mercoledì 17 maggio 2023

influenzare, non controllare

E' da un po' che ho smesso di aggiornarvi sulla situazione a scuola. Sono diventata molto più intenzionale nel lasciare i problemi di lavoro al lavoro. Quando esco, torno alla mia vita. Mi concentro sulle cose semplici, disegno molto, sto all'aperto. Ho tagliato tutto quello che non mi è di conforto, anche la scrittura.

Tutti quelli che mi conoscono, i pochi con cui ancora parlo regolarmente, per farmi coraggio mi dicono sempre "dai che ci sei quasi, il grosso è fatto". Io annuisco, ma la verità è che ogni mattina mi sento affranta all'idea di dover tornare là dentro senza sapere cosa succederà, ma con la certezza che qualcosa succederà. Vedendo la situazione dall'esterno, non si capisce quanto male vadano le cose.

Non si capisce perché non lo spiego.

E non lo spiego perché sono questioni di una gravità che la maggior parte delle persone che ho intorno non può -e di solito non vuole credo- conoscere. 

In autunno, raccontai a un'amica che avevo scoperto che a scuola c'erano dei bambini appena arrivati qui in Texas clandestinamente che non avevano nulla, nulla. Stava per arrivare il freddo, servivano urgentemente dei vestiti. Quest'amica in un secondo ordinò vari cappotti e altre cose per loro dimostrando una grandissima generosità che non mi stupì minimamente, conoscendola.

Era l'inizio dell'anno. Successivamente realizzai che accogliamo nuovi studenti in quelle condizioni tutti i santi giorni. 

Da allora, le poche volte in cui ho visto e sentito quell'amica non mi ha mai chiesto nulla di quei bambini o del lavoro. Sono episodi come questo che mi fanno sentire sola, in un mondo a parte.

Non è solo lei. Come ho sempre detto, a scuola non mancano le risorse economiche, mancano le persone. Si staccano assegni, si fanno selfie da postare sui social e poi via di corsa.

Ho visto anche tanti insegnanti andare via quest'anno e non è normale che gli insegnanti se ne vadano nel bel mezzo dell'attività didattica. Ero abituata alle feste di addio. Buona pensione, buon trasferimento, cose così. Qui niente. Perfino il vincitore del prestigioso premio 'maestro dell'anno' è scomparso dall'oggi all'indomani nel silenzio generale.

Per dare un'idea dell'abisso in cui siamo sprofondati, qualche settimana fa è successa la stessa cosa nientemeno che con la preside. Un giorno c'era, il giorno dopo non c'era più. Ad oggi, non è chiaro cosa sia successo, sappiamo che non è morta, ma non l'abbiamo mai più vista né sentita. 

Mancano meno di due settimane, ma questo lavoro continua a essere uno stillicidio.

Ogni giorno è un dramma nuovo, anche per la natura della materia che insegno. Nella classe di arte, specialmente ora che mi conoscono meglio, i bambini esplorano le proprie emozioni. Ci sono dei disegni che sono vere e proprie richieste di attenzione e di aiuto, ma di fatto mi sono resa conto di non avere più strumenti a disposizione per aiutarli, altri adulti a cui indirizzarli. Ci sono io in quel momento, posso solo essere presente e ascoltarli, rassicurarli che hanno tutto il diritto a sentire quello che sentono. 

Quelle dei più grandi sono classi numerose, incontenibili per tanti motivi. Mi fanno sentire- non so come altro spiegarlo- sotto assedio. Un giorno entra una di queste classi e due ragazzi cominciano subito a spingersi petto contro petto in una sorta di rito tribale. Riesco a evitare la rissa convincendo uno dei due a sedersi dall'altra parte della classe. "La accontento, ma guardi che quello lì non mi fa nessuna paura" puntualizza senza spostare lo sguardo dal rivale. L'altro invece è già oltre, ha già trovato un nuovo pretesto per farsi sbattere fuori. Mentre esce mi ringhia addosso una quantità non di insulti, ma di cattiverie che culminano nel classico e poco originale, "ti odio". Non me lo ha mai detto nessuno 'ti odio'. Ho sempre immaginato che me lo avrebbe detto mio figlio in una crisi adolescenziale. Lì per lì ci rido su, è piuttosto ridicolo, che parolone. Ogni volta che lo rincontro nei corridoi però mi fissa sempre con quello sguardo che devo ammetterlo, mi mette soggezione, è carico di qualcosa di molto simile all'odio. Finisce che due notti dopo sogno che entra in classe e mi accoltella. Non chiudo più occhio. Arrivata a scuola ancora scossa dall'incubo, vengo a sapere che avevano già deciso, per ben altri motivi, che quello studente non sarebbe più tornato in classe. Ma la mia giornata oramai era rovinata sia per la mancanza di sonno sia perché detesto l'idea di un ragazzino che non sia in grado di stare fra i compagni, la prendo come una sconfitta del sistema educativo tutto.

La stragrande maggioranza dei miei studenti sono divertenti, teneri e assolutamente brillanti. La verità è che la quantità di violenza che li circonda si porta via tutto il resto. Vivo le mie giornate in allarme, mi concentro soprattutto sui potenziali pericoli. La sicurezza di tutti è la mia priorità.

La ciliegina sulla torta è una cosa che forse non dovrebbe, ma brucia più di tutto: il non sentirmi apprezzata. Fortunatamente per me, andrò a insegnare in un'altra scuola il prossimo anno, ma essere venuta a sapere che il mio lavoro è stato offerto a una persona che non ha mai insegnato la mia materia, mi offende. Non stanno nemmeno cercando una persona qualificata. Il motivo per cui ho accettato questo lavoro era portare la stessa qualità di insegnamento delle scuole più prestigiose anche qui. Ora che ci sono dentro però capisco che è un'impresa insostenibile senza l'appoggio dell'amministrazione. L'unica cosa che viene apprezzata alla fin fine è la disciplina. Tanti bei discorsi sulla giustizia sociale all'inizio dell'anno, ma poi di fatto l'unica richiesta è riuscire a farli stare seduti e zitti. Io che non ho mai cercato di fare stare i miei studenti zitti e seduti, nemmeno in questa scuola, mi sento isolata. E' una divergenza filosofica irrisolvibile. Credo che sia fondamentale avere un'influenza positiva sulle loro scelte, non tenerli sotto controllo con le minacce. Ho bisogno che imparino come stare al mondo da soli perché fuori dalla classe, tutti, loro e noi in realtà, siamo soli e abbiamo davanti mille bivi.Nessuno ti viene a dire che strada prendere nella vita. Il mio metodo richiede tempo, non è immediato, ma funziona e può, nei casi che ho visto quest'anno soprattutto, salvare delle vite.

