mercoledì 30 marzo 2011

come tradurre cazzeggiare

Ieri sera a cena si discuteva del verbo cazzeggiare.

Mr. Johnson ritiene che la traduzione migliore per lui e’ to dick around. Li’ pero’ e’ partita tutta una discussione sul significato vero del cazzeggio perche’ to dick around ha senza dubbio una connotazione negativa, di rimprovero, cazzeggiare a mio parere no, non sempre almeno.

Cazzeggiare mi sa piu’ di allegria, di piccola evasione.

Voi che ne dite?

martedì 29 marzo 2011

solo per dire che

Solo per dire che ho assistito a una vera conversazione dove una persona veniva presa in giro da tutti I presenti per aver ammesso di avere paura di certi serpenti lunghi due metri che si arrampicano sugli alberi. Ecco, solo questo.

(La mia consolazione era che la persona in questione vive in un ranch fuori citta’, ma poi mi sono ricordata di questo. Povera me)

lunedì 28 marzo 2011

concetto afferrato

Mi viene fatta una proposta lavorativa. Faccio di tutto per rimandare, ridimensionare, criticare, perfino ironizzare. Incateno tutta quella serie di atti mancati tipici dell’autoboicottaggio. Mi dimentico, non avevo capito, non mi informo, arrivo tardi, o almeno ci provo. Chiedo consiglio giusto per mettermi a posto la coscienza, ma spero con tutte le forze che mi si dica di lasciare perdere, che e’ una stupidata e come ho fatto anche solo a pensare che fosse possibile. Perche’ sotto sotto vorrei, ma poi e’ difficile, ho troppa paura di misurarmi e soprattutto di fallire. E poi non ho tempo e poi chi me lo fa fare di incasinarmi. Ma come la mettiamo se la fantomatica proposta magari tanto malaccio non e’? 

Niente da fare. Resisto. E m’impigrisco.

E allora e’ il momento di imparare qualcosa di nuovo.

- Excuses are like assholes. Everybody has one, and they all stink.

martedì 22 marzo 2011

grazie, eh

Da quando e’ nato Slipino, succede che mi senta cambiata. Profondamente cambiata. Dalle cose piu’ grandi a quelle piu’ piccole. Cioe’ poi non proprio cambiata in realta’, solo meno attaccata alle cose, alle situazioni. Mi scivola un po’ tutto addosso in questo periodo. So cosa sto facendo e so cosa voglio, idee chiare e produttivita’ al massimo, del resto non mi preoccupo piu’ di tanto. Ecco non mi preoccupo inutilmente. Mi sento bene, piu’ serena, l’ho detto. Proprio come dice banalmente la gente delle neomamme, che diventano piu’ serene. Mi verrebbe da dire speriamo che duri. Un giorno ho chiesto conferma a Mr. Johnson per capire se questa mia sensazione fosse percepibile anche all’esterno. Mi capita di specchiarmi molto meglio nei suoi occhi che nei miei.

- Si, sei cambiata.

Se c’e’ una cosa che ho imparato nella vita e’ che quando uno ti dice ‘sei cambiata’ non e’ praticamente mai un complimento.

Allora ho chiesto in che senso sono cambiata e mi sono state dette in modo un po’ neutro piu’ o meno le stesse cose che sento anch’io, quelle che ho scritto all’inizio. Non contenta insisto:

- Si, ma e’ una cosa positiva no?

- Beh, certo, si vede che sei piu’ tranquilla, che sai quello che c’e’ da fare. Non sai quanto sono contento quando penso che ci sei tu con Slipino tutto il giorno e non io.

- E quindi?

- Mio padre diceva ‘le donne fanno di tutto per cambiare gli uomini e non ci riescono mai. Gli uomini invece vorrebbero che le loro donne non cambiassero mai, ma loro cambiano sempre’.

