domenica 27 ottobre 2019

i sogni son desideri

Una cosa a cui la scuola Flanders non mi ha minimamente preparato è la mancanza di fondi della scuola pubblica americana. Quando ho cominciato questo nuovo lavoro, non avrei mai immaginato che avrei fatto fatica a ricevere il materiale minimo che mi serve per insegnare. Stavo usando tutto ciò che ha lasciato il mio predecessore nella convinzione che appena avessi avuto bisogno di qualcosa me lo avrebbero comprato. Poi un giorno sono rimasta senza cose basilari come la gomma, le matite o la colla, le ho chieste e qualcuno mi ha detto semplicemente: no. Non ci sono soldi, sorry. Non ci potevo credere. Mi togli i materiali, mi togli i superpoteri. I genitori sono molto generosi qui, chiedi a loro, mi hanno consigliato. Ma i genitori comprensibilmente dopo un po' hanno rallentato le donazioni. Non ci dormivo la notte. E' difficile pianificare anche solo una settimana di lezioni di arte se non hai il minimo indispensabile. Mi sono guardata intorno e mi sono accorta che molti miei colleghi organizzavano raccolte fondi di tutti i tipi, anzi la scuola stessa è sempre impegnata in mille fundraising. Ho cominciato a leggere, a informarmi, a studiare come scrivere una richiesta di donazione a fondo perduto, trovare degli sponsor... ma le mie necessità erano impellenti. Cosí l'altro giorno sono andata a parlare con la commercialista della scuola e ho spiegato la mia situazione. Non so bene cosa sia successo, ma poco dopo la preside è venuta a cercarmi per chiedermi se avessi tutto quello di cui ho bisogno. 
- Mi raccomando butta subito giù una lista e dalla direttamente a me. Me ne occuperò personalmente. Tutto quello che vuoi, non lesinare. Arte è la cosa migliore che abbiamo quest'anno e dobbiamo metterti nelle condizioni ideali per continuare così. Non devi preoccuparti di niente, devi solo continuare a fare quello che stai facendo.   
Avete presente Cenerentola quando arriva la fata madrina? Cosa posso dire? Evidentemente i sogni son desideri. Bah, ancora non mi sembra vero sinceramente.
Comunque mi sono messa di buona lena a passare al setaccio i vari siti di materiali artistici per trovare i prezzi migliori per un pomeriggio intero. Non ho un budget, ma conoscendo la situazione, non volevo assolutamente esagerare e soprattutto togliere risorse ad altri. La mia richiesta (un cifra folle, considerando i precedenti, ma più che ragionevole dato il numero di studenti) è stata firmata in bianco e con mille scuse per la confusione e il disagio causato. 
A volte ho la sensazione di non soffermarmi abbastanza sulla quantità di soddisfazioni personali e professionali che sto ricevendo da questo nuovo lavoro. A volte ho la sensazione di non riuscire a godermi a pieno l'attimo. Quell'impressione fetente di star sempre dimenticando o trascurando qualcosa.
Eppure sono così riconoscente. 
La maggior parte dei colleghi che ho conosciuto mi sembrano ottime persone che condividono le mie stesse idee sull'insegnamento. Ne ho visti diversi che sono pieni di entusiasmo e non si tirano mai indietro. Si buttano nelle cose come faccio normalmente io e mi danno il coraggio di spingermi anche oltre perchè so che se vado avanti mi seguono e mi sostengono. Qualche gelosia può esserci, ma per lo più è una competizione sana, costruttiva. Anche i vari sovrintendenti hanno una mentalità aperta e illuminata. I miei piccoli studenti sono una gioia infinita. E mi insegnano. Mi insegnano tutti i giorni molto più di quello che io possa mai insegnare loro. 
Le giornate volano. 
Poi la sera arrivo a casa e sono a pezzi. Voglio solo sedermi sul divano e stare in silenzio assoluto. Ma non posso, c'è troppo da fare (la cena, i piatti, i pranzi del giorno successivo...). Allora continuo a lavorare anche a casa, ma a casa non sono così brava, anzi sono davvero scarsa. Mi perdo in chiacchiere, mi metto a scrivere o a leggere nei momenti peggiori. Se Woody mi chiede di dipingere mentre sto preparando la cena, non dico mai di no. Lì per lì è fantastico, ma poi magari finisce che ceniamo tardi, ceniamo male e ci irritiamo perchè siamo affamati. Il lavoro casalingo ha il terribile difetto di non terminare mai, tutto quello che fai per forza di cose viene distrutto nel giro di mezz'ora al massimo. E così l'umore cambia, peggiora. Ti senti sempre di arrancare, di sbagliare.
A volte ho l'angosciante sensazione che per la mia famiglia rimangano solo le briciole di quello che sono, di quello che ho da offrire. E' vero anche che tutto questo sta creando altre vicinanze, altre complicità e nessuno sembra risentirne particolarmente, tranne io che vorrei sempre essere al centro delle vite di tutti quelli che amo. In questo periodo forse sorrido di più a scuola. E' che mi si è appena spalancato un mondo davanti agli occhi e non è un mondo ostile come avevo percepito all'inizio, al contrario è pieno di possibilità.
Il problema nella vita è sempre trovare un equilibrio fra gli inciampi di tutti i giorni e le cose che contano davvero. 
L'altro giorno una bambina stupenda mi ha regalato un disegno buffissimo di un vecchietto che sembra molto allarmato e allarga le braccia e ha i baffi sopra il naso.
- Grazie! Ma chi è?
- Mio nonno.
Ecco, è tutto un po' così nella mia vita e forse anche nella vostra. Un senso ci sarà, eh, ma vallo a trovare.  

