venerdì 30 agosto 2013

futuro e probabilita’

Ogni singolo giorno c'è qualcuno che mi chiede:

- Are you going to have another child?

o peggio ancora:

- When are you going to have another child?

e io rimango sempre un po’ perplessa. Forse sono i miei trascorsi o forse e’ semplicemente che facendo una traduzione letterale dall’italiano percepisco solo il senso di futuro e non di possibilita’, ma mi sembra una domanda cosi’ presuntuosa, voglio dire, presuntuosa nei confronti della vita. Presuppone una serie di convinzioni da parte di chi la fa che non condivido affatto.

Come se fosse una cosa che si decide. Come se fosse una cosa che succede quando si decide. Ad alcuni succede e ad altri no.

Io rispondo sempre:

- I don't know,  let's see what happens.

Ogni tanto bisogna avere il coraggio di indietreggiare un attimo e farsi spettatori della propria vita, non si può mica decidere tutto tutto.

O dobbiamo fare finta che si’?

giovedì 29 agosto 2013

soprannomi che diventano nomi

C’e’ una cosa in cui mi sono veramente americanizzata: l’uso del soprannome e agli italiani questo proprio non va giu’. Mi ricordo che appena siamo arrrivati in Italia quest’estate, una nonna al parco ha chiesto al piccolo Joe come si chiamava e lui ha risposto con il soprannome che usiamo quando parliamo in italiano, non perche’ sia stato istruito a dire cosi’, ma perche’ per lui e’ naturale, si sente chiamare cosi’ e pensa che quello sia il suo nome. Infatti, se gli chiedi come si chiama in italiano ti dice come lo chiamiamo di solito quando parliamo in italiano e se glielo chiedi in inglese ti dice come viene chiamato quando parliamo in inglese. Lo so sembra complicato, ma per noi non lo e’. Ad ogni modo, la signora non era per niente soddisfatta dalla risposta ricevuta, cosi’ ha chiesto di nuovo: “Si, ma qual e’ il tuo nome?” e lui ha ripetuto il suo soprannome. A quel punto la signora ha cominciato a spazientirsi. “No ma il tuo vero nome!” e lui ripeteva sempre il soprannome. Prima che le venisse una crisi isterica, sono intervenuta, le ho rivelato il nome che c’e’ sul passaporto e si e’ subito tranquillizzata.

Qui non sarebbe mai successo. Ognuno si accontenta della risposta che riceve. Ci sono nomi davvero assurdi eppure nessuno si stupisce (tranne la sottoscritta chiaramente). Gli americani non sono un popolo molto curioso sotto questo punto di vista.

Ma veniamo a me. Nemmeno io avrei mai pensato prima di presentarmi con il mio soprannome, ma oramai il mio soprannome di fatto e’ diventato il mio nome.

I primi tempi qui , mi presentavo come in Italia, con il mio nome per intero pronunciato uguale, ma dopo un po’ ho cominciato a odiare la maniera in cui veniva storpiato. Non mi sentivo chiamata e non era una sensazione per niente piacevole o superficiale, ne andava della mia identita’ in qualche modo.

Non dimentichero’ mai questo tale della compagnia telefonica o elettrica non ricordo, che mi tenne al telefono un’ora continuando a chiamarmi Himalaya, come la montagna.

Dopo un po’ mi sono arresa: il mio nome e’ lungo, pieno di vocali e praticamente impronunciabile per gli americani. Ho cominciato a usare il diminutivo che quasi tutti i miei amici hanno sempre usato anche in Italia (perche’ nessuno mi ha mai chiamato con il mio nome per intero, nemmeno i miei genitori) e pian piano quello e’ diventato il mio nome piu’ del mio nome in un certo senso. Qui mi presento sempre con il mio soprannome. C’e’ gente che conosco da anni che non ha idea di come mi chiami davvero e c’e’ gente che per gentilezza, si ostina a cercare di chiamarmi con il mio nome per intero e mi infastidisce da morire perche’ non ci riesce proprio, e’ inutile. Insomma, preferisco un soprannome detto bene a un nome pronunciato male. 

Ogni tanto, mi viene spontaneo firmare un’email, ad esempio, con il mio soprannome anche in italiano e dagli sconosciuti ricevo sempre reazioni tipo quella della nonnina al parco. In effetti, questo e’ proprio diverso da una lingua all’altra. Non riesco a immaginarmi che so, un Alessandro che si presenta come Ale o una Cristina che si presenta come Cri, ma qui si’, qui funziona perfettamente. Di fatto ognuno si sceglie il suo nome.

mercoledì 28 agosto 2013

il realismo magico dei bambini

- Buonanotte Joe, ti voglio bene.

- I (=io) tanto bene mamma.