Ma non si chiama evoluzione quella li? E non e’ che arrivi nemmeno gratis.

lunedì 21 marzo 2011

…e intanto in giappone…

Come chi mi segue da un po’ si ricordera’, c’e’ un ramo della famiglia Johnson che vive dall’altra parte dell’oceano, verso est. Non vi nascondo di aver vissuto e in parte di vivere ancora, momenti di grande apprensione sentendo prima del terremoto, poi dello tsunami e infine dell’emergenza nucleare anche se e’ stato chiaro fin dall’inizio che Kioto, la citta’ in cui vivono i nostri Johnson giapponesi e’ subito stata considerata fuori pericolo. Chiaramente questo non e’ bastato a impedire allla nostra mitica Cassandra Johnson di inviare pesanti e costosissimi pacchi di beni primari e durevoli come latte in polvere per adulti, burro di noccioline, scatolette, riso…che’ mandare il riso in Giappone fa anche un po’ ridere. E infatti, se noi ci preoccupavamo, loro hanno tenuto i nervi saldi. Anzi, ci hanno raccontato che a Kioto e’ sempre regnata una surreale normalita’. Ieri pero’, quando la nostra famiglia Johnson giapponese, e’ andata a pranzare in un ristorante del centro qualcosa di diverso e molto strano lo ha notato. I marciapiedi erano invasi da senzatetto occidentali.

In fuga da Tokio con gli alberghi tutti esauriti non si puo’ fare altro in questi giorni a Kioto che dormire per strada in attesa di riuscire a ripartire.

Dato quello che e’ successo in Giappone, vengo caldamente e da piu’ parti invitata  a costruirmi un rifugio anti-tornado in giardino. Non fa una piega.

giovedì 17 marzo 2011

e chi se lo aspettava…

- Happy St. Patrick’s day!

- Ma come? … E poi?

- Poi cosa?

- Sei sposato con un’italiana e non sai che giorno e’ oggi?

- No.

- Oggi e’ il centocinquantesimo compleanno dell’Italia, altro che St. Patrick!

- Il Texas e’ molto piu’ vecchio.

mercoledì 16 marzo 2011

tutto non si puo’ avere

L’altra sera ho ricevuto una telefonata da uno sconosciuto. Diceva di chiamare a nome di tutti I genitori della scuola Flanders, che era incaricato di ringraziarmi per tutto quello che faccio per I bambini e di augurarmi un felice spring break. Li’ per li’ sono rimasta basita. Dopo un po’ di mesi fuori dalla scuola mi ero disabituata a questa loro gentilezza incredibile, a volte perfino ai limiti del surreale.

Cosi’ ho realizzato che ci siamo. Fra un paio di settimane torno al lavoro. Non ci pensavo proprio. Le giornate scorrono cosi’ rapide e piene che non so mai nemmeno che giorno e’. Chiaro, ci sono emozioni contrastanti: la gioia di tornare a un lavoro che amo e la preoccupazione di lasciare un bimbo di pochi mesi a casa. Di sicuro, non potevo trovare baby sitter migliore, una nonnina pazzamente  innamorata che verra’ apposta dall’Italia per aiutarci in questa delicata transizione, il difficile verra’ in autunno.

L’altro giorno ho incontrato una persona che aveva una carriera pazzesca, che la portava a viaggiare in giro per il mondo ogni mese e a guadagnare piu’ di quanto io possa anche solo sperare e ora fa la casalinga. Qualche anno fa ha adottato due bambini e ha ritenuto di mollare tutto il resto perche’ I figli giustamente hanno la precedenza. Immagino pero’ che la rinuncia non sia stata indolore se ogni volta che la incontro trova il modo di tornare sull’argomento con invettive severissime contro chiunque non segua il suo esempio. Quando l’ho rivista allora, ho immaginato subito che non potesse esimersi dalla fatidica domanda.

- Quindi, hai deciso di stare a casa con lui? Hai fatto bene. E’ cosi’ piccolo, poi I bambini hanno bisogno di tutta l’attenzione, non li puoi mica lasciare a se stessi…

- Veramente… tra qualche settimana torno al lavoro.

