mi dice Orlando penso all'Ariosto non mi verrebbe mai in mente 'quella tristissima cittadina della Florida' (mai stata, cosi' mi hanno detto). Rodolfo mi riporta al massimo al grande Valentino, non certo alla renna di Babbo Natale col naso rosso. La percezione dello stesso nome tante volte e' completamente diversa in due lingue.
Per Joe, e' stato tutto più semplice, e' stato un po' come se il nome si fosse scelto da solo. Un giorno ascoltavo una bella canzone di Johnny Cash e pensavo che quel nome ripetuto molte volte non era niente male in entrambe le lingue. Poi ho controllato il significato e sono rimasta a bocca aperta, sembrava parlasse di noi. E cosi' abbiamo deciso li' per li' senza mai un ripensamento ed e' stato approvato all'unanimità da tutta la famiglia, perfino nella suddivisione nipponica. In questo caso, invece, tutti i nomi papabili sono stati sistematicamente smontati e scartati o per motivi di pronuncia o per motivi a cui non avrei mai pensato legati a doppi sensi linguistici. Tutti tranne uno, il primo della lista da sempre, da quando tantissimi anni orsono mi innamorai di un certo personaggio letterario che lo portava cosi' bene fin dallo splendido incipit. E' un nome che a Mr. J. e' piaciuto e a Joe e' piaciuto tantissimo. Credo lo abbia origliato la prima volta che ne abbiamo parlato e ha cominciato da subito a chiamare il fratellino cosi' come se glielo avessimo presentato, come se lo conoscesse da sempre.
Vi chiederete forse... era il nome preferito, e' piaciuto in famiglia, allora qual e' il problema? La mia piu' grande paura, nella nostra situazione multietnica, e' dare un nome che possa creare dei problemi, dei malintesi, degli imbarazzi, delle discriminazioni, non me lo perdonerei. D'altra parte, bisogna trovare un compromesso, essere anche un po' coraggiosi nella vita, no?
Ho cominciato a torturarmi soprattutto perche' questo nome, a differenza di quello di Joe, divide un po' gli animi. In effetti, lo riconosco: e' una specie di capolavoro al contrario. E' un nome italiano che crea molto piu' stupore in Italia che qui. Non e' inconsueto in quanto strano, ma in quanto vecchio forse, passato di moda, se mai lo e' stato. Io lo trovo semplicemente classico e anche elegante, ma se avessero ragione i critici?
A un certo punto, nel delirio piu' totale, ho fatto una cosa di cui non mi pentiro' mai abbastanza: ho consultato quei famigerati forum di mamme in attesa. Qualcuna aveva chiesto un parere su tale nome e un'altra aveva risposto qualcosa tipo "mi fa venire in mente uno che si fa la cacca addosso", proprio cosi' in italiano, che grandissima @@#$%%^. Ero pietrificata, ma a quel punto dovevo assolutamente vedere la faccia di qualcuno con quel nome e verificare. E dato che in tutta la mia vita ho conosciuto solo una persona con quel nome, la mia escalation di follia e' salita di livello: ho cominciato a spulciare gli account Facebook dei miei amici. Lo so e' assurdo, ma diamo la colpa agli ormoni. Ho cominciato da quelli con piu' contatti. Una mia amica ha qualcosa come duemila amici e non conosce nessuno con quel nome e cosi' la ricerca si e' allargata sempre piu' in modo completamente casuale di palo in frasca. Ho trovato un pianista molto affascinante, qualche professionista mio coetaneo, un nonno e poco altro. Pero' ho realizzato presto di essere fuori strada perche' in fondo, anche se il nome e' italiano, e' molto piu' importante che piaccia qui.
Il primo risultato in inglese e' un sondaggio che dice che questo nome agli americani farebbe venire in mente un sexy russo. O italiano. Come se fossero la stessa cosa. Non riuscivo a smettere di ridere, sempre pensando a quanto possa cambiare la percezione da una lingua all'altra. E cosi', ho lasciato perdere e non ci ho piu' pensato molto.

Pian piano e' passato il tempo e anche questa volta il nome si e' un po' scelto da solo. Non ho piu' grandi dubbi, a me piace sempre di piu' perche' ormai e' il nome del mio bambino (Joe ha sempre continuato a chiamarlo cosi') e perche' ha un significato profondo e bello. So che ben pochi lo capiranno e che non e' forse un nome semplicissimo da portare, ma neanche troppo difficile. In fondo, l'attuale presidente di questo paese e' riuscito a farsi eleggere due volte chiamandosi Hussein, andra' tutto bene.