venerdì 25 ottobre 2019

come dei fiori

Ho letto non so dove che nella cultura giapponese le cose non dette sono come dei fiori che si regalano all'altro per dargli la possibilità di riflettere, immaginare, riempire i vuoti come meglio crede superando il limite insito nella parola.
Magari gli americani non lo dicono così bene, ma è un po' lo stesso anche qui, si tende a non dire.
Ecco, non riesco davvero a immaginare un valido motivo, uno solo, per cui non dire come ci si sente, dialogare, affrontare insieme le situazioni, sia meglio di lasciare tutto in sospeso.
Cioè lo capisco dal punto di vista estetico. Effettivamente è più poetico, si vola più in alto e si evitano una marea di conflitti, però al di là di questo mi sembra si finisca per vivere le relazioni, di qualunque tipo siano, da soli, nella propria testa. E allora che relazioni sono?

mercoledì 23 ottobre 2019

la nostra energia

Mentre torniamo a casa da scuola Joe legge uno di quei libri intelligenti che gli regala sua zia. Normalmente si isola completamente. È in grado di leggere in qualunque circostanza senza badare al rumore o a qualunque altra possibile distrazione. Però deve essere rimasto colpito da qualcosa perché alza la testa e mi dice:
- Lo sai che nulla si crea, nulla si distrugge...ma tutto si trasforma?
- Ma certo, rispondo facendo palesemente finta di saperne più di quanto ne sappia.
Lui guarda fuori dal finestrino, sta un po' zitto e aggiunge:
- Chissà dove va la nostra energia dopo che moriamo.


Chissà.

domenica 13 ottobre 2019

l'importanza del guardaroba

Questa settimana di vacanza, è stata davvero perfetta. Non sapevo nemmeno che esistesse il "fall break", che invenzione geniale. Ho letto, sono andata in giro e un paio di notti fa ho anche smesso di sognare di lavorare tutta la notte, evidentemente sto cominciando davvero a rilassarmi. Giusto in tempo per ricominciare tutto da capo domani.
C'è una mia amica che ha appena avuto un bambino e mi sta facendo riflettere e tornare in mente tante cose a cui non pensavo da anni.
Avevo dimenticato, ad esempio, che qualche mese dopo la nascita di Woody regalai quasi tutti i miei vestiti. Mia sorella mi chiedeva...ma sei sicura? Che cos'hanno che non va? Un unico difetto, però enorme: mi ricordavano la me stessa di quei mesi. E poi ho cominciato gradualmente a vestirmi di nero. Mi è sempre piaciuto il nero, ma in questi ultimi anni sono arrivata all'eccesso. L'estate scorsa, la valigia per l'Italia è stata un disastro, ho dimenticato un sacco di cose: era tutto nero, non ci capivo più niente.
E' che il nero è semplice, è rassicurante, ma -lo capisco ora- quello non era un vestirmi, era un coprirmi con la prima cosa che mi capitava sotto tiro.
La mia amica mi parlava del non sentirsi più se stessa, del sentirsi solo un mezzo di sopravvivenza per un altro essere umano. Sensazioni che non mi sono del tutto sconosciute, diciamo.
A volte guardo le donne senza figli e le ammiro, mi sembrano spesso più curate, più affascinanti, più giovani o più giovanili. Ma il tempo passa e i bambini crescono.
Così, questa settimana ho preso una decisione molto seria. Ho deciso che mi rifaccio il guardaroba. Basta, non mi vesto più di nero.
O almeno non solo di nero.
Accidenti già comincio a ritrattare.

martedì 8 ottobre 2019

il mio primo open carry

In Texas e in molti altri stati è legale presentarsi in pubblico con la pistola in bella vista, in una fondina attaccata alla cintura o ad armacollo, ma in tutti questi anni, fortunatamente, non ho mai visto nessuno andarsene poi veramente in giro così. Mi sono sempre chiesta che effetto mi avrebbe fatto. 
L'altro giorno eravamo al lago, in Oklahoma, in una spiaggetta che definirei per bambini visto che lo spazio era una conchetta recintata e l'acqua era piuttosto bassa. Arriva un bizzarro signore barbuto con uno strano cappellone, gli stivali anti alligatore e la tipica cravatta di cuoio dei cowboy. Somigliava un po' all'amico di Curious George, ma invece della scimmietta lui aveva un  maiale selvatico con il fiocchetto. Tutti i bambini sono subito usciti dall'acqua e gli sono corsi intorno. Come si chiama? Cosa mangia? Cosa fa? Mille domande. Il signore ha risposto brevemente, ma era scontroso, quasi infastidito. Con tutta una foresta a disposizione, se non hai voglia di parlare perchè te ne vai con un maiale infiocchettato in un posto che è pieno di bambini? 
Quando ci ha voltato le spalle ho notato che aveva una pistola in bella vista alla cintura.
Brividi. 
La prima persona che vedo indossare una pistola a vista è uno che ha tutta l'aria dello psicopatico. Sarà un caso.

lunedì 7 ottobre 2019

piccolo il mondo, grande il numero di studenti

Mi prendo la briga di fare diverse ore di strada e andare in un altro stato per raggiungere un rifugio in mezzo alla foresta con i cervi sotto alla finestra che neanche Biancaneve, solo per rilassarmi qualche giorno e staccare completamente dal lavoro. 
La prima sera vado a cena con la mia famiglia in un ristorante della zona e un tale mi si avvicina: "Scusi, lei insegna arte alla scuola Wonka?". E indica la figlia, una mia studentessa. Erano seduti proprio accanto a noi. 
Piccolo il mondo, grande il numero dei miei studenti.