La risposta e’ stata: - “Ah”

Poi un sorriso congelato e uno sguardo infinito e commosso al bambino e poi uno sguardo altrettanto prolungato alla madre snaturata e poi ancora uno sguardo impietosito al povero pargolo prima delle solite frasi di circostanza. Ma si’, hai fatto bene, vedrai che e’ cosi’ piccolo che non soffrira’ nemmeno troppo…

So perfettamente che questa persona aveva un lavoro completamente diverso dal mio e che io in fondo staro’ fuori poche ore al giorno, che sono due situazioni completamente diverse, pero’ quando sono tornata a casa volevo piangere.

E cosa si fa in questi casi? Si chiama un’amica, che in questo caso, ha ben tre figli e ha smesso di lavorare con il secondo. Mi dice:

- Sai qual e’ la cosa piu’ importante per lui? Che la sua mamma sia felice. 

E ora la sua mamma cerchera’ di capire se riuscira’ ancora a essere felice al lavoro sapendo chi l’aspetta a casa.

lunedì 14 marzo 2011

suona il clacson se sei italiano

Da queste parti, si incontrano davvero pochi italiani, cosi’ quando l’altro giorno ho visto su un’auto nel traffico l’adesivo “honk if you are italian!” (suona il clacson se sei italiano) sono quasi stata tentata di farlo, giusto cosi’ per vedere cosa succedeva. Mi sono chiesta se qualcuno suona davvero, se se ne incontrano di italiani in giro a Dallas. A me non capita mai. O meglio.

Se e’ vero che a Dallas non ci sono italiani, e’ anche vero che tutti sono italiani. Basta avere non dico un nonno, ma perfino un cugino di secondo grado italiano per sentirsi italiani. Certamente da un lato questa cosa fa molto piacere, dall’altra pero’ non ci si sente fra italiani se non si e’ nemmeno in grado di parlare italiano insieme. E a me stare fra italiani ultimamente piace sempre di piu’.

Allora ho deciso.

Mi serve un adesivo che dice proprio “suona il clacson se sei italiano”. 

Non succedera’ mai, ma se qualcuno prima o poi suonera’ potro’ star certa che sara’ un italiano vero. O che ho imboccato un controsenso.