Poco importa oramai. Me ne andrò anch'io. Sono orgogliosa di essere arrivata fino a qui e so di non avere scelta vista la situazione, ma ripensando a quest'esperienza mi addolorerà sempre l'idea di non essere riuscita a fare di più.  

lunedì 20 marzo 2023

l'ultimo tramonto hawaiano

L'ultima sera, ho preso una pausa dai vari festeggiamenti e saluti per andare a guardare il tramonto dalla spiaggia. Ci tenevo. Guardare il tramonto da una spiaggia di O'ahu è un po' come essere al cinema o a teatro, insomma di fronte a uno spettacolo ben preciso con un inizio e una fine. È un rito collettivo.
Nel giro di pochi minuti si va dalla tipica vita da spiaggia al prendere i posti, mettersi comodi, assicurarsi la vista più scenografica. Chi arriva alla spicciolata quando lo spettacolo sta per cominciare, chi video-chiama casa, chi si mette in posa, chi ordina una cena frugale e romantica.
Mentre mi godevo quell'ultimo tramonto hawaiano, ho avuto un pensiero inconfessabile: mica poi così straordinario questo tramonto.
Voglio dire, in Texas assistiamo quotidianamente a spettacoli meteorologici ben più grandiosi di quel tramonto. Qual è la differenza allora? Perchè ho piantato tutti in asso per essere lì in quel momento e perchè quel momento è stato poi effettivamente così intenso?

È che O'ahu è remota. Chi si trova lì in vacanza sa perfettamente che non sarà semplice tornarci e cerca di rendere ogni istante in qualche modo indimenticabile. Quello che rende unico un tramonto guardato da una spiaggia di Honolulu quindi non è il tramonto in sé, ma le persone che lo guardano. Se in Texas un tramonto anche più straordinario passa completamente inosservato, lì c'è un'attesa palpabile e collettiva, un'intenzionalità tutta diversa. La consapevolezza di vivere un momento unico finisce per crearlo quel momento unico. Ma non sono poi tutti unici i momenti della nostra vita? Non c'è un tramonto uguale all'altro ovunque nel mondo. Ecco, questo vorrei portarmi via da questo viaggio, il proposito di essere meno distratta, più presente, più intenzionale nel tentativo di assorbire tutto quello che di bello e buono ho intorno. 

sabato 25 febbraio 2023

non sei nutella

Questa settimana ho comunicato ufficialmente che alla fine dell'anno, me ne vado da scuola.

Ho sempre raccontato che lo avrei fatto, ma ho sempre anche continuato a sperare di poter rimanere. A un certo punto bisogna essere realisti.

Come mi disse un'amica una volta "non puoi fare felici tutti, non sei un barattolo di Nutella".
Anche questa settimana ci sono stati i soliti drammi, eppure ho attraversato la *palude della tristezza* con passo più sicuro.
Aver messo nero su bianco la mia intenzione, mi ha spronato.
Se pensi che è tutto temporaneo, puoi affrontare difficoltà inimmaginabili.
Se prendi in mano la situazione e fai delle scelte tue, ragionate e consapevoli, invece di affidarti a qualcun altro, tutto è più sopportabile.
Mi dispiace tanto non poter fare di più, ma so che sto facendo tutto, proprio tutto quello che io da sola, con le mie forze, posso.

giovedì 23 febbraio 2023

willy wonka e joe

Volevo raccontarvi un piccolo episodio di qualche anno fa.

Una volta in libreria mi sono imbattuta in Willy Wonka e la Fabbrica di Cioccolato di Roald Dahl. Sull'onda della nostalgia, l'ho subito comprato.
Ero entusiasta di poter leggere una storia che avevo amato da bambina con il mio bambino. Dopo qualche pagina Joe si interruppe. Aveva solo 6 o 7 anni. "This is so mean!"
Effettivamente, rileggendolo oggi, ci sono parecchie cose che lasciano a desiderare.
L'ha mollato lì e non l'ha mai più voluto toccare. Lo abbiamo addirittura lasciato in Italia. Mi fece quasi vergognare di avergli detto che era uno dei miei libri preferiti.
Cose simili sono successe tantissime volte.
A me e Mr J torna in mente qualcosa che ci era piaciuto da morire da piccoli, lo proponiamo a Joe e Woody e loro rimangono molto, molto perplessi.
Non si contano le volte in cui ci è toccato spegnere al volo film e cartoni invecchiati malissimo.
Quello che voglio dire è: censura o non censura, se tiriamo su i nostri bambini con una certa mentalità di inclusione verso il prossimo è ovvio che nel momento in cui si imbattono in un narratore che -in perfetto accordo con la sua epoca- si esprime in modo divergente, se ne sentano respinti.
Peccato perché credo che quella di Willy Wonka sia una grande storia, ma a ognuno il suo.
I tempi cambiano.

martedì 21 febbraio 2023

la palude della tristezza

Tante persone in questo periodo mi hanno chiesto come sto e io rispondo sempre che sto bene perché sto bene, è la verità. La verità però è anche che sto bene quando non lavoro.

