giovedì 30 giugno 2011

quando meno te lo aspetti

Se c’e’ una cosa che ho capito dell’autoboicottaggio e’ che arriva sempre quando meno te lo aspetti e cioe’ quando stai cercando di gestire tutta quella serie di cose che ti racconti di voler fare tantissimo e che magari invece sotto sotto poi chissa’. E infatti puntualmnente ti frega, l’autoboicottaggio.

Ricapitolando. Ad agosto ricomincia la scuola e ho trovato la baby sitter gia’ qualche mese fa. E’ stato un po’ amore a prima vista, il mio istinto mi ha detto subito vai, e’ quella giusta.

Poi si trattava solo di chiamarla per organizzare i dettagli e li’ c’e’ stato il primo segno di autoboicottaggio, ho cominciato a rimandare questa conversazione all’infinito. Dovrei riconoscere i segni a questo punto e invece ci ricasco sempre. Allora, oggi finalmente prendo il coraggio a quattro mani e la chiamo. A pensarci adesso, era ovvio che mi avrebbe chiesto come prima cosa del pagamento a questo punto, ma io non ci pensavo proprio, mi sembrava un dettaglio li’, sullo sfondo, assolutamente ininfluente rispetto a domande tipo cosa sai dei metodi di rianimazione.

Cosi’ per prima cosa mi fa la domanda dei soldi a bruciapelo. Le rispondo come avevamo deciso con Mr. Johnson e avverto dei fuochi d’artificio in sottofondo. Un momento, non e’ ancora il quattro luglio, cosa c’e’ da festeggiare tanto?

Finiamo di parlare, sembra tutto completamente perfetto - we’re completely on the same page! – ed ecco che realizzo l’inimmaginabile, ho sbagliato la cifra e di tanto anche. Mi prenderei a sberle. Le ho detto un prezzo molto piu’ alto completamente fuori mercato e quando lei ha manifestato il suo entusiasmo incontenibile le ho pure risposto guarda, noi vogliamo solo che tu sia contenta di farlo. Deficiente.

In tutto questo mi e’ toccato richiamarla e spiegarle il malinteso. Avrei voluto sprofondare. Se avessi potuto permettermelo l’avrei pagata quella cifra e basta, solo per evitare di fare quella telefonata. E’ come dire a uno che ha vinto la lotteria no aspetta, non l’hai vinta davvero. Almeno lei, dimostrando grande gentilezza, non ha manifestato nessun risentimento visibile, ma ora che succedera’? E se l’ho persa? Considerando che fra due settimane ce ne andiamo in vacanza per un mese e’ davvero tardi per trovare qualcun altro.

L’autoboicottaggio come sempre porta con se’ delle domande.

Non e’ che per caso sto cercando di non avere una baby sitter cosi’ non posso tornare al lavoro? Ma che senso ha? Uso ogni secondo libero per pianificare le attivita’ da fare al rientro, ho milioni di idee. Perche’ ho combinato questo pasticcio? Accidenti che disastro.

mercoledì 29 giugno 2011

un motivo per non trasferirsi negli stati uniti

La concezione delle vacanze degli americani, ammesso che ne abbiano una.

Si lavora veramente troppo in questo paese. Tante volte ci si e’ ritrovati fra amici (per qualche strana casualita’, la maggior parte dei miei amici sono stranieri) a riflettere sul fatto che spesso in fondo qui hai tutto e non te lo puoi godere. Qui non chiude mai niente, nemmeno a Natale. E allora partono le lamentele sulla mentalita’, a cosa serve avere tutto se non riesci a passare tempo con la tua famiglia e i tuoi amici? Molti per questo motivo, se ne tornano in Europa dopo qualche anno.

Appena vieni assunto in un’azienda americana se sei fortunato ottieni qualcosa come cinque-otto giorni di vacanza (e magari anche malattia) all’anno. In certi casi ti becchi un’influenza e hai finito. La cosa positiva (se proprio vogliamo fare gli ottimisti) e’ che dopo tre quattro-anni nella stessa azienda, i giorni passano magari da sette-otto a dieci e poi quattrordici e poi arrivi anche a un mese e piu’.