venerdì 11 marzo 2011

chi ti ruba i sogni

Da quando e’ nato Slipino, non sogno piu’. Immagino sia una diretta conseguenza della cattiva qualita’ del sonno che riesco a strappare qua e la’ fra i mille impegni della giornata. In compenso pero’, sia io che Mr. Johnson siamo afflitti di tanto in tanto da incubi atroci. Incubi che solo da bambini erano cosi’ terrificanti. Incubi che poi racconti sconvolto e ti infastidisci perche’ scopri che fanno quasi sempre ridere. Bambine zombi, dinosauri assetati di sangue in giardino, il monaco albino del codice Da Vinci travestito da grasso tecnico dell’aria condizionata e tu che metti in salvo I bracchetti e ti dimentichi completamente del pupo mentre la controparte, che non ero io in quel caso, chiama la polizia in tutta calma con un bell’asciugamano in testa. E via dicendo.
Insomma, l’attivita’ onirica del genitore e’ un bel casino, ho scoperto. La mia dentista mi ha raccontato che ancora spia le sue figlie mentre dormono per vedere se respirano: hanno vent’anni.
In tutto questo ripensavo ai sogni che facevo quando ero incinta. Erano sogni diversi da prima, vividi, sapori, odori, per lo piu’ sogni piacevoli, che mi rassicuravano. E poi il sesto senso delle donne incinte. Ho sognato praticamente fino all’ultimo giorno che avrei avuto una bambina, ho sognato perfino il suo nome, era cosi’ vero e, lo ammetto, fino alla fine ho avuto il dubbio che i dottori si fossero sbagliati. E’ che tutte le mie amiche mi raccontavano storie magiche di sensazioni, di premonizioni…e io niente, anzi tutto sbagliato, non ci potevo credere, con tutta quella letteratura che esiste sul sesto senso delle future madri.
Una volta ho sognato che mio figlio (in quel caso era un maschio in effetti) era grande, doveva iscriversi all’universita’, un momento cruciale della vita, e non sapeva che facolta’ scegliere. Gli dicevo Pensa a quello che ti piace, cosa ti interessa veramente? E lui mi dava una risposta sulla quale ancora mi interrogo.
- Mamma, e’ difficile. A me piace solo la cinematografia sudcoreana.
E li’ mi svegliavo. Dice che ci si sveglia sempre quando il sogno diventa troppo difficile da gestire.
L’altro giorno pero’ mi sono ricordata di un altro sogno. Era un sogno meraviglioso, di felicita’ pura. Capito’ giusto un paio di giorni prima della nascita. Non succedeva molto in questo sogno, c’ero solo io che guardavo un bambino con una tutina rossa. Lo raccontai subito a mia sorella perche’ quel bambino assomigliava moltissimo a lei da piccina. Per qualche strano motivo avevamo sempre immaginato un bimbo fatto un po’ come Mr. Johnson da piccolo e questo qui era completamente diverso.
Ecco, l’altra mattina ho avuto come un déjà vu. Baby J si era appena svegliato e sorrideva come fa sempre quando non e’ troppo affamato. E sorrideva e sorrideva e io guardandolo quasi avevo le lacrime agli occhi, era gioia pura nella sua tutina rossa. Se lo avessi visto per la prima volta, avrei detto senza ombra di dubbio che assomigliava moltissimo a mia sorella da piccola.
Non so come sia possibile, ma credo proprio che il mio piccolo Slipino  fosse venuto a farmi un saluto quella volta in quel breve sogno felice. 

lunedì 7 marzo 2011

I <3 dallas

Una mia carissima amica si trasferisce e non e’ la prima volta che succede purtroppo. C’e’ un certo viavai da queste parti e quando una persona importante se ne va e’ sempre una sofferenza, ma in questo caso c’e’ anche dell’altro. Lei e il marito sono entrambi stranieri e si sono trasferiti qui piu’ o meno quando l’ho fatto anch’io. Ecco, se ne vanno perche’ lui odia Dallas. La odia al punto che stava cadendo quasi in depressione e la decisione di trasferirsi e’ stata dettata non da un’offerta di lavoro, ma semplicemente dal non poterne piu’ di stare qui. Se gli chiedi qual e’ il problema vero ti da motivazioni tipo ‘non ci sono piste ciclabili’ o ‘fa troppo caldo’ che per me non sono cosi’ gravi da giustificare una presa di posizione del genere, ma non voglio assolutamente sottovalutare il disagio. So cosa significhi non sentirsi soddisfatti del posto in cui si vive. E’ irrimediabile, se un posto non piace, non piace. Puoi crearti delle amicizie, degli affetti, ma se non riesci a farti andar giu’ una citta’, avrai sempre qualche rimpianto e pure grosso. Detto questo, qui si parla di Dallas, la mia Dallas e allora, si’ mi rendo conto anch’io dei limiti di questa citta’, ma non ci posso fare niente, mi sento un po’ come in quell’episodio di Sex and the city in cui Carrie piantava un fidanzato perche’ aveva parlato male della sua New York. Il marito della mia amica mi e’ diventato improvvisamente antipatico. 

venerdì 4 marzo 2011

i veri sacrifici

Questa era la mia borsa preferita:

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Questa e’ la borsa di Baby J:

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Quindi ora questa e’ la mia borsa “preferita”:

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C’e’ solo un piccolo problema…