Il contrasto fra tutto quello che vivo fuori e dentro le mura di quella scuola è sempre più stridente.
Non vedo quasi più i miei amici, esco raramente. Cerco di conservare tutte le mie energie per sopravvivere a quelle ore che sono ore drammatiche. Ogni giorno succede qualcosa che non dovrebbe succedere purtroppo.
Siamo entrati in una spirale così negativa che sempre più persone esasperate si stanno licenziando. Il problema è che non vengono rimpiazzate.
Siamo in caduta libera e siamo sempre meno.
I grandi capi rimescolano le classi e spostano gli insegnanti da un grado all'altro in una sorta di lotteria disperata: magari una volta o l'altra azzecchiamo la combinazione vincente. Quella maestra di seconda è brava, facciamole fare il cambio con quell'altro di quinta. Cose così.
Ogni giorno mi si presentano almeno un paio di studenti nuovi (di solito vengono dall'estero, non parlano inglese e sono visibilmente disorientati). Alcuni si ritirano da scuola all'improvviso, altri vanno via per un periodo e poi tornano, non so perchè succeda questo. Un bambino è stato via vari mesi e mi ha raccontato di non essere andato a scuola in quel periodo. Tutti questi cambiamenti, rendono ogni mio sforzo di stabilire una qualche sorta di normalità pressoché vano.
Non fraintendetemi, non voglio dire che sia tutto negativo. Lo vedo bene che per certi versi sto facendo tantissimo. Li vedo i progressi, ma sono una goccia nel mare. Nella sostanza purtroppo, se non c'è nessun tipo di continuità, se cambiano le classi, gli studenti e gli insegnanti tutti i giorni, non può cambiare niente.
Recentemente ho scoperto che ci sono bambini che frequentano quella scuola da vari anni e non parlano una parola di inglese.
Come è possibile? Non ha nessun senso.
Un insegnante mi ha spiegato che alle elementari gli esami possono essere fatti in spagnolo. Visto che l'obbiettivo è passare gli esami, alcuni preferiscono insegnare solo in spagnolo per aumentare le possibilità.
Sono successi episodi gravi che sto cercando di dimenticare, ma mi agitano anche avvenimenti piccoli e per me poco comprensibili.
Per caso un giorno ho realizzato che la classe che mi è stata presentata all'inizio dell'anno come una seconda in realtà è un misto di prima e seconda. Dice che siccome ne avevano troppi in prima e troppo pochi in seconda, hanno preso i migliori di una e i peggiori dell'altra e hanno fatto una classe unica. Mai sentito nulla di simile, ma Google mi spiega che è una cosa possibile e legale. Peccato che nessuno si sia preso la briga di avvertirmi.
Qualche volta mi viene in mente la palude della tristezza de La Storia Infinita.
Sto attraversando la mia personale palude della tristezza. Non posso fare altro che andare avanti se non voglio fare annegare qualcun altro.
Non preoccupatevi mi immedesimo con Atreyu e non con Artax. Il mio talismano è la mia vita fuori, i miei affetti e la mia casa verso cui sento una riconoscenza infinita. Sono arrivata alla conclusione che non farsi trascinare giù con le risorse che ho a disposizione è estremamente difficile, ma possibile.
Sto facendo tanta fatica. Non ho mai fatto così fatica.

domenica 29 gennaio 2023

un chiarimento

Tutti i messaggi che ho ricevuto rispetto all'ultimo post (qui) erano di solidarietà, stima e affetto come sempre e questo è un grande conforto.

Ogni volta che racconto della nuova scuola, però viene sempre fuori una certa opinione.
Ogni volta mi riprometto di trovare il tempo di spiegare bene la questione, ma poi il tempo passa.
Chiarisco un attimo adesso, ci provo.
Chiedetemi pure se avete dei dubbi.
L'opinione sostanzialmente è "incredibile o vergognoso che in uno dei paesi più ricchi del mondo succedano queste cose".
Ecco, sì però anche no.
Cioè, è complicato.
Come ho già spiegato in passato, la mia scuola è come sotto una lente di ingrandimento da parte di tutte le autorità. La mobilitazione per migliorare la situazione è reale.
Innanzitutto, la scuola in sé come edificio è nuova e all'avanguardia. Abbiamo tutto e noi insegnanti siamo ben pagati. Durante l'ultima riunione, ad esempio, è stato comunicato che chi vuole lavorare dopo scuola oppure il sabato per fare ripetizioni agli studenti che ne hanno bisogno verrà pagato una certa cifra all'ora. C'è stato un gasp generale, la cifra era alta. Poi però quelli che hanno alzato la mano per dichiararsi interessati alla proposta sono stati pochissimi. La mia sensazione è che non sia una questione di soldi o risorse: il problema è che nessuno vuole fare questo lavoro. Avere a chè fare con un contesto di povertà estrema (si parla di persone traumatizzate e che spesso e volentieri non hanno beni primari come cibo e vestiti) è difficilissimo.
Perché queste persone sono in una situazione di povertà estrema? Ci sono mille circostanze diverse ovviamente, ma nel caso della nostra scuola, tantissimi studenti sono appena arrivati dai vari paesi del Centro -Sud America. Letteralmente ogni giorno conosco uno o due studenti nuovi che sono appena arrivati da Honduras, Guatemala, Messico, ecc. che non parlano inglese e non hanno niente tranne uno sguardo pieno di domande e paura che non ti fa dormire la notte.
Avete presente i telegiornali? Quelle persone che attraversano il deserto, la giungla, guadano i fiumi per arrivare negli Stati Uniti? I media non raccontano mai cosa succede dopo. Il dopo lo si vede in scuole come la mia. Ognuno con una cultura e un trauma diverso e noi facciamo il possibile per aiutarli.
Per questo non riesco a condividere l'indignazione. Questo paese come tutti gli altri ha mille difetti, ma data la situazione, mette risorse e persone a disposizione dei nuovi arrivati.
Tanti mi hanno scritto in questi mesi per raccontarmi di situazioni simili in altri paesi, anche in Italia.
Questa scuola per me è stata come una doccia fredda. Un risveglio improvviso su una realtà di degrado che io non conoscevo, ma che c'è sempre stata qui e io suppongo, in ogni grande città del mondo. Cosa credete? Anche i miei conoscenti americani rimangono basiti dai racconti sulla mia scuola. È che stiamo tutti nel nostro.
Uno dei motivi per cui sto condividendo questa esperienza difficilissima per me è che spero che chi mi legge, possa allargare anche solo di qualche millimetro il proprio orizzonte come ho fatto io. Facendolo si scopre che la povertà, il degrado e il trauma sono lì a portata di mano, ma a volte scegliamo di non vederli perché ci fanno sentire a disagio, impotenti.
Solo quando finalmente vediamo, prendiamo coscienza, possiamo -nei tempi e modi che riteniamo opportuni- scegliere di agire.

sabato 28 gennaio 2023

only love can break your heart

 A un evento ho incontrato una vicina di casa con cui non avevo mai parlato. Facciamo quattro chiacchiere e si scusa -pensa te- perchè davanti al suo garage c'è sempre una macchina parcheggiata. Non ci avevo mai, ma proprio mai e poi mai, fatto caso. Dice: "E' imbarazzante, ma d'altra parte... ti danno una promozione, ti offrono una macchina, ti pagano tutto, cosa fai? Rifiuti?". Direi proprio di no. Le chiedo che lavoro fa. Lavora nelle risorse umane, la sua specializzazione è licenziare. Mi racconta che i suoi figli, che hanno la stessa età dei miei, l'hanno soprannominata 'the axe', la falce. 