Ora che finalmente anche la famiglia Johnson e’ arrivata ad aver accumulato un po’ di giorni per andarsene in Italia, scopro che c’e’ il trucco pero’. Se ti prendi le ferie tutte insieme fai una bruttissima impressione, rischi perfino di rovinarti la carriera, e per questo in genere nessuno prende piu’ di una settimana alla volta.

Bisogna fermare questa follia, lo dico sempre. Cominciamo a dare il buon esempio, possibilmente senza farci licenziare.

lunedì 27 giugno 2011

ti ringrazio per avermi stupito

Dopo la storia del cactus, era chiaro, per quanto paradossale possa suonare, che mi aspettassi una sorta di ‘sorpresa’ per il compleanno. Ovviamente e’ venuta fuori malissimo questa ‘sorpresa’. Un po’ perche’ era fatta controvoglia e un po’ perche’ Mr. Johnson, e lo sospetto fortemente, deve essere una di quelle persone che credono che per farti una vera sorpresa non devono farsi trovare per giorni e devono trattarti perfino un po’ male, facendoti arrivare al momento clou stremato e depresso e oramai completamente indifferente nei confronti di qualunque cosa, compresa la cosiddetta ‘sorpresa’. Cosi’ dopo il misero fallimento della presunta ‘sorpresa’ molti giorni prima del compleanno, mi ha detto chiaramente che cosa mi avrebbe regalato e anche che mi avrebbe preparato una cena speciale quella sera. La cosa stranissima e’ che sapevo tutto, ma sono rimasta a bocca aperta lo stesso. Innanzitutto, la cena era davvero speciale, non speciale del tipo mi fermo al take away all’angolo prima di arrivare a casa (che comunque mi sarebbe andato benissimo). E’ riuscito non so come a preparare tutto in pochissimo tempo dopo essere tornato a casa dal lavoro perfino un po’ piu’ tardi del solito. Sinceramente non sapevo nemmeno che sapesse cucinare cosi’ bene. Bistecche di maiale con salsa di mele caramellate, risotto cajun con i fagioli rossi e per dolce pineapple upside downDSC00193 cake, che ho provato per la prima volta. Poi e’ arrivato il momento del regalo, che gia’ sapevo essere, e ne ero contentissima, una scatola portagioie di legno disegnata e realizzata da lui. Un oggetto che e’ meraviglioso perche’ dice chi e’ lui in tanti modi diversi. Le linee pulite, la sua apparente semplicita’, la sua precisione, la sua modestia.

Non so proprio dove l’ho trovato questo Mr. Johnson. 

sabato 25 giugno 2011

l’uguaglianza di tutti i colori dell’arcobaleno

Anche lo Stato di New York, dopo Iowa, New Hampshire, Massachusettes, Connecticut e Vermont, ha legalizzato i matrimoni omosessuali. Sarebbe bello se anche il Texas prima o poi seguisse l’esempio.

empire-state-building-rainbow

mercoledì 22 giugno 2011

dica 33

Vi e’ mai capitato di imbattervi in qualcuno che vi parla in una situazione in cui oggettivamente non potete andare via e che continua a parlarvi nonostante voi non gli diate il minimo accenno di interesse? Ecco, e’ quello che mi e’ successo l’altro giorno. Ero nello spogliatoio della palestra che davo un biberon a Baby J prima di lasciarlo alla baby sitter. Ero li’ tranquilla che mi facevo gli affari miei, quando appare lei, la quarantenne sudaticcia super tonica. Mi osserva un attimo, stupidamente le sorrido e lei pensa che questo sorriso assolutamente di circostanza, la autorizzi a cominciare una sorta di strampalato monologo interiore senza via d’uscita.

- Ah I bambini! Non mi manca per niente quella fase!

