lunedì 30 settembre 2013

nel paese dei mostri selvaggi*

Venerdi scorso il piccolo Joe ha avuto una giornata di quelle che ricordero’. Non capisco cosa gli stesse succedendo, ma non ha fatto altro che urlare e ribellarsi a qualunque cosa per tutto il giorno. Sono sincera: non lo sopportavo piu’. Non ha dormito cinque minuti e non si e’ fermato un solo secondo. Piuttosto che niente si metteva a tirare fuori tutti i giochi senza usarli, non c’era piu’ un centimetro di pavimento libero e non eravamo nemmeno a casa nostra. Ero esausta, anzi piu’ che esausta, proprio arrabiata. Alle cinque del pomeriggio ho deciso di andare in palestra. Piu’ che altro perche’ era l’unico posto in cui avrei potuto lasciarlo senza essere denunciata per abbandono di minore. Di solito dopo un po’ di movimento mi tranquillizzo, ma niente, umore pessimo mentre lui continuava con la sua rivolta che io probabilmente stavo alimentando. Non riuscivo nemmeno a guardarlo. Non volevo che vedesse quanto poco bene gli volevo in quel momento, non mi ero mai sentita cosi’ verso di lui.

Fortunatamente quella sera, sono riuscita a fare una lunga chiaccherata con una carissima amica che aveva avuto una giornata piuttosto simile alla mia ed e’ bastato quello per rimettere tutto nel giusto ordine di idee. PhotoGrid_1380550854804

La mattina dopo, non vedevo l’ora che il piccolo Joe si svegliasse per sbaciucchiarmelo tutto e fargli sentire di nuovo tutto l’amore che per un momento forse si era fermato o non era riuscito a uscire fuori e arrivare fino a lui come sempre. Anche lui era piu’ affettuoso del solito. Credo ci sentissimo in colpa entrambi in fondo. O qualcosa del genere.

Volevo fare qualcosa di bello con lui, cosi’ l’ho portato ad ascoltare le favole in una libreria vicino a casa. Quando le favole sono finite, ci siamo fermati a guardare un po’ i libri. A un certo punto, me ne ha portato uno da leggere. Si tratta di “Where the wild things are” di Maurice Sendak. E’ un grande classico, ma non lo avevo mai letto. Conoscevo l’autore per via di una serie di bellissime interviste che aveva rilasciato nel mio programma radiofonico preferito ed ero sicura che sarebbe stato un libro speciale, ma non fino a questo punto.

Quando ho cominciato a leggere, e’ successa una cosa rarissima e magica, mi sono accorta che quel libro parlava proprio di noi e di quello che ci era successo. Non potevo crederci perche’ non ci sono molti libri per bambini che parlano di mamme arrabiate e figli dispettosi. E’ stato rassicurante in quel momento vedere questa particolare situazione rappresentata, un po’ come quando ti dicono che il male che hai ha un nome.

L’abbiamo comprato e lo abbiamo gia’ letto diverse volte. Credo che l’ultimo libro che mi ha fatto piangere cosi’ sia l’autobiografia di Johnny Cash, ma li’ piangevo per la storia, qui per la poesia.

Maurice Sendak non ha mai avuto figli, eppure era in grado di notare ed esprimere sentimenti estremamente sfuggevoli e difficili come questi, che gran dono l’empatia. Mi sarebbe tanto piaciuto chiedergli un paio di cose.

 

 

*E’ il titolo della versione italiana.

giovedì 26 settembre 2013

la paura del futuro

Ultimamente il piccolo Joe ogni tanto va a dormire e dopo un po’ piange. Ma non piange rumorosamente, chiamando qualcuno o affannandosi. No, sta li’ e piange grossi lacrimoni tutto solo. E’ una cosa tristissima.

L’unica cosa che lo fa sentire meglio e’ sdraiarsi, chiudere gli occhi e sentire tutto quello che succedera’ il giorno dopo, in maniera molto molto dettagliata.