E niente, lei parlava e io pensavo che una che di lavoro dà brutte notizie è ben più pimpante della sottoscritta. 
Sono così stanca che una mattina ho dimenticato di mettermi le lenti a contatto. Come si fa a dimenticare le lenti a contatto? Sono miope, per la miseria. 
Queste ultime settimane a scuola sono state intense, piene fino all'orlo di gioia e dolore. 
Il dolore fa più rumore. Ha un'eco che sembra non finire mai, ma mi costringo sempre a ricordare che ci sono state anche una quantità notevole di progressi e soddisfazioni. Ogni giorno, anche in quelli più drammatici, è successo qualcosa che mi ha riempito almeno per un secondo, non molto di più, di una felicità immensa.
Mi viene in mente il bambino che aspettava di entrare nella classe di arte con un biscotto mezzo sciolto nella manina per me. L'altro che mi ha lasciato il suo dinosauro. Sarà più contento qui, ha detto, e lo ha piazzato sotto al filodendro che ho portato ad agosto che era un ramoscello e oramai è assurto agli onori di Jurassic Park scolastico. Tutte le letterine, i disegni, i "ti voglio bene", i "mi sei mancata", i "quando vengo qui è il mio giorno preferito". Un'intera parete di messaggi di affetto. Li appendo quasi tutti, ho finito lo spazio, mi danno coraggio e mi rassicurano quanto le foto della mia famiglia che tengo sempre a portata di mano.
Guardavo i piccolini dipingere, lavare diligentemente i loro bicchierini, preparare i materiali per i compagni della classe successiva e sorridevo.
Siete stati proprio bravi, datevi una bella pacca sulla spalla. Anzi, diamocela tutti quanti, dai. 
Ho imparato a diversificare le mie lezioni. C'è chi dipinge e lava anche i pennelli e c'è chi deve ancora imparare cose tipo chiedere e non strappare di mano, non picchiare, ascoltare. Una grande parte della mia giornata consiste nel facilitare conversazioni ovvie. 
Tu vuoi questo e anche tu vuoi questo, come si fa? Lo dividiamo in due? Lavoriamo insieme? Ci inventiamo un gioco nuovo? Uno dei due rinuncia? 
Dopo tutti questi mesi, mi sento di dire che il problema vero è la violenza. Ne ho vista molta all'inizio dell'anno, poi le cose si erano calmate. Subito prima delle vacanze di Natale c'è stata una ripresa che non si è ancora placata. Va a ondate. Recentemente si sono verificati episodi che sto ancora cercando di elaborare.
Vengo da una famiglia non perfetta, ma piena di amore. Non ho mai visto così tanta brutalità nella vita come da quando lavoro in questa scuola. Violenza verbale, fisica, razzismo, bullismo, omofobia, maleducazione, discriminazioni di ogni tipo. È una violenza che non è mai -mai- rivolta verso di me e questo è fondamentale, ma che vedo, sento, mi spaventa, mi traumatizza. 
Gli studenti più grandi, in particolare, mettono a dura prova la mia speranza. Ogni volta che vengono in classe, non so come altro dirlo: ho paura. 
Dalla settimana scorsa per loro c'è un metal detector, controlli e zaini trasparenti. Non hanno più nemmeno il permesso di allacciarsi le felpe. 
Un pomeriggio sembrava tutto sotto controllo. A un certo punto vola un aereo di carta coperto di svastiche. Fermo tutto. Non si capisce bene chi sia stato, ma non importa. Parliamo, ragioniamo. Che simbolo è, cosa rappresenta. In fondo sono in prima media, magari non sanno, non capiscono. Successivamente lo racconto alla loro maestra e mi risponde con assoluta normalità: "Certo, oggi abbiamo parlato dell'Olocausto". Non sapevo se ridere o piangere. Gli spieghi l'Olocausto e loro parteggiano per Hitler? Allucinante.
Come facciamo noi insegnanti a insegnare *tutto*? Dall'igiene personale alla matematica. Questa è la domanda che mi assilla ogni giorno.
Sono in uno stato di perenne tensione. Da un momento all'altro può succedere -e purtroppo qualche volta è successo- di tutto. Sono così tesa che anche a casa basta un niente, un ritardo, una chiamata senza risposta, per farmi entrare nel panico. 
Non so più cosa fare per evitare i conflitti in classe. Ho cominciato perfino a sperimentare con qualche tecnica di teatro improv. Ho pensato che magari se riescono a ridere insieme, non gli viene troppo da picchiarsi. 
Con i più piccoli, diciamo fino alla quarta elementare, più volte mi sono messa fisicamente in mezzo a due litiganti. Nei momenti più drammatici, il mio unico istinto è proteggerli, tutti, quelli che le danno e quelli che le prendono. Voglio solo prevenire. Nel momento in cui qualcuno si fa male, il danno è irreparabile per tutti.
Mi metto in mezzo quando sento fiducia nella relazione con la persona infuriata: so che non farebbero mai del male a me. E infatti, si calmano. Tante volte scoppiano a piangere perché poi quei comportamenti violenti sono chiaramente un sintomo del loro dolore. Bisogna solo capire come accidenti farlo uscire senza fare danni quel maledetto dolore che si portano dentro. 
Tanti dei bambini che mi dicono essere più violenti altrove vedono la classe di arte come la loro oasi felice, al punto che quando hanno dei momenti difficili, i loro maestri a volte li mandano da me. 
Cerco di non parlare più di tanto con loro, non sono una psicologa. Il bambino che all'inizio dell'anno, lasciato libero di scegliere, aveva dipinto per un'ora sangue, solo sangue, una mattina mi ha preso da parte e mi ha detto solo: "I feel like I don't matter". Sono rimasta senza parole mentre lo guardavo andare via. Ho avvertito la sua insegnante, è importante mettere insieme i pezzi, credo. Il giorno dopo per la prima volta quando mi ha vista mi ha abbracciata e mi ha detto che sono la sua migliore amica. Non sono la tua migliore amica, sono la tua maestra. 
Ho sempre paura di dire la cosa sbagliata. Comunichiamo attraverso i colori, le linee, il gioco. 
Dipingendo, disegnando, costruendo, non si può mai sbagliare. 
Ricordo un pomeriggio.  Si è presentato alla porta uno studente in difficoltà, occhi lucidi, sguardo pieno di rabbia. Non ho idea di cosa fosse successo. L'ho invitato a sedersi insieme alla classe che era lì in quel momento. Senza dare spiegazioni, si è calmato.
La sua maestra alla fine della giornata mi ha ringraziata e mi ha abbracciata. Mi ha chiesto il permesso (qui il consenso non viene mai dato per scontato) e mi ha dato un abbraccio vero, non alla texana. Per me quello è stato uno dei momenti più significativi di questo anno scolastico. Sentire di portare il peso insieme, cercare di non farsi schiacciare anche se la fatica è tanta.
Con i grandi, per tanti, tanti, motivi, tutto questo non funziona.
Non sono capace. 
Canta Neil Young:
Only love can break your heart. 
What if your world should fall apart?
Il mio mondo, la mia visione del mondo, quello che credevo fosse il mondo prima di iniziare quest'esperienza, sta cadendo a pezzi, è vero. Non sarò più quella di prima dopo quello che ho visto. 
Conto i giorni che mi separano dalla fine dell'anno scolastico. Vorrei scappare via, ma non posso. Non posso avere questo peso sulla coscienza. Ho visto troppi bambini piangere. Quando un insegnante se ne va nel mezzo dell'anno, nella mia scuola non ne arriva un altro. Se ne stanno andando in tanti ultimamente e ogni volta è una valanga di conseguenze negative per tutti.
Non avevo mai sentito tutta questa sofferenza e tutto questo amore intorno a me. 
Pura vita.