Io le lancio uno sguardo forse un po’ interrogativo, ma non dico nulla. Non so nemmeno che dire in realta’ -e’ la prima volta che qualcuno non mi dice quant’e’ bello quando sono cosi’ piccoli, ecc. ecc.- e non e’ che me ne possa andare.

- E’ che le mie figlie oramai hanno quattro e otto anni e finalmente ho ricominciato a vivere, non tornerei mai indietro!

- Ah si? No perche’ io invece sono felicissima, mi godo ogni singolo minuto, pensa un po’.

Si, lo ammetto, mi divertiva metterla in imbarazzo a quel punto e farla passare un po’ per la madre snaturata che ovviamente non sara’. Ho imparato nella mia breve carriera di genitore che questa e’ una cosa che le madri odiano e che fanno di continuo alle altre madri, volevo provare anch’io. E poi chissa’ dove sarebbe arrivata con quel discorso. Secondo i miei calcoli a quel punto sarebbe partita la giustificazione, per forza, e infatti…

- No, e’ che le mie amiche hanno avuto tutte i figli giovanissime, io invece, la prima a ventinove!

- Davvero?

- E quando e’ arrivata la seconda, ne avevo trentatre’ (33)! E non avevo proprio piu’ la forza di correrle dietro. A trentatre’ anni, sei troppo vecchia non ce la fai piu’, i bambini sono impegnativi a una certa eta’.

A quel punto, avrei potuto dirle che domani compio trentatre’ (33) anni e che sono in gran forma (tze’) e non ho nessun problema a correre dietro a un ragazzino (ovviamente il mio non cammina ancora), ma ho preferito gongolarmi un po’ pensando che, se mi ha raccontato queste cose, deve avermi creduto molto piu’ giovane di quello che sono.

martedì 21 giugno 2011

i fatti di joe e le solite differenze uomo donna

- Che succede?

- C’e’ Joe che litiga con la fidanzata…

- Davvero?

Joe e’ il nostro vicino cool. Un uomo che sprigiona enorme tranquillita’ e simpatia. E’ divorziato, ha due figlie grandi, organizza feste e barbeque quasi tutti i fine settimana ed e’ pieno di amici. E’ difficile anche immaginarlo litigare.

- Ma che strano? Cosa sara’ successo?

- Lei continua a ripetere che lui le ha mentito tre volte e che non se lo sarebbe mai aspettato, che pensava che lui fosse l’uomo della sua vita e invece le ha mentito tre volte.

- Le ha mentito tre volte? Ma non si fa cosi’! E lui?

- Lui niente, cerca di calmarla, ma e’ praticamente impossibile. Poverino. Menomale che tu non sei cosi.

No Mr. Johnson, io non sono cosi’, menomale.

lunedì 20 giugno 2011

una pausa di riflessione

L’altro giorno, la direttrice mi chiama per dirmi che ci sono i fondi e che finalmente potro’ andare (e sono anche caldamente invitata a farlo) ad assistere a spese della scuola a qualche laboratorio o conferenza per aggiornarmi. Benissimo, proprio quello che volevo.
Allora vado a questo fichissimo workshop, costruisco delle sculture bellissime che si appendono al soffitto. Conosco persone interessanti, mi sento soddisfatta e appagata da quello che ho imparato. Mi diverto cosi’ tanto che si fa subito sera. E’ ora di tornare a casa da Baby J e solo in quel momento, torno in me completamente e realizzo quanta voglia abbia di vederlo.
Ma dove devo andare a prenderlo? Dove l’ho lasciato? Non mi ricordo dove l’ho lasciato tutto il giorno. Immagini confuse si affollano nella mia mente. La baby sitter. La nonna. L’amica. Dov’e’ il mio bambino? Panico.
E mi sveglio in preda all’angoscia.
Questi due mesi di lavoro dopo la maternita’ mi hanno fatto capire due cose:
- che a questo punto qualunque cosa puo’ farmi venire gli incubi e I sensi di colpa
- che non e’ cambiato niente, continuo ad amare il mio lavoro come prima, pero’ mettendo a posto le foto degli ultimi progetti realizzati, qualche giorno fa, mi sono improvvisamente ricordata oltre che del divertimento anche della tristezza di quelle mattine a scuola e di quei distacchi faticosi e innaturali
- che e’ un part-time, ma prima non mi rendevo conto di quante ore davvero lavoro,sia a casa che fuori. Il piu’ delle volte non mi sembrava nemmeno di lavorare, ora si invece, ora quello e’ tempo che rubo a qualcosa di ancora piu’ importante e poi devo lavorare nella confusione, con continue interruzioni e faccio molta piu’ fatica
Erano tre, pazienza. Per fortuna c’e’ ancora tutta l’estate di mezzo prima di dover pensare di nuovo a tutto questo.