Prima, quando vedevo siparietti di questo tipo nei film, la glicemia mi saliva alle stelle nel giro di cosi’ pochi secondi che mi provocava attacchi di cinismo tra i piu’ deleteri. Perche’ mi sembrava tutto cosi’ orribilmente stucchevole e costruito. Quale bambino potrebbe mai essere cosi’ adorabile? Con quei capelli scompigliati in maniera cosi’ poco casuale, quella vocina... semplicemente troppo, un ritratto niente affatto realistico, loro non sono cosi’, suvvia.

E invece. Tante volte sono proprio cosi’. I bambini posso essere fra gli esseri piu’ rivoltanti al mondo. Stamattina, ad esempio, mentre spiegavo, avevo l’intera sezione femminile della seconda elementare che faceva le bollicine con la saliva e quella maschile che faceva le puzze, poi ho trovato un cappero spiaccicato sulla Monna Lisa e varie altre cosine che non sto qui a dirvi, la vita quotidiana di un’insegnante elementare insomma. Pero’ poi hanno dei momenti di assoluta poesia e di bellezza sublime, di perfezione totale e non esagero. 

Il piccolo Joe ultimamente, quando non e’ alle prese con il vasino, e’ quasi sempre in questo tipo di stato d’animo trascendentale.

Lo guardo guardare il mondo e mi riempio di gioia.

L’altro giorno continuava a dire Chiuso! Chiuso! e io non capivo, poi ci sono arrivata. Aveva notato che fra i fiori che avevamo sul tavolo ce n’era uno ancora chiuso e per lui quella era una scoperta incredibile. Ancora di piu’, quando gli ho spiegato perche’ era chiuso e che forse poi si sarebbe aperto anche lui come gli altri. Ha cominciato a controllare ogni giorno finche’ finalmente, quando pensavo se ne fosse dimenticato, e’ venuto correndo ad annunciarmi Aperto! Aperto!  

A lui interessano queste cose ora, a due anni e mezzo. Le piante, gli animali, l’arcobaleno che fa la nostra porta a vetro al tramonto, il cielo. Ecco, il cielo e’ una delle cose che lo affascinano di piu’. Ultimamnente si interroga tantissimo sull’alternarsi del giorno e della notte. La luna di notte brilla, ma c’e’ anche di giorno... ma guarda un po’ questa luna.

Una mattina si sveglia, corre dritto in giardino, guarda il cielo e dice:

- ‘Zzullo (=azzurro). Dov’e’ la notte?

E poi gli aerei nel cielo sono sempre un evento che porta con se’ mille interrogativi.

Ci piace molto costruire cose insieme, ma giochiamo tantissimo anche solo con l’immaginazione. Io comincio dal nulla e lui mi segue come se fosse la cosa piu’ normale del mondo, mi capisce al volo lui. Guarda che belle mele su quell’albero, dai raccogliamone un po’! e chiaramente siamo in sala ed e’ tutto nella nostra testa e da grande pensera’ che sua madre e’ una pazza scatenata, ma intanto ci divertiamo un mondo, inventiamo delle storie bellissime.

E poi ultimamente scrive lettere a tutti e chiede il bollofranco che le fa arrivare lontano dai nonni, anche questa cosa lo affascina da morire. 

L’altro giorno lo guardavo e pensavo ma che accidenti facevo prima di lui? E’ una cosa che i genitori dicono spesso, che non si ricordano la loro vita prima di avere i figli, e che prima non capivo, eppure ora lo vedo anch’io. Cioe’ ti ricordi tutti i fatti perfettamente, ma quello che hai dimenticato e’ come funzionava il tuo pensiero allora perche’ ora e’ tutto cosi’ diverso.

Non riesci nemmeno piu’ a ricordartela la vita senza questa gioia, questa stanchezza, quel sorriso.

martedì 27 agosto 2013

meglio di no

L’altra sera eravamo a cena fuori e al nostro tavolo e’ arrivata una signora molto simpatica per dirci in inglese che non aveva potuto evitare di ascoltarci parlare in italiano e che era fantastico perche’ anche suo marito e’ italiano e dovevamo assolutamente conoscerlo. 

Era cosi’ contenta che per un attimo ho anche pensato che magari avremmo dovuto invitarli al nostro tavolo e che eravamo stati troppo freddi di fronte a tanto entusiasmo.

Proseguiamo la nostra cena e dopo un bel po’ arriva davvero il marito italiano e si rivolge per tutto il tempo esclusivamente a Mr. Johnson, dando per scontato che sia lui l’italiano:

- Scusate ma mia moglie mi ha obbligato a venire a conoscervi.

E’ il suo esordio. Il resto ancora peggio.

Immagino sempre quanto sarebbe bello conoscere piu’ italiani qui e poi puntualmente incontro dei fenomeni.

Insomma, poteva rimanersene al suo tavolo.   

lunedì 26 agosto 2013

'where is the people?'