lunedì 2 marzo 2015

tutte le sfumature contano

Nel lato materno della mia famiglia, tanti hanno tratti somatici e colori che a uno straniero, magari americano, possono sembrare non europei o caucasici, come si suol dire. All'inizio me ne sono stupita, ma poi ho conosciuto diversi afroamericani dalla carnagione piu' chiara di quella di alcuni miei parenti. E' una questione bizzarra e interessante, quasi paradossale, ma non e' il colore della pelle a determinare che uno sia di colore, e' piu' un fatto culturale, un discorso di appartenenza. Infatti, ci sono anche afroamericani dalla pelle bianca, questo non lo sapevo prima di venire qui.
Ad ogni modo i miei parenti che oltre alla carnagione scura, hanno spesso anche capelli ricci neri, labbra carnose e fisico atletico come nel miglior stereotipo, non hanno mai avuto nessun problema per questo in Italia. Mi hanno sempre dato l'idea di essere molto soddisfatti di queste loro caratteristiche peculiari. Grandi fanatici dell'abbronzatura, nessuno ha mai cercato di apparire piu' chiaro, che so biondo o diverso da quello che e'. Gli ho sempre sentito dire di ricevere moltissimi complimenti per essere come sono, anzi io stessa ho sempre ricevuto tantissimi complimenti per la mia bella mamma e le mie belle zie.
Ma c'e' un piccolo aneddoto che, crescendo, ho sentito, tantissime volte. Una persona che conosciamo, un signore molto in vista in paese, con un tipo fisico simile, aveva avuto una figlia ancora piu' scura di lui. Ecco, successe una volta quando la bambina era molto piccola, sui tre anni credo, che sua suocera pensasse bene di lavarla con la candeggina nel tentativo di schiarirla.  
Questa storia, verissima, veniva raccontata da lui per primo come una specie di barzelletta, ma mi e' prepotentemente tornata in mente dopo aver visto un documentario intitolato Dark Girls.
Soprattutto mi sono chiesta se anche la bimba l'aveva vissuta come una barzelletta.


Vi racconto di questo documentario perche' non capita tutti i giorni di vedere qualcosa che ti sorprenda e che ti faccia riflettere, aprendoti gli occhi su un problema che ignoravi completamente. Ho sempre considerato il razzismo dal punto di vista di un bianco razzista, non avevo idea che i peggiori razzisti verso i neri, in molti casi siano proprio i neri stessi e che le vittime di questo sentimento siano soprattutto le donne. Questo documentario spiega come l'autostima di moltissime donne di colore venga minata da altre donne e uomini di colore, a cominciare dall'interno della famiglia. Madri e nonne che ripetono alle figlie e alle nipoti fin dalla piu' tenera eta' di sposare un bianco o per lo meno, qualcuno anche solo leggermente piu' chiaro per migliorare 'la razza'. Uomini di colore che ammettono senza imbarazzi anche davanti a una telecamera di considerare le ragazze scure al massimo come oggetti sessuali e che mai si sognerebbero di sposarle o di costruirci una famiglia. Da qui la crescita continua e costante in molti paesi della vendita di prodotti che promettono di schiarire la pelle. Prodotti molto spesso pericolosi e non regolamentati, pieni di controindicazioni oltre che molto costosi. La storia della candeggina era diventata una barzelletta in qualche modo, in Italia, in un contesto del tutto diverso, ma qui e in molti altri paesi, il fenomeno esiste ed e' tragico oltre che carico di conseguenze. Queste donne hanno un dolore dentro e una mancanza di autostima che continuano a passare da una generazione all'altra e fare danni. Solo ora se ne comincia a parlare. Giovani splendide donne di colore realizzano finalmente di avere subito un abuso psicologico gravissimo e lavorano su se stesse per cercare di liberarsi loro per prime di questo assurdo preconcetto e di non riversarlo a loro volta sulle figlie. Perche' e' cosi' che succede. Quando per tutta la vita, fin da piccolo, ti dicono che una cosa e' disgustosa, finisce che non ti piace e a meno che tu non faccia uno sforzo serio e un'analisi profonda quella cosa non l'accetterai mai. Anche se quella cosa sei tu.
C'e' un passaggio che mi ha fatto particolarmente tristezza perche' e' una situazione che vedo tanto nel mio lavoro. Viene chiesto a una bambina dalla pelle molto scura di indicare in una serie di disegni di bambine dai diversi incarnati quale sia quella piu' stupida e quella piu' brutta e in entrambi i casi lei sceglie quella dalla pelle piu' scura, cioe' quella piu' simile a lei. E' una cosa che fa male al cuore e grida giustizia. Pensavo a questo, quando la settimana scorsa durante gli Oscar ha fatto la sua apparizione in tutta la sua bellezza Lupita Nyong'o. E' importante che lei fosse li' al centro dell'attenzione, con la sua eleganza e la sua professionalita'. Servono esempi. Nel documentario si cita Michelle Obama. Non ci avevo mai lontanamente pensato, ma per tantissime donne di colore il fatto che il primo presidente nero sia sposato da tanti anni con una donna ancora piu' scura di lui e' rassicurante. Per loro non sono solo due persone di colore: sono una persona di colore scura e una meno scura, ogni sfumatura conta. 
Nel mio piccolo mi impegno tanto in questo senso col mio lavoro, almeno da quando ho cominciato a capire questo meccanismo. Proprio qualche giorno fa, ho fatto disegnare la Venere di Botticelli. Era un semplice esercizio di disegno in terza elementare pero' a un certo punto ho guardato la mia classe in tutta la sua meravigliosa diversita' e di colpo ho avuto il dubbio di dare un messaggio di bellezza troppo riccioli d'oro, troppo Barbie, cosi' ho chiesto di copiare la composizione, ma di cambiare pure i colori ed eventualmente i tratti somatici a piacere. Nessuno lo ha fatto. Tranne un bambino di colore che ha optato per dei capelli neri, tutti gli altri, latinos, asiatici, neri, proprio tutti, hanno optato per la bellezza nordica, capelli biondi e occhi azzurri. Probabilmente per loro la bellezza e' proprio quella cosa li' da cui non possono che rimanere esclusi.