venerdì 17 giugno 2011

il cactus 2–la vendetta

- Allora cosa mi regali per la festa del papa’?

- Niente. Sono italiana e in Italia la festa del papa’ e’ a marzo.

- Ma a marzo non mi hai regalato niente

- E’ vero! Ok, cosa vorresti?

- Un cactus

mercoledì 15 giugno 2011

santoro in america

Mi sono un po’ commossa vedendo il finale di Annozero, lo ammetto. Forse e’ l’emigrante in me che e’ diventata un po’ troppo sentimentale o forse mi sarei rattristata comunque. In fondo e’ una questione di principio. Perche’ un programma di successo deve essere cancellato cosi’? Lo guardavo sempre, almeno nell’ultimo paio d’anni e ho imparato tante cose guardandolo. Non posso nemmeno dire che pago il canone e ho il diritto di vederlo, ma lo vorrei vedere ancora. Perche’ no?

Tra l’altro si chiaccherava di questo con degli amici italiani proprio l’altra sera. Perche’ determinati programmi non sono visibili sul sito della Rai dall’estero? Perche’ non paghiamo il canone? Non sarebbe un ottimo servizio pubblico dare la possibilita’ anche ai residenti all’estero di seguire tutto quello che la Rai programma? La pubblicita’ viene passata comunque anche qui, a volte anche in inglese ho visto. Ma cosa dico? Se c’e’ cosi’ tanta gente che si infuria perche’ abbiamo diritto di voto, figuriamoci farci usufruire di un servizio che non paghiamo…

Ad ogni modo, seguivo un’intervista qualche giorno fa a Keith Olbermann che sta per chiudere il suo famoso programma su Msnbc per aprirne un altro su Current. A un certo punto l’intervistatrice gli faceva in tutta scioltezza e tranquillita’ una domanda che cominciava con Tu non sei un reporter, sei un giornalista di opinione. Perche’ e’ palese, chiunque abbia seguito quel programma per un minuto ha capito perfettamente da che parte sta il conduttore. E lui niente rispondeva tranquillo e spiegava perche’ a un certo punto si e’ sentito addirittura in dovere di fare delle donazioni a un paio di uomini politici del partito democratico. Sinceramente Keith Olbermann non e’ il mio giornalista preferito e quel suo discorso non mi ha nemmeno convinto tanto, pero’ mi ha fatto impressione il fatto che per lui non fosse assolutamente un’offesa essere considerato un giornalista d’opinione. Insomma, nessuno ha detto parole come ‘fazioso’, si sono usati termini neutri per descrivere una situazione perfettamente normale e democratica. Cosi’ ho pensato a Santoro nella televisione americana. Avrebbe il suo programma perche’ non esiste che non facciano andare in onda una macchina di guadagno come Annozero e nessuno lo offenderebbe semplicemente per quello che fa e per chi e’.