P.S. Ieri dopo aver postato, ho spento tutto.
La situazione che vi ho raccontato richiede tantissima energia. Anche condividere richiede tantissima energia.
La cosa fondamentale è mettere il proprio equilibrio al primo posto. È stato bello stamattina svegliarmi e trovare tutti i vostri messaggi. Tutti i messaggi che ho ricevuto erano di solidarietà, stima e affetto come sempre e questo è un grande conforto.
Ogni volta che racconto della nuova scuola, però viene sempre fuori  una certa opinione. 
Ogni volta mi riprometto di trovare il tempo di spiegare bene la questione, ma poi il tempo passa.
Chiarisco un attimo adesso, ci provo.
Chiedetemi pure se avete dei dubbi.
L'opinione sostanzialmente è "incredibile o vergognoso che in uno dei paesi più ricchi del mondo succedano queste cose".
Ecco, sì però anche no. 
Cioè, è complicato.
Come ho già spiegato in passato, la mia scuola è come sotto una lente di ingrandimento da parte di tutte le autorità. La mobilitazione per migliorare la situazione è reale. Innanzitutto, la scuola in sé come edificio è nuova e all'avanguardia. Abbiamo tutto e noi insegnanti siamo ben pagati. Durante l'ultima riunione, ad esempio, è stato comunicato che chi vuole lavorare dopo scuola oppure il sabato per fare ripetizioni agli studenti che ne hanno bisogno verrà pagato una certa cifra all'ora. C'è stato un gasp generale, la cifra era alta. Poi però quelli che hanno alzato la mano per dichiararsi interessati alla proposta sono stati pochissimi. La mia sensazione è che non sia una questione di soldi o risorse: il problema è che nessuno vuole fare questo lavoro. Avere a chè fare con un contesto di povertà estrema (si parla di persone traumatizzate e che spesso e volentieri non hanno beni primari come cibo e vestiti) è difficilissimo.
Perché queste persone sono in una situazione di povertà estrema? Ci sono mille circostanze diverse ovviamente, ma nel caso della nostra scuola, tantissimi studenti sono appena arrivati dai vari paesi del Centro -Sud America. Letteralmente ogni giorno conosco uno o due studenti nuovi che sono appena arrivati da Honduras, Guatemala, Messico, ecc. che non parlano inglese e non hanno niente tranne uno sguardo pieno di domande e paura che non ti fa dormire la notte. Avete presente i telegiornali? Quelle persone che attraversano il deserto, la giungla, guadano i fiumi per arrivare negli Stati Uniti? I media non raccontano mai cosa succede dopo. Il dopo lo si vede in scuole come la mia. Ognuno con una cultura e un trauma diverso e noi facciamo il possibile per aiutarli. 
Per questo non riesco a condividere l'indignazione. Questo paese come tutti gli altri ha mille difetti, ma data la situazione, mette risorse e persone a disposizione dei nuovi arrivati. 

Tanti mi hanno scritto in questi mesi per raccontarmi di situazioni simili in altri paesi, anche in Italia. 

Questa scuola per me è stata come una doccia fredda. Un risveglio improvviso su una realtà di degrado che io non conoscevo, ma che c'è sempre stata qui e io suppongo, in ogni grande città del mondo. Cosa credete? Anche i miei conoscenti americani rimangono basiti dai racconti sulla mia scuola. È che stiamo tutti nel nostro.
Uno dei motivi per cui sto condividendo questa esperienza difficilissima per me è che spero che chi mi legge, possa allargare anche solo di qualche millimetro il proprio orizzonte come ho fatto io. Facendolo si scopre che la povertà, il degrado e il trauma sono lì a portata di mano, ma a volte scegliamo di non vederli perché ci fanno sentire a disagio, impotenti. 
Solo quando finalmente vediamo, prendiamo coscienza, possiamo -nei tempi e modi che riteniamo opportuni- scegliere di agire.

venerdì 20 gennaio 2023

crescita accelerata

Mi sono resa conto in questi mesi che c'è una vera e propria corrente di giovani donne bianche con grandi titoli di studio che si occupano di parlare e scrivere del mio lavoro e che non sanno nulla, che probabilmente in una scuola come la mia non ci hanno nemmeno mai messo piede.
Il messaggio è sempre lo stesso: gli insegnanti (bianch*) delle scuole più povere non devono dare per scontato che la scuola sia l'unico posto sicuro e che i genitori non abbiano le migliori intenzioni. In soldoni: se ti aspetti il peggio sei praticamente razzista.
Nella mia scuola, ci si aspetta il peggio perché purtroppo è quello che vediamo in maniera costante.
Dare per scontato come avviene in altri contesti, che le famiglie si occupino dei figli (quando i figli arrivano a scuola sporchi, affamati, traumatizzati) può essere molto pericoloso, può significare ignorare dei segni e delle richieste di aiuto che forse solo la scuola può cogliere.
Suppongo che le vacanze dei miei studenti siano state difficili per prepararmi a livello psicologico. 
Le mie supposizioni non nascono dal "complesso del salvatore bianco. Immagino che le vacanze siano state difficili perché la maggior parte dei miei studenti manifestano il timore delle vacanze o anche solo del suono della campanella. Se non vogliono andare a casa *devo* supporre che forse a casa ci sia qualcosa che non va, mi sembra logico.
Quest'ultima settimana a scuola è stata un incubo.
Sono consapevole di stare facendo la famosa differenza, sono consapevole di stare crescendo in modo accelerato come essere umano e insegnante. 
Nonostante ciò soffro.
Lo accetto e vado avanti.