Adesso dormi, poi quando il cielo diventa azzurro ti sveglio, ci ascoltiamo Il Caffe’ della Peppina, ti vesti, poi prendiamo la macchina rossa e andiamo a scuola. Li’ vedrai tutti i tuoi amici e farai la merenda e poi andrai a giocare in giardino e poi…

…E poi lui a quel punto e’ tranquillo e dorme.

Ha meno di tre anni, ma credo che abbia gia’ paura del futuro, che tutto sommato e’ una cosa molto comune nei bambini. Qui dicono che hanno bisogno di una routine, ma quello che vuol dire in realta’ e’ che hanno paura del futuro.

Del resto, come dargli torto? Il futuro e’ incerto, ha molto piu’ senso aggrapparsi alle certezze dell’oggi piuttosto che lasciarlo andare via per sempre. Anche a me piacerebbe tanto avere qualcuno che, prima di addormentarmi mi raccontasse esattamente tutto quello che faro’ il giorno dopo. Non importa se poi va proprio cosi’ o no, e’ bello crederci e fare dei bei sogni d’oro.

mercoledì 25 settembre 2013

addobbiamoci

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Gli americani adorano gli addobbi in ogni stagione. Da queste parti, tanti le luci di Natale non le tolgono mai, per dire. Ma la stagione in cui forse si sbizzarriscono di piu’, fra Halloween e Harvest, e’ l’autunno.

Si avverte proprio un’euforia per la fine della torrida estate. Ed e’ comprensibilissimo, anch’io adoro l’autunno, da quando vivo qui. E’ una sorta di primavera senza tornado, praticamente un sogno rispetto a quello a cui siamo abituati il resto dell’anno.

Sono tutti cosi’ esaltati che sembra che non riescano nemmeno ad aspettare le varie ricorrenze e fin dai mesi estivi si vedono in giro chicce come queste.

Le zucche leopardate, le palline dell’albero di Natale leopardate (si vede che quest’anno in Texas va il leopardato…) e soprattutto il monumentale albero di Natale decorato con le foglie secche e tutti gli altri simboli dell’autunno.

Un bel minestrone e via. Evviva l’autunno!

martedì 24 settembre 2013

stranieri e viaggiatori

Un po’ di tempo fa Mr. Johnson ha ricevuto una strana email del suo capo, anzi proprio dal capo dei capi con cui normalmente ha ben poco a che fare. Diceva che aveva bisogno di parlargli e soprattutto, di venerdi pomeriggio. Da queste parti il venerdi pomeriggio e’ il momento preferito per licenziare e inizialmente ci siamo piuttosto allarmati. In realta’, ragionandoci, non poi piu’ di tanto perche’ anche se tutto puo’ essere, l’ipotesi del licenziamento sembrava poco probabile e di solito non e’ il presidente a occuparsi di queste cose. L’unica altra ipotesi che ci veniva in mente era un cambio di posizione. Dopo tutto l’azienda ha un’altra sede in Europa e la responsabile si era vista spesso in giro in quel periodo.

Doveva essere quello. Gli voleva proporre di trasferirsi a Londra.

Era un giovedi e abbiamo passato la serata a interrogarci su quello che sarebbe potuto succedere il giorno dopo.

Mr. Johnson era piuttosto possibilista riguardo all’ipotesi del trasferimento, io invece, non l’ho detto, ma ero abbastanza terrorizzata all’idea.

Cercavo di immaginare i vari scenari, ma non riuscivo a trovarne nessuno che rappresentasse un miglioramento per noi. Mi vedevo, molto piu’ vicina all’Italia, certo, ma in realta’ ancora piu’ sola, senza i miei amici e il mio amato lavoro, in una citta’ enorme e grigia. D’altra parte pero’, come si puo’ rifiutare di trasferirsi in una metropoli del genere e per di piu’ a poco piu’ di un’ora di volo da casa? Sarebbe stata una scelta a dir poco sofferta, che speravo davvero di non dover fare.