lunedì 13 giugno 2011

il mio diritto di voto

Un paio di settimane fa ho ricevuto le mie quattro schede colorate per votare il referendum. Con grande soddisfazione, mi sono informata, ho votato e le ho rimandate al Consolato di Houston. Credo di avere in questo modo esercitato, come cittadina italiana, un mio sacrosanto diritto e dovere (si perche’ per me votare e’ un dovere sempre, anche al referendum). Poi scopro che magicamente ho votato per qualcos’altro, che uno dei quesiti e’ stato cambiato dopo il mio voto e che non e’ nemmeno chiaro se noi italiani sparsi per il mondo siamo o no parte del famigerato quorum. (Che poi sto quorum…perche’ i cittadini che non si interessano di politica e decidono di non votare devono avere il potere di invalidare il diritto di tutti gli altri che invece ci tengono a esprimersi? Mi dispiace, ma non lo capisco). Poi stamattina, mi sveglio, corro a vedere come sta andando l’affluenza (mentre scrivo controllo che succede che oramai e’ questione di minuti) e leggo sul Corriere questa lettera di un’altra italiana che si sente piu’ o meno come me, derubata cioe’ di un diritto e fondamentalemente presa in giro. Ma quello che mi disturba di piu’ sinceramente e’ leggere diversi commenti alla lettera in questione che dimostrano un’acredine immotivata e a tratti feroce verso chi vive all’estero. Io questa cosa devo dire, l’ho percepita diverse volte da quando vivo qui, ma mai in maniera cosi’ netta. E non la capisco, proprio non la capisco. Credo che gli italiani all’estero siano una ricchezza per l’Italia in tanti modi differenti e non degli usurpatori, gente che non paga le tasse e si permette pure di parlare. Se tutti gli italiani che non pagano le tasse (e non le pagano da nessuna parte loro) non dovessero votare, altro che quorum.  

sabato 11 giugno 2011

giorgio celli

Proprio ieri mi perdevo cercando di tornare a come ero da piccola e quali erano i miei sogni allora. Me lo ricordo benissimo, volevo fare la veterinaria piu’ di tutto per anni e anni. Poi finalmente i miei mi regalarono l’agognato cane che avevo sognato e voluto piu’ di ogni altra cosa, Charlie, e la prima volta che si ammalo’, decisi che no, decisamente non volevo fare la veterinaria. Un bel problema a quel punto, quale altro lavoro sarebbe andato bene per me? Lo capii leggendo Quattrozampe. Era una rivista che mi pare costasse tipo cinquemila lire alla fine degli anni Ottanta. Per comprarla davo fondo a quasi tutte le mie risorse economiche. La aspettavo impaziente ogni mese. A casa dei miei credo ci siano ancora da qualche parte pile di Quattrozampe, non riuscivo a buttarli. Ogni tanto andavo dal giornalaio a vedere se era arrivato il numero nuovo e lui scorbutico, mi faceva capire che o compravo o andavo (roba che a pensarci ora, alla luce dell’esperienza americana fa un certo effetto, magari ne parliamo in un altro post…). Dopo aver letto i Quattrozampe, copiavo le foto degli animali, una cosa che mi piaceva da morire e che poi in effetti aveva a che vedere con quello che poi avrei fatto nella vita, ma fino a quel punto e per un po’ di anni a venire, no: volevo fare l’etologa. Volevo essere come Giorgio Celli, che scriveva le sue osservazioni ogni mese su Quattrozampe. Ogni mese mi ripromettevo di scrivergli, ma poi mi vergognavo e alla fine non l’ho mai fatto. Ho visto che oggi se n’e’ andato e ho sentito forte il bisogno di raccontarla a qualcuno questa cosa. Ci sono persone che hanno in qualche modo un’influenza profonda su di noi, eppure non glielo diciamo mai. Che strano come a poco a poco se ne vanno i pezzi dell’infanzia per poi tornare in parte attraverso i figli.  