giovedì 22 dicembre 2022

primo giorno di vacanza

Oggi è il mio primo giorno di vacanza. Per quanto la mia intenzione fosse quella di buttarmi subito il lavoro e tutti i suoi problemi alle spalle, lo stress ci porta sempre il conto, no? In questo caso è arrivato sotto forma di incubi notturni e mal di schiena.Come prevedevo, l'ultimo giorno di scuola è stato particolarmente sfidante. Non ho sentito la tipica atmosfera pre-natalizia che si respira normalmente in una scuola elementare in questi casi. Ci sono stati tanti incidenti, alcuni piuttosto gravi. Sono volate parole irripetibili (non verso di me, litigano sempre fra di loro), pezzi di arredamento sono stati presi a calci e ci sono stati anche tanti furti. Qualcuno si è portato via perfino un Babbo Natale. Se i miei alunni facessero quello che fanno nella mia classe in un qualunque luogo pubblico, si ritroverebbero in un mare di guai. Devono capire questa cosa, ma non la capiscono e io al momento sono a corto di idee. Mi sento abbastanza avvilita. Non credo che questa esplosione di rabbia proprio prima della pausa sia casuale.

Qualunque cosa debbano affrontare in queste due settimane, sarò lì per loro quando torneremo ai nostri posti a gennaio.

martedì 20 dicembre 2022

una questione di controllo

La mia giornata di oggi si riassume grossomodo in queste due immagini: un righello rotto per dispetto e una manina che indica il disegno di due cuori che sorridono e dice "tu y yo".
La stragrande maggioranza delle mie classi sono composte da alunni con abilità diverse che tante volte non hanno in comune nemmeno la lingua. Per questo sto imparando a diversificare il più possibile. In ogni lezione propongo varie attività che possono svolgere in maniera indipendente più qualcosa di nuovo che insegno a piccoli gruppi.

Una delle attività che ho introdotto recentemente è il trenino di legno.
Devono semplicemente riuscire a comporre i binari usando più pezzi possibili senza litigare.
Il "senza litigare" è la cosa più importante.
Presuppone un certo uso del pensiero creativo, ma non è un'attività strettamente collegata alla mia materia. Il fatto è che in qualche modo ho bisogno che imparino a risolvere i contrasti normali della vita senza mettersi le mani addosso.
Se non riescono a collaborare sposto immediatamente i due litiganti senza sentire spiegazioni.
Tutte le classi a cui ho proposto questa attività sono riuscite a costruire i binari e a risolvere i contrasti.
Tutti si sono
divertiti
e sono stati molto orgogliosi del proprio lavoro.
Oggi mi sono sentita audace e ho proposto questa cosa anche ai grandi, così per vedere cosa succedeva.
Hanno tante verifiche in questi giorni, volevo che si distraessero anche loro.
Due ragazzi hanno raccolto l'invito solo che invece di costruire, hanno hanno deciso di distruggere. Si sono messi a sbattere i pezzi con violenza sui banchi producendo un rumore assordante. Imbracciando i binarietti di legno a mo' di fucile, facevano finta di sparare. Mai mi sarebbe venuta in mente una somiglianza fra dei binari di legno Ikea e un AR-15.
Che cosa hanno in testa?
Uno dei due è un soggetto di quelli che a scuola si fanno abbastanza notare, e spesso
non in modo positivo. Nella classe di arte invece, da un certo punto in poi, si è sempre comportato benissimo.
Infatti, prima di mettersi a "sparare" i binari, mi aveva fatto vedere la graphic novel che sta scrivendo.
Gli avevo fatto dei
complimenti
molto sinceri.
Ero colpita dall'impegno e dal talento. Mi faceva anche piacere che mi avesse reso partecipe di questo suo progetto. C'era una bella atmosfera festiva.
Due minuti dopo, quel rumore assordante, quel comportamento distruttivo e inaccettabile.
A volte penso che sia tutta una questione di controllo.
Mi comporto male così sono io che ho in mano il gioco.
Ferisco te prima che tu ferisca me.
Ti deludo io prima che lo faccia tu.
Sono stanca.
Un giorno ancora.
Coraggio.
 

giovedì 1 dicembre 2022

cambiamenti

Quando sul tappeto della classe è apparso un arcobaleno, un bambino è corso a prendere un foglio bianco per costringere tutti a provare la sua stessa meraviglia. Poi abbiamo parlato del prisma, della luce e dei colori. Che cambiamenti incredibili in certe classi. Se penso in che situazione eravamo un paio di mesi fa...
Non lo so come ho fatto a passare da piangere tutti i santi giorni a *quasi* non vedere l'ora di tornare dalle vacanze.
Sono di nuovo felice di fare quello che faccio, mi diverto, mi sento utile, serena.
Eppure i drammi sono gli stessi. 
Anzi di più. 
Più li osservo più capisco. Più mi conoscono più mi raccontano.
Devo essere cambiata io, non c'è altra spiegazione.