C’e’ questo tipo italiano che si trasferisce qui e dice Ma non c’e’ nessuno qui? Impossibile! Adesso mi metto fuori dalla porta di casa e aspetto. Qualcuno dovra’ pur passare. Dieci minuti di orologio e non passa nessuno. Torna dentro.
C’e’ questo vecchietto cubano che vive qui da trent’anni e mi racconta che nel suo paese e’ stato sedici anni in carcere, ma questa e’ la sua vera prigione perche’ qui non c’e’ nessuno con cui fare due chiacchere, qui non si esce a fare una passeggiata e si incontra un amico e allora che vita e’ se la gente non parla, se ognuno se ne sta a casa sua? Viviamo solo per lavorare e comprare cose? Proprio cosi’ mi diceva. 
Poi c’e’ questa ragazza indiana che si e’ comprata una casa davanti a un parco giochi pensando che avrebbe avuto occasione di incontrare un po’ di gente e invece niente, i suoi figli giocano a casa da soli:
- I don’t understand, where is the people?
Un po’ e’ il caldo, un po’ e’ che la societa’ e’ proprio questa. Il famoso individualismo americano, eccolo qua in tutto il suo splendore.
Io non sono mai stata una persona strasocievole, ho sempre avuto tanti amici, ma ho anche sempre custodito gelosamente i miei spazi e amato molto la solitudine fin da bambina. Per contro, ho dei genitori che sono le persone piu’ ospitali del mondo e al limite, l’ho anche un po’ subita questa cosa crescendo, o almeno cosi’ credevo perche’ dopo tutti questi anni in un posto come questo farei carte false per avere indietro quel caos in cui ho vissuto (o forse no, forse mi piacerebbe solo non essere passata da un estremo all’altro…).
Ricordo con orrore la prima volta che ci invitarono a cena qui. Andammo in un ristorante, finimmo di mangiare e ce ne andammo. Il tutto in tipo un’ora. Altro che caffe’ e ammazzacaffe’ e farsi buttare fuori dal cameriere perche’ e’ ora di chiudere. E come glielo vai a spiegare? Ragazzi, mica siamo venuti qua solo per mangiare, parliamo un po’ diamine. Certo e di cosa? Ma no, non cosi’. Va bene lasciamo perdere.
Bisogna davvero allenare la mente, darsi una calmata, avere pazienza, cerco sempre di non dimenticarlo, ma poi lo dimentico lo stesso.
L’altra sera ad esempio, e’ venuta la mia vicina a farmi da babysitter e si e’ trattenuta un attimo a parlare del piu’ e del meno, e’ stato piacevole. La trovo una persona adorabile, ma ho smesso di cercare di fermarla quando la vedo davanti a casa perche’ sembra sempre cosi’ di corsa che ho quasi l’impressione di importunarla. Ma cosa avra’ mai da fare a tutte le ore? Sono sicura che non sia cosi’, ma a un certo punto mentre parlavamo mi e’ venuto da pensare che magari non se ne andava come al solito perche’ tecnicamente…ecco la stavo pagando.
E anche gli italiani non sono tanto meglio. Ne conosco diversi, che vivono qui da tantissimo e si sono completamente americanizzati in questo senso. Mi chiedono sempre di vederci minimo un mese prima. Adorano avere lo ‘schedule’ (parola chiave della vita americana) sempre completo anche nei weekend. Conoscono tantissime persone e le vedono tutte a incastro in modo da essere sempre occupati e non perdere i contatti con nessuno. Ma io dopo sette anni ancora non riesco a ragionare cosi’. A me ancora piace la spontaneita’, mi piace dare il tempo a chi mi pare ne faccia il miglior uso. Invece qui va sempre a finire cosi’, anche fra noi expat. Sempre con questi eventi di vario genere a cui ti invitano e poi e’ tutto un piacere, come ti chiami cosa ci fai in Texas perche’ ho notato che succede un fenomeno piuttosto strano: il cerchio man mano si allarga a persone nuove, ma non fai mai in tempo a conoscere bene quelle vecchie, cosi’ sembriamo tutti amici, ma amici di cosa? Qui a Dallas in particolare, e’ un viavai continuo di stranieri. La maggior parte delle persone vengono, finiscono un determinato progetto di lavoro e se ne vanno. E di solito lo sanno che non staranno qui tutta la vita quindi lo vedi proprio che non si impegnano, che mirano solo a riempire i vuoti momentanei e dopo un po’ ti avvilisci.
E’ rischioso conoscersi, e’ vero, si possono anche prendere delle notevoli cantonate, ed e’ successo, ma ci si arricchisce sempre in qualche modo, cosi’ invece...
Praticamente ogni giorno, ricevo messaggi di italiani che vogliono venire a vivere qui e io dico sempre la verita’, che si vive molto bene e che io sto bene, ma sto bene perche’ fortunatamente ho avuto l’occasione di aver trovato un lavoro che adoro e di imbattermi in almeno un paio di belle persone, altrimenti sarebbe davvero dura. E’ la socialita’ che e’ intesa in tutt’altra maniera in questa parte di mondo e se si vuole vivere qui bisogna davvero fare uno sforzo a livello personale e non dare nulla per scontato. Tipo non pensare che dato che quel collega e’ cosi’ gentile e simpatico poi diventera’ tuo amico perche’ nove su dieci non e’ cosi’. L’ho dovuto spiegare proprio poco tempo fa. Non chiedetemi perche’, ma non e’ cosi’.
Il vecchietto cubano dice che l’America e’ una malattia incurabile perche’ ti toglie il calore umano, ma ti da’ talmente tanto altro che se ne hai la possibilita’ dall’America non te ne vai piu’. Il famoso discorso del dare e dell’avere, a ognuno le sue conclusioni.