mercoledì 8 giugno 2011

32 cose che sei mesi fa non sapevo

  1. Cosa significa davvero la parola responsabilita’
  2. Quali sono gli effetti dell’assenza di sonno sulla psiche e sul corpo umano (molto interessante)
  3. Che cosa vuol dire multitasking (pensavo di saperlo, ma non era vero)
  4. Quanto conta nella vita avere delle buone amiche
  5. Quanto conta la mamma
  6. Che esistono diversi livelli di preoccupazione che sfiorano la paranoia e a questo punto ci posso arrivare senza troppo sforzo
  7. Che esistono bavaglie con le tasche (a cosa esattamente serva la tasca, non l’ho ancora chiarissimo pero’)
  8. Che gli incubi fanno molta piu’ paura quando hai un bambino
  9. Che esistono pannolini per fare il bagno in piscina (quindi non avevo ragione di allarmarmi ogni volta che vedevo un lattante vicino a me prima, cioe’ si, ma solo un po’)
  10. Che ogni piu’ vecchia paura bussa alla porta quando hai un bambino (e fa piu’ paura)
  11. Che esiste un aggeggio atto al riscaldamento di salviettine umidificate
  12. Che sarebbe esistita una persona che se sta male, sto peggio che se stessi male io (e non in senso figurato)
  13. Quanto conta avere accanto l’uomo giusto in certe situazioni
  14. Che un bel pianto davanti a una ciotola di banana grattuggiata, un senso ce l’ha, eccome
  15. Che ogni giorno quando giri con un bambino in Texas finisci per imbatterti in una qualche donna, magari un po’ avanti negli anni, che con sguardo malinconico e dolce ti dice enjoy now ‘cause it goes so fast
  16. Che la mia vita non e’ piu’ solo mia
  17. Che il mio corpo non e’ piu’ solo mio
  18. Che si possono spendere tante parole su una cacca
  19. Che posso anche buttare la sveglia, tanto non mi serve piu’
  20. Che la mia pazienza non ha tutti i limiti che pensavo
  21. Che sono forte
  22. Che i sacrifici che immaginavo avrei fatto, li faccio, ma stranamente non li percepisco quasi mai come tali
  23. Che c’e’ una persona al mondo, una sola, per cui davvero sono tutto
  24. Che mi sarei arrabbiata molto meno
  25. Che sono davvero poche le cose che contano nella vita
  26. Che avrei sentito un po’ di piu’ sulla mia pelle le sofferenze degli altri
  27. Che esiste un’unica persona al mondo che se mi guarda e mi sorride, mi fa sorridere. Sempre.
  28. Che sarebbe diventato un po’ piu’ facile provare a guardare le cose dal punto di vista degli altri
  29. Che si sarebbero tenute quotidiane e piacevoli conversazioni su cacca, pipi’, puzza, vomito, rutti, ecc. e preferibilmente a cena
  30. Che mi avrebbe appagato di piu’ ricevere un regalo per lui che uno per me
  31. Che una serata al cinema o un’ora in palestra sarebbero stati un piacere da gustare fino in fondo
  32. Che esistesse da qualche parte una felicita’ cosi’ piena e profonda.

Oggi Slipino compie sei mesi.

Se mentre dorme sorride, immagino sia felice. 

lunedì 6 giugno 2011

il weinergate

Ogni tanto in questo paese (e non solo) capitano cose che paiono davvero uscite dalla penna di un qualche sceneggiatore burlone e la storia di Anthony Weiner, che ha tenuto banco qui in questi giorni, e’ senza dubbio una di queste.

I fatti. Dall’account twitter del congressman Anthony Weiner e’ stato inviato a una ventunenne di Seattle il link alla foto di un paio di boxer… come si puo’ dire? chiaramente ben forniti. Ecco, lui dice di non averla mandata quella foto ed e’ molto probabile che in effetti un qualche hacker si sia impossessato del suo account. Qual e’ la cosa ridicola allora? Che quando e’ stato chiesto a Weiner, se quella foto rappresentasse…come dire? il suo ‘weiner’ (il cognome si presta giusto a un paio di doppi sensi…) il malcapitato ha cominciato con rara imbranataggine ad arrampicarsi sui vetri.