Allora mi e’ venuto in mente qualcosa che mi ha detto una vecchia amica quest’estate, una volta che le raccontavo che piu’ o meno tutti stavano cercando di convincermi a tornare in Italia.

- C’e’ una cosa che non nessuno vuole considerare e cioe’ che a me la condizione di straniera in fondo piace. Mi piace essere continuamente alla prova in un certo senso. Mi piace imparare ogni giorno una parola, un modo di fare nuovo. Essere a contatto con persone diverse da me, scoprire posti nuovi, fare fatica anche, ma non annoiarmi. 

- Sicuramente e’ cosi’, ma non confonderti. Ti piace vivere all’estero, ma non hai il vero spirito del viaggiatore. Ti piace esplorare, ma hai bisogno di fermarti in un posto abbastanza da renderlo casa tua, da ricreare delle relazioni stabili, mettere radici ovunque ti trovi.

Le cose che ti tirano fuori gli amici sono fantastiche. Ci sto ancora pensando dopo tre mesi.

 

Quel venerdi abbiamo poi scoperto che l’email era destinata ad un omonimo.

lunedì 23 settembre 2013

cose che succedono nella classe di arte

Mi ha regalato questo disegno l'anno scorso, quando era in seconda elementare e facevamo i colori freddi. L'ho conservato perché mi piace molto e mi ricorda la sua bella faccia e la sua allegria. Un giorno dovevamo ricalcare la nostra mano e quando ho notato che in una aveva solo quattro dita, mi sono rattristata molto. Lei no, lei era orgogliosa della sua mano e mi ha chiesto di ricalcare proprio quella lì. Mai saputo cosa fosse successo a quel dito fino a qualche settimana fa.

Il tumore è tornato, ha detto la mamma, e deve essere rioperata. Ricevevamo aggiornamenti ogni giorno ed eravamo tutti in ansia.

Ora è di nuovo a scuola. Ho capito solo che era benigno e ho fatto una cosa che non faccio spesso, le ho dato un grande abbraccio.

venerdì 20 settembre 2013

quelli che rimangono su

Torno a casa dopo un’altra meravigliosa giornata passata con i miei bambini a scuola e mi ritrovo a leggere una lettera che mi ha girato la mia preside. L’ha scritta la madre di una bambina uccisa nella scuola elementare di Sandy Hook e credo sia indirizzata in generale a tutti gli insegnanti che hanno appena iniziato il nuovo anno scolastico. Non ho il tempo di tradurvela purtroppo, ma se potete leggetela, e’ davvero un messaggio potente e, a sorpresa, considerate le circostanze, piuttosto incoraggiante e positivo direi. Mi fa pensare che quello che non dovremmo davvero dimenticare in realta’ non e’ quella strage orribile e senza senso, ma quello che un insegnante deve cercare di essere per i suoi studenti, quanto e’ importante il suo ruolo e quanta differenza puo’ fare nella vita di una giovane persona, specialmente una in difficolta’.

Per qualche motivo, l’ho associata subito a un’intervista che ho visto la settimana scorsa per caso e a cui ho pensato spesso in questi giorni. Giovanni Floris parlava con Domenico Quirico, quel giornalista de La Stampa che era stato appena rilasciato dopo essere stato vittima di un lungo sequestro in Siria. Sembrava quasi che l’intervistatore andasse di fretta, come se fosse ansioso di tornare a occuparsi dei guai giudiziari di Berlusconi e tutta quella nuvola di aria fritta che domina la vita pubblica italiana in questo periodo, ma l’intervistato e’ comunque riuscito a dire qualcosa di significativo e con un’intensita’ a cui forse nessuno veramente era preparato in un contesto simile.