mercoledì 14 agosto 2013

ore 9: ripasso di ottimismo e buoni sentimenti

L’altro giorno sono tornata al lavoro.

Come ogni anno per prima cosa si fa una riunione che comincia con un giro del tavolo per raccontarsi brevemente come e’ andata l’estate. A me questa cosa serve molto per rientrare nel famoso spirito della scuola Flanders (che ho soprannominato cosi’ non a caso, se avete presente il personaggio dei Simpson…) che puntualmente perdo per strada dopo neanche una settimana che non la frequento.

Quest’anno purtroppo, molti dei miei colleghi hanno avuto un’estate davvero orribile – chi ha scoperto che la madre ha un tumore al cervello, chi si e’ rotto la gamba il giorno dopo la fine delle lezioni, chi ha quattro figli sotto i sei anni e un marito che soffre di amnesie e nessun medico riesce a curare…-  eppure si sforzavano tutti disperatamente di mostrare agli altri che non anadava poi cosi’ male, che c’era almeno un lato positivo.

A me quello che dicevano sembrava cosi’ surreale.

E come al solito mi chiedevo se fossi l’unica ad avere quella sensazione. In un altro contesto avrei pensato a copioso uso di sarcasmo.

Mi sono rotta la gamba, ma non mi sono mai riposata tanto, forse il Signore ha voluto dirmi questo perche’ ne avevo proprio bisogno! [n.b. E’ ancora in sedia a rotelle dopo due mesi]

Stamattina ho lasciato la mia neonata con la babysitter perche’ mio marito e’ troppo malato per stare da solo con lei, ma –e’ andata bene- non ho pianto, anzi nessuno ha pianto, l’abbiamo solo abbracciata tutti a lungo a turni. [A quel punto stavo per piangere io]

Ragazzi scherzate, vero? Pensavo fra me e me, ma sapevo benissimo che loro cercavano davvero di convincersi di quello che dicevano, che sono cosi’ cercano sempre del buono in ogni situazione. Mi piacerebbe un po’ forse essere come loro, ma il problema e’ che fondamentalmente continuo a chiedermi perche’ e non trovo nessuna risposta soddisfacente. Voglio dire la sofferenza era palpabile. Alcuni di loro hanno dovuto fare delle piccole pause per riprendere fiato e tornare a parlare con il sorriso invece di scoppiare a piangere davanti a tutti, si vedeva, non sono supereroi. Davvero li fa sentire meglio nascondere sempre e comunque il dolore, buttarlo sotto il tappeto come se fosse qualcosa di sporco di cui vergognarsi? Insomma, va bene l’ottimismo americano, la fede e tutto e non dico di trasformare una banale riunione del consiglio degli insegnanti in una seduta psicanalitica (anche se sarebbe il mio sogno) ma se ti cade una o un’incredibile serie di tegole in testa, avrai pure il diritto di asserire che non e’ proprio l’esperienza piu’ piacevole che ti sia capitata? O no?

C’e’ da sperare che non capiti mai nulla del genere a me, anche perche’ gia’ ve lo dico: non sarei mai in grado di offrire uno spettacolo allo stesso modo edificante.

martedì 13 agosto 2013

da che cosa e' motivato tuo figlio?

La maestra mi chiede:

- Da che cosa e' motivato suo figlio? (What motivates your son?)

Caspita, bella domanda. Pensando alla strategia che sto usando per fargli usare il vasino, mi viene da risponderle, i biscotti, decisamente i biscotti. I biscotti funzionano, lo motivano  alla grande. E’ anche vero che ultimamente i biscotti non funzionano piu' come un tempo. Le figurine forse, si' senza dubbio in questo momento le figurine costituiscono la sua spinta maggiore al progresso e all’evoluzione in questo mondo.

- Mah…senz’altro la voglia di imparare. Ogni volta che impara qualcosa di nuovo gli brillano gli occhi, diventa talmente orgoglioso…sente proprio una spinta a fare sempre meglio. Eh. E’ cosi’ lui.

lunedì 12 agosto 2013

la chiave di tutto

 IMAG0727 (1)A volte succedono cose che sembrano senza importanza, che sembrano non riguardarci, essere lontane, lontanissime e non ci piace pensare che in fondo potrebbe anche non essere proprio cosi’.