In sostanza Weiner ha detto di non poter affermare con certezza che la foto in questione ritraesse i suoi boxer. Che uno si chiede, come diamine fai a non riconoscere i tuoi boxer e soprattutto a non sapere se ti sei fatto oppure no una foto del genere? Ma il genio si e’ spinto perfino oltre affermando che ci sarebbe stato bisogno di condurre un’investigazione per capire se quelli erano i suoi boxer oppure no e che magari avrebbe potuto essere una foto sua poi ritoccata con photoshop e inviata alla tizia di Seattle che lui sostiene di non conoscere. In sostanza, l’irreprensibile uomo politico ha lasciato intendere senza dirlo chiaramente di essere dedito al simpatico passatempo della fotografia dei propri genitali.

E tutto questo perche’? Masochismo? Macche’!

Il fatto e’ che se lui dichiarasse che quella non e’ la sua foto e poi qualcuno dimostrasse il contrario, verrebbe accusato di spergiuro e la sua carriera politica finirebbe. In questo modo invece, ok e’ diventato lo zimbello di un intero paese, ma e’ riuscito a conservare una sorta di correttezza formale che gli ha consentito di non mentire (e nemmeno di dire tutta la verita’ pero’).

Ma ve la immaginate una diatriba del genere in Italia? Noi abituai a storiacce di travestiti, prostitute minorenni, festini a luci rosse, ecc. ecc. lo perdoneremmo immediatamente secondo me. A volte mi fanno un po’ tenerezza questi americani che vanno avanti per giorni e giorni a scandalizzarsi per cosi’ poco. O forse da un certo punto di vista non e’ poi cosi’ poco.

domenica 5 giugno 2011

una leggerezza

Qualcuno avra’ notato che e’ sparito il post sulla pecorella nera. Ecco, mi sono accorta di aver commesso una leggerezza pubblicandolo e l’ho tolto. Anche a me e’ capitato piu’ di una volta di usare frasi fatte o espressioni fondamentalmente razziste in assoluta buona fede e ve l’ho raccontato in queste pagine, (qui per esempio se volete farvi quattro risate) ma un conto e’ scrivere di se stessi, raccontarsi a qualcuno, probabilmente la maggior parte di voi, che bene o male ha imparato a conoscerti negli anni, e un conto e’ leggere di se stessi, vedere che viene preso un piccolo episodio e gli viene data l’importanza che francamente non ha nemmeno, facendoti passare per quello che non sei.

Chiedo perdono. Non lo faccio piu’.

mercoledì 1 giugno 2011

la prima parola di slipino

E cosi’ nel giorno della vittoria di Pisapia, Slipino ha deciso di cominciare a chiaccherare. Gia’ una volta, il giorno in cui ha compiuto cinque mesi, avevamo avuto la sensazione che avesse detto ‘papa’’, pero’ giusto una sensazione. L’altro giorno invece e’ stato chiarissimo: ha detto la sua parolina e la voleva proprio dire, tanto e’ vero che poi l’ha anche ripetuta, o almeno ci ha provato.

Qual e’ questa parola?

Papa’?

Mamma?

Nonna?

Nonno?

Bubu?

Cacca.

Ebbene si, la prima parola di Slipino e’ cacca. Apro il pannolino e dico cacca! e lui cacca! e ride. E io piu’ di lui ovviamente. C’e’ qualcuno che mi ha suggerito di inventarmi un’altra storia da raccontargli da grande, ma io questa cosa qui la trovo tenerissima.

C’e’ solo una cosa che mi ha dato un po’ le vertigini.

Ho passato mesi e mesi a ripetere come un scema mamma, papa’, Bubu, … e lui cosa fa? Dice cacca lui, cosi’ di testa sua. Mi ha dimostrato che fa gia’ un po’ come gli pare, cioe’ io posso sforzarmi, spiegargli, ragionarci, ma alla fine lui fa come gli pare. E’ una cosa ovvia, ma speri sempre che per tuo figlio non sia cosi’, che un modo per fargli prendere la strada che a te, come genitore, sembra migliore ci sia. E invece non c’e’. Cacca allora, mi piace, mi sa che porta anche bene.