Quando gli e’ stato chiesto cosa provasse nei confronti dei suoi rapitori, ha risposto che la via piu’ facile sarebbe quella dell’odio per chi ha rubato a lui e alla sua famiglia ben cinque mesi di vita (ci pensate? cinque mesi in quelle condizioni sono un’eternita’…), ma che lui, anche se non ha ancora ben chiaro come, e’ determinato a non cedere a questo sentimento. Gia’, ma perche’? La sua spiegazione e’ semplicissima e inappuntabile e mi convince perche’ non fa appello ai cosiddetti buoni sentimenti tanto per dire qualcosa di costruttivo a tutti i costi, ma a quello che e’ buono e utile per se’, quindi puo’ spronare davvero tutti.

Diceva che se avesse cominciato a odiare, sarebbe diventato un uomo peggiore di quello era prima del rapimento e cosi’ avrebbe pagato doppiamente il prezzo della violenza subita. L’unico modo per riavere indietro quel tempo di dolore secondo lui e’ fare in modo che sia servito a qualcosa, che lo abbia arricchito come individuo.

Ecco, sono queste le persone che ammiro in maniera sconfinata, quelle che malgrado tutto non smettono di cercare il bene per se stesse e di riflesso, fanno tantissimo anche per quelli che gli vivono intorno.

giovedì 19 settembre 2013

le traveggole

Ultimamente mi succede una cosa strana. Ogni volta che mi metto a scrivere con la tenda tirata, dopo un po' ho la sensazione che stia piovendo, mi sembra proprio di sentire le gocce, a volte anche i tuoni. Chissa' cos'e' invece. Magari il rumore delle dita sui tasti oppure qualche scoiattolo burlone che gioca sul tetto. Perche' poi quando guardo fuori mi accorgo puntualmente che c'e' il sole e tutto e' uguale a prima.

Possibile che la siccita' texana mi faccia davvero desiderare la pioggia fino a questo punto? Perfino a me che sono sempre stata metereopatica fino all’eccesso e notoriamente odio il brutto tempo? Comincio quasi (quasi) a capire quei texani che quando fa freddo e il cielo e’ grigio si illuminano tutti e ti dicono senza scherzare hai visto che bella giornata e’ venuta fuori?

Allora. Se hai sempre la pioggia vuoi il sole e se hai sempre il sole finisce che vuoi la pioggia.

Si vuole sempre quello che non si puo’ avere, ora ne ho proprio la dimostrazione pratica.  

mercoledì 18 settembre 2013

pensavo a questo

Leggevo da qualche parte che la gente pensa di essere piu’ felice quando ha tante scelte nella vita, mentre nella realta’ ci sono studi scientifici che hanno dimostrato esattamente l’opposto. Tipo. Qualcuno ti offre una mela e sei perfettamente contento, ma come la mettiamo se ti offrono una mela oppure una fetta di torta al cioccolato? In quel caso non sei piu’ cosi’ sereno perche’ entrano in campo tutta una serie di altre considerazioni. Si tratta di investire un minimo di tempo nella decisione e poi c’e’ anche la netta possibilita’ che tu non ne sia comunque soddisfatto. Se scegli la mela, magari rimpiangi il sapore della torta al cioccolato se scegli la torta magari rimpiangi di non aver avuto la forza di volonta’ per scegliere quello che fa meglio alla tua salute.

E qui si parla solo di due scelte. Nella vita siamo continuamente di fronte a decisioni di qualsiasi tipo, perfino in questo preciso istante stiamo facendo una scelta. Stare davanti a un computer invece di fare un’infinita’ di altre cose.

Ed e’ proprio a questo che non avevo mai pensato, al fatto che in realta’ le alternative che abbiamo di fronte non ci paralizzano piu’ di tanto, ma al contrario piu’ scelte abbiamo e piu’ finiamo paradossalmente per non scegliere, per tirarci fuori da questa situazione sgradevole il piu’ in fretta possibile seguendo il nostro istinto. Piu’ siamo oppressi dalle scelte e piu’ seguiamo l’umore del momento invece di valutare razionalmente i pro e i contro di qualunque cosa.