Tanti tanti anni fa, un bambino di due o tre anni in Texas ebbe la malaugurata idea di infilare questa chiave nella presa della corrente. Potete ammirare quello che ne resta.

La madre, senza nemmeno il tempo di ragionare, di capire cosa fosse giusto fare, si avvento’ su di lui, lo stacco’ dal muro e lo salvo’ miracolosamente. Nonostante le numerose ferite riportate il bambino guari’ e divento’ un ragazzo grande e forte che un giorno decise di andarsene a studiare in Spagna.

Laggiu’ incontro’ una ragazza italiana che non sapeva nulla della chiave, del Texas e di tutto il resto.

I due si innamorarono e andarono a vivere proprio li’, in Texas, dove piu’ tardi nacque anche il loro bambino, il piccolo Joe Cool.

Sono qui che cerco di lavorare al tavolo di Mr. Johnson con questa chiave che ha lasciato qui accanto, ma non e’ facile concentrarsi. Ci sono oggetti che hanno un significato talmente forte che e’ come se sprigionassero energia, come se ti volessero dire qualcosa. Se ti metti a guardare quella chiave, ad esempio, e cadi nel tranello di lasciarti andare a immaginare quante vite sarebbero completamente diverse o non ci sarebbero affatto oggi se quella volta le cose fossero andate diversamente, non ne esci piu’.

Il trucco e’ non cominciare a chiederti dove saresti ora e con chi e a far cosa, di sicuro senza sapere mai nulla di quella chiave. Pero’ il gioco delle possibilita’ e’ talmente affascinante.

Insomma. Quante chiavi ci sono nella vita di ognuno, ogni giorno? Quante cose fondamentali succedono senza che nessuno se ne accorga? Siamo soddisfatti delle nostre chiavi o ce n’e’ qualcuna che non ha girato per il verso giusto?  

giovedì 8 agosto 2013

differenze nell’educazione?

Forse qui tocchiamo un altro tasto dolente, ma parliamone pure. I bambini italiani mi sono sembrati piu’ teppistelli di quelli americani ed e’ un’impressione non solo mia, ma abbastanza comune anche fra altri italiani che conosco qui.

Le mie amiche mamme li’ mi hanno raccontato che ci sono bambini che gia’ a tre o quattro anni dicono le parolacce e parolacce vere da adulti che mi hanno fatto fare un salto dalla sedia perche’ saranno casi limite, ma qui non ho mai (mai) sentito una cosa del genere ne’ come mamma ne’ come insegnante da un bel po’ di anni in una scuola elementare con asilo annesso.

Anche il piccolo Joe ha avuto qualche brutta esperienza, niente di che’. Una volta, ad esempio, era su una di quelle giostrine in cui si mette il gettone e tre bambini piu’ grandi hanno cominciato a chiamarlo faccia di serpente e faccia di maiale senza nessun motivo, per divertimento. Lui non ci ha nemmeno fatto caso, ma a me aveva fatto un po’ specie questa cosa. Prima di tutto perche’ non mi aspettavo che i bambini italiani usassero ancora gli stessi insulti di quando ero piccola io e poi perche’…insomma non si fa. Quelli di cinque anni che se la prendono in gruppo con quello di due che nemmeno capisce cosa stia succedendo? Non si fa o non si faceva almeno, e’ proprio una cosa meschina. Poi, un’altra volta, c’e’ stato un bambino dolcissimo che al parco, ha chiesto per favore di salire su una sorta di altalena con lui e invece dopo si e’ capito che voleva solo schiaffeggiarlo a ripetizione. Sono una mamma terribile lo so, ma dopo averglielo tolto di dosso mi e’ venuto un po’ da ridere, era una scena obiettivamente buffa. Ad ogni modo, nessuno si e’ fatto male e la nonna del bambino era a dir poco mortificata, non la smetteva piu’ di scusarsi. Pero’ come si scusava?

Qui se succede una cosa del genere, ti aspetti che l’insegnante o il genitore o chi per lui faccia qualcosa. Si puo’ trattare di un discorso o di un castigo, il famoso timeout, ma ad azione corrisponde reazione. E poi eventualmente le varie scuse all’altro genitore.

Invece la nonna ignorava il bambino e con me usava un solo argomento che in Italia sentivo sempre come se fosse normale, ma che di normale forse non ha proprio niente.

- Sa, prima era cosi’ bravo, ma da quando va all’asilo….

Incolpare l’asilo o la scuola, mi sembra il colmo eppure e’ la scusa che ho sentito piu’ spesso in questo tipo di situazioni. Ma cosa insegnano a questi bambini? Le maestre non li controllano? Sicuramente si’, ma a sentire questi discorsi viene il dubbio.