martedì 15 novembre 2022

la voce grossa

Oggi sono tornati i "nuovi al concetto di scuola". Tutto più o meno bene tranne due che ogni settimana arrivano e corrono. Non si può correre. 
La classe è grande, ma non è una palestra. Glielo dico una volta, due volte ... Alla fine ero esasperata.
La loro maestra viene a riprenderseli e dice quasi come per sgridare me:
- Non è possibile che tutte le settimane li trovi così (esagitati NdR). 
Concordo. "Quali sono le conseguenze per questo comportamento?" le chiedo. 
- Li fai mettere uno in un angolo e uno nell'altro. 
Dico: - Certo, peccato che non lo facciano.
Sorride con aria di sufficienza: - Guardami!
Caccia un urlo e per tutta risposta i due monelli corrono a mettersi uno in un angolo e l'altro nell'altro. Lei se ne va soddisfatta come se mi avesse dato una grande lezione di vita e in un attimo i due cominciano a disperarsi. Uno dei due chiama la mamma fra le lacrime e i singhiozzi. 
Quiero mamá 💔
Cerco di ragionarci con calma. Mi promettono che non lo faranno più e non ci credo neanche per sogno, ma non importa. 
Non voglio che piangano e si spaventino: hanno sei anni per la miseria. 
Non voglio diventare come quella maestra, ma non so più cosa inventarmi. 
Come faccio in un'ora alla settimana a dargli basi comportamentali che dovrebbero avere acquisito lungo tutta la vita?
Una caratteristica che distingue questi studenti da quelli che ho avuto in passato è che nella grande maggioranza dei casi non fanno quello che gli chiedi. Non è sufficiente dire
spostati, 
vieni, 
alzati, 
ti metto un brutto voto,
 ti mando in direzione, 
chiamo la mamma, 
la polizia, 
il presidente del Messico, 
niente. O urli o non ottieni niente. 
Io però non ho mai approvato né i metodi coercitivi né i premi (ci sono maestri che ricompensano i buoni risultati con caramelle, gomme, adesivi, ecc). Il bastone e la carota li lascio volentieri ai cavalli. Sono molto montessoriana in questo senso.
Credo che sia fondamentale per la scuola e per la vita che gli studenti scelgano per propria convinzione di comportarsi in modo corretto. Uso altri espedienti come la gentilezza, la logica, il senso dell'umorismo, il controsenso, cose così. 
Non dico che sia facile, ma una volta che ci si comincia a conoscere di solito, non ho problemi (o almeno non li ho mai avuti prima di quest'anno).
Forse qualcuno di voi si ricorderà il mio fastidio verso i buongiorno buongiornino ipocriti di tanti ambienti texani: ecco, ora sono diventata io la maestra che dice "grazie per aver detto grazie". Sono talmente rari i grazie e i per favore che mi sembra vadano sottolineati e incoraggiati in tutti i modi. Senza rispetto reciproco e gentilezza non si va da nessuna parte.
La situazione socio/familiare di questi bambini è disastrosa. I più grandi fanno paura. 
Rubano, vandalizzano la scuola, si menano. 
Non voglio dargli altre scuse per odiare gli adulti e la società. Voglio trattarli come tratto i miei figli, anzi come tratto tutti. 
Non voglio urlare, voglio parlare. Voglio ascoltarli, ma loro a volte si comportano in un modo tale per cui diventa impossibile comunicare. 
Sto provando in tutti i modi a venirgli incontro e ad adattarmi a loro. Ho cambiato il mio metodo di insegnamento, ho imparato a farmi scivolare tutto addosso e vedo molti progressi, ma ci sono anche dei limiti. 
Tutti dicono la stessa cosa: ci vuole la voce grossa, conoscono solo quella. 
Non sono d'accordo. 
Conoscono solo la voce grossa, è vero, quindi devono assolutamente conoscere altre voci. 
Comincio a chiedermi seriamente se un'altra strada, una che sia percorribile in pratica, esista. Non voglio diventare quello che non sono per esasperazione, vorrei trovare un modo di fare quadrare tutto. 
Ma quale?
Tra l'altro gli studenti sono tantissimi. 
Centinaia e centinaia. Li vedo solo un'ora alla settimana, e vanno e vengono.
È difficile stabilire una relazione e anche solo ricordare tutti i nomi. Un'altra caratteristica di questi studenti infatti è la mobilità. Ogni giorno arrivano studenti nuovi e altri se ne vanno. Raramente riusciamo a salutarci, succede tutto all'improvviso.
Mi hanno spiegato che molte famiglie cambiano casa in continuazione per usufruire del mese gratis che viene offerto spesso qui quando si inizia il contratto di affitto. Questa cosa dà davvero la misura del disagio.
Per preferire affrontare un trasloco dietro l'altro e sballottare i bambini da una scuola all'altra a pagare l'affitto, bisogna avere molto poco, credo.
Per concludere, vorrei chiarire che non ho nulla contro la maestra che ha urlato. Cioè è chiaro che non approvi il metodo.
Ha traumatizzato anche me urlando così!
E oltretutto so per certo che fare così non funziona dal momento che la stessa cosa succede ogni settimana agli stessi studenti. Evidentemente non stanno imparando a non correre in classe.
È innegabile però che da agosto, quando non sapevano sedersi sulla sedia (non è un'esagerazione) questi bambini ne hanno fatta di strada. Io mi concentro più su questo, lei più su quanto ancora siano lontani da un barlume di autocontrollo.
A volte penso: io cosa farei se dovessi passare intere giornate con una classe di questo tipo, nunerosa e senza il minimo sentore di quello che significa essere a scuola?
È come se l'avessero messa lì per fallire quella maestra.
Ci sono insegnanti pessimi e insegnanti che commettono errori, lo sappiamo tutti, ma la maggior parte delle volte quelli che cadono vengono messi in una situazione impossibile dal sistema di cui fanno parte.
Con tutti i problemi gravi che ci sono nella scuola in cui lavoro, raramente si sente un insegnante perdere la pazienza.
Non tutti i giorni sono uguali però.

domenica 6 novembre 2022

opportunità

Joe ha cominciato a suonare la tromba. 
È la sua nuova passione. Passa minimo un'ora al giorno a fare esercizi. Gli esercizi sono molto rumorosi. Dopo tre mesi ancora non riconosco i suoni che emette come musica.
Abbiamo cercato di bloccare un po' il rumore con dei pannelli insonorizzanti, ma non ha funzionato. Il baccano rimane notevole.
Però non importa. 
La casa è grande, si chiude in camera sua e nessuno gli dà fastidio. Siamo felici che abbia questo nuovo interesse, lo incoraggiamo.
A me ovviamente viene sempre spontaneo adesso paragonare i miei due ragazzetti agli 800 e passa che ho a scuola.
La prima cosa che ho pensato quando Joe ha cominciato a suonare è che la stragrande maggioranza dei miei studenti non potrebbero fare lo stesso. Mettiamo che gli piaccia, che possano permettersi di affittare uno strumento o che la scuola glielo dia, come potrebbero fare tutti quegli esercizi, ore e ore, in una casa piccola e affollata?
Senza contare che molti non ce l'hanno neanche una casa.
Joe domani diventa il più grande trombettista del mondo. Fantastico, bravo Joe.
Ma Joe ha avuto la possibilità di diventare il più grande trombettista del mondo, tanti altri no.
È tutto qui ed è sempre stato così. 
Mi fa piacere (e impressione) che qualcuno si sia svegliato e se ne sia accorto solo ora.