Insomma, non ricordo dove volesse arrivare quell’articolo che citavo all’inizio.

lunedì 16 settembre 2013

parliamo, please?

L’atteggiamento passivo aggressivo tipico di una gran parte di questa societa’ e’ una scoperta piuttosto recente per me. Il mio amico psicologo italiano si stupiva quest’estate, perfino che una terminologia cosi’ tecnica, passive aggressive, sia di uso comune in inglese.

Mi sono chiesta come mai ci abbia messo cosi’ tanto ad assimilare questo meccanismo e credo che il motivo sia che e’ talmente lontano dalla mia mentalita’ che anche quando lo incontravo non sapevo definirlo o riconoscerlo. Poi finalmente un giorno, con un po’ di aiuto (e sofferenza…), ho messo insieme tutti i pezzettini e ho cominciato a capire come mai tutti sembrano sempre cosi’ cordiali e poi magari non si fanno mai piu’ vedere.

Non so a livello clinico, ma nel sentire comune si tratta di un comportamento passivo perche’ e’ fondamentale non dire o fare mai capire all’altro quello che stai pensando o provando ed e’ anche aggressivo per via del risentimento che fuoriesce lo stesso e si manifesta con piccolissimi e a volte involontari, gesti sull’altro.

Qualche tempo fa, ad esempio, ho avuto una piccola divergenza di opinione con una persona a scuola, una cosa normalissima che puo’ succedere, a mio modo di vedere. Ho voluto subito chiarire come la pensavo. Ho parlato con grande cortesia e con grande cortesia la controparte ha continuato a fare quello che stava facendo prima. Allora la cosa si e’ fatta un po’ piu’ seria, sempre con immensa cortesia, sia chiaro.

In qualche modo, diciamo che la partita l’ho vinta io, ma le cose fra noi sono lievemente cambiate: in meglio. Ogni volta che ci si vede sono salti di gioia e sorrisoni e complimentoni ed e’ tutto orribilmente mellifluo e ridicolo per quanto mi riguarda. Non c’era un rapporto d’amicizia prima, non vedo perche’ si debba fingere che ci sia ora.

Va bene. Ho capito che qua va molto di moda fare sempre finta di starsi supersimpatici e che se dici quello che pensi vieni bollato come confrontational ed e’ il piu’ grave stigma sociale che ti possa colpire e che la gente ti dice sempre si si scusa hai ragione e poi magari ti detesta, ma e’ sano tutto questo? Non possiamo semplicemente riconoscere i nostri disaccordi e dimostrarci il rispetto reciproco non attraverso l’ipocrisia ma il dialogo?

Questo modo di fare un po’ mi offende. So per certo che ha dei lati positivi, che limita i contrasti e salva le formalita’ e in determinati casi probabilmente e’ anche meglio cosi’, ma e’ pur sempre come dire, io con te non ci provo neanche a ragionare, e’ come se si dovesse sempre fare finta di essere d’accordo solo perche’ non si e’ capaci di comunicare che non si e’ d’accordo come si deve. E a me questa cosa qui sembra poco umana, poco civile. Tanto davvero, il risentimento si avverte, non c’e’ niente da fare.

Parliamo, please.

venerdì 13 settembre 2013

la nostra cosa

Mi sono sempre lamentata che al piccolo Joe, in confronto ai suoi amichetti, non piacesse l’arte e invece ultimamente ne e’ praticamente ossessionato. Forse avevo cominciato a tormentarlo proporgliela troppo presto e ora, a due anni e mezzo, e’ il contrappasso: e’ lui che mi insegue per casa con in mano non solo pastelli a cera o pennarelli, ma anche un gomitolo di lana, un tubo della carta igienica, un guanto, praticamente qualunque cosa… strillando “mamma dinosauro!”, “mamma treno!”, “mamma pinguino!”…

Mr. Johnson dice che di sicuro a questo punto pensera’ che io sia una sorta di strega che trasforma le cose.