Non solo non assisto abitualmente a comportamenti di questo tipo nella scuola in cui lavoro qui, ma per quanto riguarda la mia esperienza personale di genitore, posso testimoniare l’esatto opposto: il comportamento migliora all’asilo e spesso purtroppo tende a peggiorare nei periodi di vacanza.

Come al solito, vi racconto solo le mie impressioni e mi fa sempre molto piacere confrontarle con le vostre, ma a me pare che fondamentalemente la differenza sia una per quanto riguarda l’educazione dei bambini.

In Italia si tende a dare tantissima attenzione ai bisogni del bambino (hai mangiato? devi mangiare, non sudare, copriti che prendi freddo, ecc… ). Qui invece, ti puo’ capitare benissimo di vedere un bambino a maniche corte in pieno inverno perche’ l’attenzione non e’ poi tanto sui bisogni primari del bambino stesso, ma su chi c’e’ intorno al bambino e su come lui ci si rapporta. In sostanza, e prendetela un po’ cosi’ com’e’ questa cosa, secondo me si impara fin da piccoli a non disturbare. Non fare nulla che possa dare fastidio agli altri, non alzare la voce, chiedere permesso, chiedere con gentilezza e soprattutto ringraziare, ringraziare e ringraziare.

Qui le emozioni vengono abbastanza represse, da noi a volte buttate fuori con troppa facilita’. Mi pare che una sana via di mezzo gioverebbe a tutti.

martedì 6 agosto 2013

esportare usi e costumi si puo’. forse

E’ passata una settimana da quando sono atterrata in Texas e tutto e’ tornato piu’ o meno alla normalita’. Come al solito, i primi giorni sono stati duri, molto malinconici, ma ora pian piano va meglio. Con Mr. Johnson si e’ detto che pero’, sarebbe bello fare anche qui alcune delle cose che ci piaceva fare in Italia, solo che l’esperimento non sta andando esattamente come previsto.

Alcuni esempi.

Il rito dell’aperitivo. Non so come sia in altre citta’, ma i miei amici fanno quasi sempre “l’aperitivo” quando sono in compagnia e non significa che vadano da qualche parte, lo fanno anche cosi’ al volo ovunque siano. Mi e’ capitato perfino di aver giusto un pacchetto di patatine e una lattina di qualcosa in spiaggia o in giro per una citta’, ma e’ bella l’idea di fermarsi e “fare l’aperitivo”, che vuol dire soprattutto prendersi un momento per se’, per chiaccherare, per darsi un po’ di importanza in un certo senso. Ecco, il nostro qui e’ andato bene, ma e’ durato ben poco. Il Campari e bianco di Mr. Johnson mi ha steso. Dopo cinque minuti gia’ cantavo, immaginate dopo. 

Dovremmo andare di piu’ in bici. Semplice no? Non proprio in Texas in questa stagione. Usciamo di casa alle sette di sera, quando l’aria e’ appena appena respirabile perche’ prima fa davvero troppo caldo. Arriviamo al parco e osserviamo che si sta bene, abbastanza bene, eravamo pronti al peggio con questo clima e invece siamo stupiti.

Mr. Johnson armeggia sul suo cellulare ed esclama:

- Ah ecco perche’! Ci sono trentasei gradi!

Forse non lo sapete, ma quando la temperatura fuori e’ piu’ alta di quella corporea ogni filo d’aria ti da’ l’impressione di essere bollente. Da qui la piacevolissima sensazione che ti stiano sparando addosso con un asciugacapelli tutti i giorni per tre mesi. Quando, invece, e’ un po’ piu’ bassa di quella del corpo, basta poco poco, anche un minimo venticello e in qualche modo ti senti rinfrescato. Evviva i trentasei gradi alle sette di sera allora, ad averceli.

Smetterla con le cene formali e invitare gli amici la domenica pomeriggio a far niente per poi ordinare semplicemente una pizza se si ha fame. In questo caso e’ andato tutto molto bene e sicuramente lo rifaremo. Devo solo abituarmi al profumo del cappuccino insieme a quello della pizza. D’altra parte cosa posso fare? Dirgli no a casa mia il cappuccino prima della pizza non te lo puoi fare? Poi mi toccherebbe spiegare un bel po’ di altre cose difficili, meglio tenersi il cappuccino. 

Ora capisco perche’ tutte le tradizioni degli italoamericani sono cosi’ fastidiosamente appena appena diverse dalle nostre.

lunedì 5 agosto 2013

la societa’ italiana

La prima cosa che ho notato tornando in Italia e’ quanto sia diversa in generale la societa’ rispetto a qui, e’ una cosa che balza agli occhi ovviamente, ma per andare un po’ piu’ a fondo bisogna indagare, chiaccherare con gli sconosciuti, ascoltare. Qualcuno mi ha preso in giro perche’ ho dato corda un po’ a tutti, anche a una vecchina che si e’ seduta accanto a me a mangiare il gelato. E’ che mi interessava proprio parlarci, era cosi’ bella lei.