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martedì 1 marzo 2011

logiche imperscrutabili

Faccio mille cose. Spesso le faccio male perche’ mi interrompo continuamente e sono piuttosto frustrata per questo. D’altra parte sorrido praticamente tutto il giorno e la sera, stanchissima, ripenso a tutto quello che ho fatto e piango, gia’ piango, perche’ se ne e’ andato un altro giorno straordinario, indimenticabile. Per la prima volta nella mia vita sono pienamente consapevole della mia felicita’ nel momennto in cui la vivo. Mi sento privilegiata e onorata di essere madre, e’ una sensazione indescrivibile senza cadere nella retorica, che’ poi se la retorica esiste un motivo ci sara’ pure, no? Questo piccolo Slipino mi provoca una specie di prosciugamento emotivo. Di fronte a lui nemmeno gli acchiappaconiglietti hanno piu’ la tenerezza di un tempo e se ne sono accorti anche loro, ma e’ una battaglia persa. Basta che lui sorrida un secondo ed esplode una gioia, un qualcosa dentro, che non importa cosa sia successo prima, si azzera tutto e tutto si colora. L’unico problema e’ che non e’ facile capire dove sia finita nel frattempo la persona che ero anche solo tre mesi fa. Sto vivendo una piccola crisi di identita’. Anzi mica tanto piccola poi. Penso a tutto quello che facevo, che era importante per me prima e in teoria, certo, lo e’ ancora, ma quasi non ci penso piu’, non ne ho nemmeno il tempo materiale. Tra un mese torno al lavoro e non so con che testa lo faro’. Arranco. Cerco di essere la versione migliore di me e non lo faccio per me. Cosi’ mi viene spontaneo guardare le altre donne per capire come fare ed ecco che subito cado anch’io in quei contorti meccanismi femminili che non ho mai capito. Lo scorso fine settimana abbiamo avuto due cene con degli amici. E’ finita che mi sono stressata tantissimo. La prima volta di fronte a questa madre di tre figli, sempre bellissima e perfetta, mi sono sentita un relitto. Dopo due mesi, sono quasi tornata al mio peso pre bimbo, ma e’ la forma del corpo che e’ cambiata purtroppo. Non mi sento femminile come prima, nonostante forse lo sia perfino di piu’. E’ che non ho nemmeno il tempo di guardarmi allo specchio e probabilmente e’ anche meglio cosi’: dubito fortemente la maglietta con macchia di latte semi digerito mi doni. E cosi’ di fronte a questo capolavoro di bellezza e femminilita’ che e’ una delle mie migliori amiche al mondo e che pure mi rallegra e mi da’ speranza per il futuro, mi sento un microbo. La seconda volta, invece, di fronte a quest’altra amica, che cosi’ bella e perfetta forse non lo e’ ma che ha una casa sempre immacolata e che si scusa per due piatti sporchi nel lavandino, quando e’ chiaro che sta cucinando (!) mi sono sentita un fallimento come casalinga. Che poi dico, casalinga? Mi sono bevuta il cervello? Proprio io? Non e’ certo mai stata l’aspirazione della  mia vita quella di essere una brava casalinga, ma ora, che’ vi devo dire, e’ diverso. Fa parte di quello che fa una mamma e io la mamma la voglio fare bene, e’ un istinto primordiale, nesting, chiamatelo come vi pare, ma c’e’. Quindi stress a non finire e soprattutto senso di inadeguatezza. E qui, come sempre viene in aiuto il secondo uomo di cui sono pazzamente innamorata che dopo avermi preso in giro come merito, mi fa una domanda semplice:

- Ma perche’ invece di deprimerti quando sei con quella bella non pensi a quanto la tua casa sia infinitamente piu’ pulita della sua e quando sei con l’altra a quanto sei piu’ carina di lei? 

Gia’, perche’? Perche’ tra buttarsi giu’ e un moto di sano orgoglio devo scegliere sempre la prima opzione? A cosa serve poi questo atteggiamento nichilista?

Forse ad aggiungere un nuovo capitolo alla sventurata saga dell’autoboicottaggio.