Tutto questo, che causerebbe un bel po’ di scompensi a quasi tutte le mamme che conosco, e’ una specie di sogno per me. Nel segno che e’ proprio uguale uguale a quello che sognavo fosse avere un bambino prima ancora che ci fosse lui.

E’ sempre tutto sottosopra, ma questa qui e’ proprio la nostra cosa, quella cosa che e’ solo mia e sua e di nessun altro.

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(Trovate molte altre foto qui se vi interessa l’argomento)

giovedì 12 settembre 2013

di nonne e convinzioni che si sbriciolano

A proposito di armi, vi racconto quello di cui ho parlato con la nonna del Far West la settimana scorsa, quando siamo andati a trovarla.

Quasi con soggezione a un certo punto mi ha chiesto se ero d’accordo che il piccolo Joe a dodici anni imparasse a sparare con certo un fucile (non ricordo il tipo…) perche’ lo aveva prestato e , in caso, doveva farselo restituire. Lo descriveva come un fucile perfetto “fatto apposta per bambini”, lo stesso con cui ha imparato anche suo padre.

L’argomento e’ sempre molto spinoso perche’ lei sa come la penso sulle armi e anch’io so come la pensa lei, ma ci vogliamo un gran bene lo stesso e nessuna delle due vuole offendere l’altra. Ho fatto molta fatica a non dire quello che mi e’ venuto in mente in quell’istante su un cosiddetto “fucile fatto apposta per bambini” e l’ho lasciata un po’ parlare anche per capire dove volesse arrivare. E niente, voleva arrivare proprio li’, che e’ il caso che il piccolo Joe imbracci un bel fucile in tenera eta’. Ma non li sente i telegiornali?

Ha cominciato a raccontare un po’ di storie sul perche’ a uno serve un fucile. A parte l’autodifesa, in sostanza a me pare che lei ce l’abbia con gli scoiattoli. Proprio cosi’. E’ convinta che cospirino per entrate nella sua soffitta, rosicchiarsi avidamente i fili dell’elettricita’ e causare incendi e catastrofi, allora appena ne vede uno gli spara e fortuna che vive nel Far West in mezzo al nulla. In citta’ non potrebbe mai farlo, forse e’ anche  per questo che si rifiuta con tutte le sue forze di trasferirsi. Che io dico, sei li’ completamente sola in mezzo a una natura selvaggia che da cinquant’anni non fa altro che ripetere a te e a tutti gli altri di andarvene da li’ (e infatti se ne sono andati praticamente tutti…), vedi un piccolo scoiattolino indifeso e tu che fai? Gli spari! Ma che cos’hai al posto del cuore? Anche se un cuore ce l’ha eccome visto che questa e’ la stessa persona che non lascia la sua casa nemmeno per una notte perche’ non puo’ separarsi dal suo cane e deve proteggere le sue galline dalle grinfie dei coyote. Si vede che le stanno antipatici gli scoiattoli e anche le puzzole in effetti, dice che trasmettono la rabbia.

Qualche giorno fa mi e’ tornata in mente questa conversazione e ne ho parlato con Mr. Johnson, anche per chiedere conferma, e’ sempre possibile che non abbia capito bene.

- Ma che’ dodici anni! Avro’ avuto sette anni!

E scoppia a ridere. Io spero che scherzasse, ma non ne sono molto sicura. Poi piu’ seriamente quando gli ho detto che non intendo vedere mio figlio con nessuna arma in mano, mai e basta mi ha detto una cosa a cui sto ancora pensando e cioe’ che se vivessimo altrove si’, lo terrebbe lontano dalle armi anche lui, ma visto che viviamo qui e che ci sono armi ovunque e che realisticamente potrebbe capitargli nella vita di trovarsi in mano un’arma (magari a casa di un amico o chissa’ in che situazione) e’ giusto che sappia perfettamente come usarla proprio per una questione di sicurezza.