Quasi tutte le mattine prendevo la bici e portavo il piccolo Joe o in biblioteca o al parco e li’ ho conosciuto un sacco di anziani. Questa e’ una cosa che mi ha colpito tantissimo e che quando vivevo in Italia non vedevo perche’ non avevo figli, il ruolo fondamentale dei nonni. In Italia i bambini stanno con i nonni, e’ una cosa normale, qui no. Non vedo mai nonni in giro e se vedo qualche nonna e’ sempre con la figlia, voglio dire non sono il tipo di nonni che prendono piena responsabilita’, sono i nonni del ‘andiamo che ti compro un regalo’. Infatti, il piccolo Joe si ritrova con una nonna cosi’, che gli vuole un bene immenso, certo, ma che non ha idea di cosa fare con lui e un’altra che fa sentire la sua mamma come una specie di sorella maggiore da quanto e’ chioccia, chissa’ che idea si sta facendo lui. Sono due impostazioni completamente diverse e forse alla lunga avrei dei problemi anche con quella italiana, ma sono estremamente felice che lui abbia avuto la possibilita’ quest’estate di immergersi in questa sorta di amore totale, quello che da bambino dai per scontato che sia li’, quello che nessuno guarda l’orologio, anzi casomai si dispiace se vai via un attimo. Quella roba li’, qua non esiste o almeno in tutti questi anni non l’ho mai vista, sono tutti troppo impegnati con il loro odiosissimo ‘schedule’, anche i nonni.

I nonni italiani mi raccontavano piu’ o meno tutti la stessa storia. Un solo nipote che i figli hanno avuto di solito tardi, dai trentacinque in su, e loro che sostituiscono l’asilo, piu’ di uno che si e’ perfino trasferito da un’altra citta’ in eta’ molto avanzata solo per dare una mano. La famiglia e’ proprio un concetto diverso in Italia, forse anche un po’ soffocante, ma sempre presente, qui invece ognuno fa per se’ e non e’ solo perche’ ci si muove molto per lavoro. Ho degli amici, ad esempio, che a diciott’anni sono stati mandati via da casa perche’ secondo i genitori erano stati accuditi a sufficienza e oramai erano diventati grandi. Uno e’ finito per strada e la madre e’ dovuta volare dall’altra parte del paese per riprenderselo. Non e’ comunissimo, ma succede, non ho visto nessuno stupirsi piu’ di tanto. Se penso a com’ero io a diciott’anni, altro che adulta, chissa’ cosa mi sarebbe successo. Ho apprezzato il fatto che in Italia ci sia un vero sistema di supporto intorno alle persone, che l’interferenza nella vita dei cari sia costante in tempi buoni e meno buoni.

All’inizio ho avuto l’impressione che il paese fosse in condizioni molto migliori rispetto a quello che avevo percepito dai mezzi di comunicazione (ero pronta veramente al peggio…), poi in effetti ho realizzato che non solo mi trovavo in una grande citta’, quella in cui ancora c’e’ chi va a cercar lavoro, ma anche che tutte le persone della mia eta’ che se la cavavano meglio, avevano avuto una casa in regalo. Non c’e’ quasi nessuno che ce la faccia completamente con le sue forze e questo e’ tragico. Mia cugina che era venuta a Milano dalla Puglia a cercare un futuro migliore, ha gettato la spugna. Lascia un bel contratto a tempo indeterminato da ottocento euro scarsi e se ne torna in Salento, dove si sta bene e la vita ha ancora un costo accettabile.

A dire la verita’, ho pensato spesso che pero’ la colpa di tutto questo e’ anche molto delle persone, dell’atteggiamento dei singoli cittadini. La politica certo e’ quello che e’, ma sembra che in Italia sia un po’ saltato il patto sociale minimo fra le persone, la buona educazione, il sorriso, il rispetto degli altri, per dire. Mi e’ capitato di suggerire gentilmente a un tale che scorrazzava con un enorme dogo argentino libero sulla pista ciclabile di tenerlo al guinzaglio e sono stata praticamente minacciata. “Io  a quelli come te non li farei parlare”, detto a una mamma con un bambino, ma che gente c’e’ in giro? E non e’ stato l’unico episodio. Vai a Venezia, esci dalla stazione e come sempre hai un momento di pura esaltazione, che luogo magico, che bellezza, le solite cose. Chiedi un’informazione a un passante e ti risponde malissimo. Roba che pensi, si’ ci sono tanti turisti e possono anche essere molesti talvolta, ma voi non ve la meritate mica una citta’ cosi’. In qualche modo il cittadino maleducato o il gondoliere che sta al cellulare mentre lvora ci rappresentano nel mondo tanto quanto i nostri politici. Guarda caso, tutti gli stranieri che vanno in Italia partono raccontandoti la bellezza infinita di quello che hanno visto e finiscono immancabilmente con un episodio di questo tipo o peggiore.