sabato 5 novembre 2022

tempeste all'orizzonte

La mia settimana lavorativa in breve.
Lunedi.
Viene a trovarmi un'esperta di class management del distretto per controllare che sia tutto in ordine ed eventualmente darmi dei buoni consigli. Dichiara di non aver mai visto nulla di simile e con grande arguzia nota che ci vorrebbero degli psicologi. Dice: "Se hai bisogno, non farti scrupoli a chiudere baracca e burattini e fargli guardare un video, la tua salute mentale prima di tutto". Mi viene quasi da ridere: questi bambini non sono in grado di guardare un video. Lo so che sembra assurdo, ma purtroppo è così, non è che non ci abbia provato. Per finire mi chiede -lei a me- di segnalarle dei libri da leggere per aiutarmi.  Noncelasifa.
Martedi. 
Mi ritrovo con un bambino che piange come una fontana per tutta l'ora. Mi racconta che il maestro è tornato nel suo paese. Ma come? E' vero, all'improvviso si è licenziato uno dei maestri migliori della scuola. Aveva appena ricevuto un premio. Una persona speciale. Ha detto che "era troppo', che ha chiesto aiuto e non lo ha ricevuto. Ha cercato di arrivare almeno fino a Natale, ma non ce l'ha fatta.
Mercoledi. 
Un bambino si lamenta che il compagnuzzo lo ha chiamato "mamahuevo". Parliamo di bambini di 5-6 anni. Non ho idea di cosa significhi questa parola, ma detta da loro sembra una cosa carina - mama-mamma, huevo-uovo - che sarà mai di tanto grave a quell'età? Niente, vi lascio il piacere di gugolarlo. 
Giovedi. 
Una ragazza, la stessa che si era fatta cogliere in flagrante a rubare qualche settimana fa, lancia una forbice aperta su un compagno, ride e interrogata a riguardo mantiene la necessità di quel gesto. Poi arriva la classe dei "nuovi al concetto di scuola" che dopo settimane di progressi ha una clamorosa ricaduta. Non so cosa gli sia preso. Saltavano sui banchi, correvano da tutte le parti, rompevano cose, si picchiavano. Premo il pulsante verde e arriva "l'autorità". I bambini non la degnano di uno sguardo. Uno addirittura addenta un compagno sotto i suoi occhi. La situazione è decisamente sfuggita di mano. Viene avvertita la preside che fa una cosa molto sensata: chiama l'unica persona in grado di riportare l'ordine. Lavora con i bambini dell'asilo, ma credo che non sia nemmeno un'insegnante. È una sorta di nonna messicana con il dente d'oro che luccica. Li rimette tutti a posto in un secondo. Non tutti gli eroi indossano il mantello.
Alla fine della giornata arrivano i grandi, quelli di prima media. Cerco di spiegare quello che posso nei due minuti che mi concedono.
Ultimamente rubano le puntine dai muri. Pare le usino per farsi piercing e tatuaggi. Non c'è verso di farli smettere, quindi forse dovrò smettere io di appendere i disegni.
Un ragazzino viene da me e con una dolcezza disarmente mi fa questo discorsetto:
"Come sta? Io penso che non sia giusto che si comportino così. Lei è una persona buona e non lo merita. Anche l'anno scorso c'era un maestro buono. Lei adesso ha bisogno di una vacanza. Deve andare via per un mese. Non si preoccupi, può farlo, lo hanno fatto anche altri maestri. Ha bisogno di riposare. L'importante è che non se ne vada per sempre anche lei".

Oggi è venerdi. Le previsioni danno tempeste.

lunedì 31 ottobre 2022

piccoli bagliori

Dato che me lo chiedete in tanti, vi racconto un po' come procede a scuola.

In questo periodo non ho molto tempo per scrivere. Sto lavorando tantissimo, ma non come prima, con l'angoscia e quasi con un senso di terrore al pensiero di dover entrare in classe. Sto lavorando in modo sano, come ho sempre fatto in passato.
La notizia bomba è che sono tornata ad amare il mio lavoro e anche a divertirmi, ci pensate? Incredibile. Cosa è successo? Assolutamente niente, anzi man mano che i bambini mi conoscono meglio, mi raccontano, disegnano e chiedono aiuto a loro modo (e quanti modi ci sono di chiedere aiuto...).
Le situazioni che mi trovo ad affrontare non migliorano, al contrario si fanno più drammatiche con il passare del tempo. Sono cambiata io, tutto qui.
Ci sarebbero mille riflessioni da fare. Prima o poi, se vi interessa, posso spiegarvi esattamente le strategie che ho utilizzato e come sono uscita dal buco nero in cui ero caduta. Si può parlare di salute mentale come di qualunque altra cosa che faccia parte della vita, soprattutto se può tornare utile ad altri nella stessa condizione. Per ora voglio dirvi solo che domani è lunedì ed è anche Halloween e gli studenti saranno ancora più su di giri, ma la cosa non mi crea nessuno scompenso particolare. È scattato qualcosa. Ho interiorizzato un concetto fondamentale e ovvio: posso fare solo il mio lavoro. Ed è un lavoro difficilissimo se fatto bene. Più di questo non posso chiedere a me stessa.
Mi sto scervellando per trovare metodi che vengano incontro alle esigenze diversissime fra loro di centinaia di studenti. Sto comprando libri di tutti i tipi e nonostante ciò non arrivo mai da nessuna parte perché tutto è in perpetuo movimento in quella scuola. I progressi delle varie classi, che non sono mai lineari, e il fatto che ogni giorno ci sono tanti studenti che vanno via e tanti altri che arrivano (prima o poi vi spiegherò anche questo aspetto) mi obbligano a mettere tutto quello che sto facendo continuamente in discussione.
Insomma, non è facile. Sto affrontando una grandissima sfida umana e professionale però ho scoperto che si può fare.
Non l'avrei mai sospettato, ma sono capace di mettere le mie esigenze e il mio ego un attimo da parte in favore di qualcun altro, e senza soffrirne troppo.
È un equilibrio delicato, a volte non so nemmeno io come possa funzionare, ma sta funzionando.
Mi sento ogni giorno più forte.
All'improvviso, la fine dell'anno non è più una luce in fondo al tunnel perché il tunnel a guardare bene è pieno di crepe e piccoli bagliori. Il tunnel è un tunnel su questo non ci sono dubbi, ma non è poi così orribile come mi era sembrato in un primo momento.