Credo che continuero’ a pensarci a questa cosa, c’e’ ancora per qualche anno di tempo, perche’ mi verrebbe tanto da dire di no, pero’ d’altra parte e’ capitato anche a me piu’ di una volta di vedere armi in giro a casa di persone che conosco qui. Chi lo sa se erano cariche o no e che cosa capisce un bambino di un’arma e di quello che ci si puo’ fare se nessuno non glielo spiega per bene.

A parte questo discorso comunque notavo una cosa, una differenza lampante fra le mie nonne e le sue.

Le mie, esci un attimo a comprare il pane, dici ci vediamo dopo e ti rispondono “se Dio vuole”. La sua a ottantuno anni fa progetti per i prossimi dieci anni. Santo ottimismo americano.

mercoledì 11 settembre 2013

ognuno ha i suoi ipermercati

Guarda un po’, un nuovo supermercato…no aspetta un attimo…

E’ l’ipermercato delle armi da fuoco.

La volta buona che la nonna del Far West si decide a venire a trovarci.

 

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martedì 10 settembre 2013

ho sempre l’impressione che succedano delle cose meravigliose e nessuno se ne accorga

Poco tempo fa, ho scoperto che una persona che conosco molto bene e che non avevo mai invitato, segue questo blog. Non sara’ l’unica immagino e non so nemmeno se abbia capito chi sia l’autore. Non mi ha mai detto nulla, ma se leggesse con un po’ di attenzione probabilmente potrebbe riconoscersi in un paio di post.

La scoperta ha fatto nascere una piccola conversazione serale fra me e Mr. Johnson.

- Ma secondo te, cosa pensera’ se si riconosce?

- Boh, e’ strano.

- In che senso?

- E’ strano leggere una cosa che ti e’ successa, non e’ normale.

- A me sembra una cosa bella, scrivo solo delle persone che in qualche modo mi sembrano interessanti. Sai, mi piacerebbe se qualcuno scrivesse di me. Mi piacerebbe sapere che non tutte le parole scorrono via per essere dimenticate e che qualcuno mi ascolta davvero e magari fa una riflessione su quello che ho detto o che ho fatto. Ho sempre l’impressione che succedano delle cose meravigliose e nessuno se ne accorga.

- Non saprei. A me va bene che scrivi di me solo perche’ scrivi cose belle.

- Ma io non scrivo cose belle su di te, scrivo la verita’.

- Ma va. Io non sono cosi’ come mi descrivi.

- Ti sbagli, sei proprio cosi’. Non sai quante cose mi fai venire in mente, anche quando non te lo dico.

- Mi fa piacere, ma non sono cosi’ interessante come mi descrivi.

- Va bene. Vuoi un esempio lampante? Quello che mi hai detto stamattina, ci sto ancora ragionando…

- Ma quando? Non ci credo… Non mi ricordo niente di stamattina…

- Mentre uscivamo di casa…me lo sono perfino segnato per non dimenticarlo. Senti qui […].

Ecco vedi, Mr. Johnson, se scrivo spesso di te e’ perche’ metti costantemente alla prova le mie convinzioni e mi arricchisci la vita e non vorrei davvero perdere nulla di tutte queste parole e di tutti questi anni passati insieme.

lunedì 9 settembre 2013

questo blog <3 dallas

Ho passato la giornata con un’amica appena tornata da una splendida estate in Italia. Chiaramente era depressa, come succede a tutti noi expat quando torniamo e non ha fatto altro che meditare improbabili trasferimenti e lamentarsi per tutto il giorno di qualunque cosa, dal tempo alla mentalita’ all’assenza di cose da fare e posti dove andare. Ad ogni proposta rispondeva con una critica.
Lo so che e’ una fase passeggera, succede davvero a tutti, ma diciamocelo: un conto e’ essere quello che si lamenta e che prova pur sempre una qualche forma di soddisfazione e beneficio nella sua attivita’ di lamento e un conto e’ essere quello che ascolta.
A un certo punto, mi sono sentita come Carrie Bradshaw in quell’episodio in cui molla un bell’imbusto solo perche’ parla male di New York.