Quando in Italia cammini in un quartiere che non e’ il tuo, la gente ti guarda con diffidenza. Poi magari diventa tua amica in cinque minuti, ma all’inizio ti guarda proprio di traverso. Quando cammini in un quartiere nuovo qui, invece, tutti ti sorridono e ti salutano. Poi magari vivrai in quel quartiere dieci anni e arriverai a scoprire al massimo il loro nome, ma partono da un pregiudizio positivo nei tuoi confronti. Mi viene da pensare che in Italia tante volte c’e’ il meglio, ma ci si aspetta sempre il peggio. E si parla sempre del peggio. I problemi e le lamentele di ognuno sono i problemi e le lamentele di tutti, costantemente, e non si vive bene cosi’, si respira davvero troppa negativita’. Non ho mai sentito as esempio un messicano lamentarsi cosi’, eppure di problemi gravi da quelle parti ce ne sono molti di piu’.

C’e’ stato un momento che mi ha in qualche modo segnato in questo periodo in Italia. Stavo raccontando a un vecchio amico quanto fossi felice di essere tornata e quanto mi fosse mancato tutto e lui dopo avermi fatto andare avanti un po’ mi ha fermato e mi ha detto con una serieta’ che non gli avevo mai visto:

- A me spiace che tu sia lontano e che non ci possiamo vedere spesso e che ti manchi casa, ma ti dico la verita’, io sono felice che tu sia la’. Qua manca il lavoro e non solo quello, manca la speranza e una societa’ senza la speranza non va da nessuna parte.

Tante persone si sentono come lui, l’ho visto bene. Tanti quelli che non se la sentono di fare un figlio perche’ non saprebbero come mantenerlo, una violenza orribile che la societa’ sta facendo a quelli della mia generazione, eppure ho incontrato anche tanta speranza e la fantasia per inventarselo il futuro e il lavoro. Ho parlato con tante persone della mia eta’ che si stanno davvero dando da fare e se ti dicono che hanno una grande idea significa che si stanno davvero adoperando per realizzarla, che magari stanno spendendo anche i pochi soldi che hanno messo da parte per almeno provare a costruirsi un futuro migliore. Qui invece si sta bene in generale, non mi pare che la gente comune stia sveglia la notte a pensare a nuovi prodotti o servizi da introdurre sul mercato. Probabilmente e’ anche cosi’ che nasce il famoso ‘made in Italy’.

Insomma, le impressioni sono piu’ o meno queste e anche tante altre. E’ stato un viaggio importante sotto tutti i punti di vista.      

giovedì 1 agosto 2013

la vita precedente del piccolo joe

Mi raccontava una mia amica in Italia che il figlio e’ ossessionato da qualsiasi oggetto femminile, che sia una collana, un paio di scarpe col tacco, i vestiti di sua sorella, le bambole o qualunque altra cosa ‘da femmina’.

E’ un aneddoto, questo, che racconta spesso anche un’altra mia amica, americana, con il figlio piu’ o meno della stessa eta’ che fa piu’ o meno le stesse cose. Lei dice sempre fra il serio e il faceto che forse e’ gay. Io non me ne intendo, ma mi pare un’ipotesi plausibile in fondo, o insomma chi vivra’ vedra’.

Ecco, la prima amica invece fa un’ipotesi molto piu’ esotica secondo me. Lei e’ convinta che il figlio si comporti cosi’ perche’ era una donna, si’ proprio una donna, in una vita precedente.

Dice che ha letto un libro a riguardo e che ha imparato che per superare determinate difficolta’ della vita e’ necessario superare il trauma della nascita e eventualmente delle vite precedenti. In pratica lei fa domande. Ti ricordi quando eri nella pancia della mamma? Cosa facevi prima di conoscere la mamma e il papa’? Cose cosi’.

Suo figlio ha la stessa eta’ del piccolo Joe e non ho capito esattamente che cosa le dica, ma mi ha suggerito di muovermi subito anch’io con le indagini perche’ i ricordi stanno per essere cancellati. Per un attimo mi e’ tornato in mente quel bellissimo film spagnolo, “Il labitinto del Fauno”, che parlava proprio di questo, oppure articoli come questo sulle cose inquietanti che dicono i bambini e quando la mattina dopo ho rivisto il piccolo Joe, non ho resistito. Sinceramente mi pare che l’approccio della mia amica sia un po’ troppo determinato diciamo, non vorrei che per superare questo fantomatico trauma della reincarnazione si creassero altri traumi, cosi’ ho solo iniziato il discorso, per gioco, per curiosita’, per vedere se mi diceva davvero qualcosa di interessante.

- Joe, lo sai che prima di nascere i bambini vivono nella pancia della mamma e che anche tu quando eri piccolo piccolo eri nella pancia della mamma?

A quel punto ho scoperto una cosa fondamentale della vita precedente del piccolo Joe, doveva essere straniero. E’ partito con un monologo incomprensibile e se n’e’ andato.