Dallas a volte fa arrabbiare anche me, e’ vero, ma mi ha accolto a braccia aperte e le voglio un gran bene e mi da’ fastidio quando me la maltrattano. E poi soprattutto credo che, si parli di Dallas o di qualunque altro posto, a un certo punto le cose sono due: o vogliamo passare la vita a demolire tutto quello che abbiamo intorno o proviamo anche un po’ ad apprezzarlo, no?


venerdì 6 settembre 2013

art therapy?

Appena e’ iniziata la scuola la maestra dei cinquenni mi ha chiamato per spiegarmi la situazione di un bambino con parecchi problemi.
- Genitori molto in la’ con gli anni, molto amorevoli, ma entrambi lavorano da casa, non lo hanno mai mandato all’asilo, sembra che non gli abbiano dato nessun tipo di struttura. Prende delle medicine, a scuola ci viene con un cerotto sulla schiena che rilascia delle sostanze che lo fanno stare piu’ tranquillo. Leggiti queste trenta pagine dello psicologo che e’ spiegato tutto bene. Se non hai tempo di leggere tutto subito non importa, ma ricorda soprattutto una cosa: non lo toccare mai per nessun motivo. Niente abbracci, niente immobilizzargli il braccio se da’ di matto, niente pacche sulla spalla, niente. Potrebbe avere delle reazioni inconsulte, non ha praticamente nessuna attitudine alla socialita’.
Ero preparata davvero al peggio con questo bambino e invece in queste prime due settimane non ho avuto nessun tipo di problema con lui, anzi se non me lo avessero segnalato, non lo avrei mai notato fra gli altri.
Fatto sta, che oggi ha fatto un bellissimo lavoro e mentre usciva, come ho fatto con tanti altri suoi compagnuzzi, gli ho detto che era stato molto bravo ed ero molto contenta.
E lui mi ha abbracciato.

lunedì 2 settembre 2013

il senso del business

Ho contattato due babysitter nuove, un’americana e una di un altro paese.

Quella straniera e’ stata serissima e professionale. Mi ha scritto il giorno dopo che avrei dovuto portare il piccolo Joe a casa sua e fornito subito il suo indirizzo. Prezzo decisamente alto, nessun tipo di convenevole.

Quella americana, ha risposto immediatamente, ha fatto subito una battuta simpatica, mi ha scritto che adora i cani e che le va benissimo venire a casa, anche se vive molto piu’ lontano dell’altra. Per quanto riguarda il prezzo, mi ha fatto sapere che non ne ha uno fisso e di pagarla quello “che mi sembra giusto”.

Secondo voi chi ho scelto?

Ho risposto a quella straniera, grazie, ma purtroppo ‘i piani sono cambiati’. Allora lei si e’ precipitata a dirmi che il messaggio precedente era stato un errore, che era destinato a qualcun altro ed e’ partito per sbaglio, e che mi avrebbe fatto pagare molto meno.

Sara’ senza dubbio la persona piu’ buona del mondo, ma direi che se non sono proprio disperata, per me il nostro rapporto professionale puo’ anche finire qui.

Pero’ avrei tantissima voglia di spiegarle che se vuole fare questo lavoro o anche un altro in realta’ forse, la sua strategia e’ davvero fallimentare. In fondo l’altra ha rischiato accettando senza sapere quanto sarebbe stata pagata, ma quando sei cosi’ sereno con le persone poi loro tendono a trattarti bene e a voler tornare da te.