lunedì 30 luglio 2012

ci risiamo

Mentre la maggior parte di voi a questo punto sara’ in partenza per le agognate vacanze, io torno al lavoro. Quest’anno avro’ un nuovo orario e soprattutto avro’ la possibilita’ di portare il piccolo Joe con me. In teoria tutto dovrebbe essere piu’ semplice anche se non si puo’ dire finche’ non si comincia e come sempre l’inizio della scuola e’ il momento piu’ stressante per me. Ci sono tante ore extra e devo organizzarmi con una baby sitter visto che non ho nessun parente in zona.

Venerdi ho una cosa di un paio d’ore e mi hanno detto che posso portarlo, se penso che fara’ il bravo. Io non lo penso, ma lo portero’ lo stesso e gia’ mi vengono i brividi al pensiero. Oltre agli impegni stabiliti per tempo, ora e’ sbucata anche un’altra giornata di riunioni di cui nessuno mi aveva avvertito, la settimana prossima.

Mi dice la direttrice che le ‘farebbe piacere se andassi, se posso’. Insomma, mi fa capire che non e’ ‘mandatory’, in quel caso non si fa scrupoli a pigiare sul punto esclamativo.

Io posso, io ci andrei tranquillamente a farmi ore e ore di riunioni che come sempre non hanno praticamente nulla a che vedere con la mia materia. Mi rilasserei certo di piu’ che stare a casa con il piccoletto, ma… c’e’ un ma. Mi costa un patrimonio. Non capisco come il mio capo, che e’ una donna e una madre, non se ne renda conto. Se io sono a scuola -nemmeno a fare qualcosa di concreto, ma solo a dimostrare con la mia presenza il mio alto spirito per l’inizio della nuova avventura scolastica- non sono con il bimbo e se io non sono con lui devo assumere una baby sitter. Non so mai come pormi rispetto a questo problema che mi si ripresenta costantemente. Da una parte, non voglio lamentarmi per rispetto dei miei colleghi, dopo tutto tutti hanno delle esigenze, ma dall’altra in un caso cosi’ mi sembra davvero una follia che tolga tempo al mio bambino e debba pagare una cifra considerevole per fare presenza. Fossi un supermanager poi, sono solo una maestra di arte part time, non credo di essere cosi’ indispensabile.

Voi cosa fareste al posto mio? Ne parlereste? Voglio dire…e’ giusto parlarne o e’ una di quelle cose del tipo la legge e’ uguale per tutti, genitori e non? Perche’ io la rispetto questa cosa, non cerco un privilegio, vorrei solo che si tenesse in qualche modo in considerazione che ovviamente non mi e’ semplicissimo correre da una parte all’altra senza preavviso. Vorrei che mi venisse chiesto di fare quello che devo fare, non quello che sarebbe ‘carino’ e ‘gentile’ che facessi. Forse a scuola non hanno idea di quanto costino le babysitter.   

venerdì 27 luglio 2012

brutto eh

Dal pediatra (come nelle barzellette).

- Ora guarda la mamma.

Sguardo fisso serissimo da un’altra parte.

- La m a m m a, dov’e’ la m a m m a?

Niente.

Al decimo tentativo, si e’ girato verso di me con quella faccia di quando cerchi di non ridere, ma ti viene troppo e poi ha cominciato a nominare uno per uno tutti i membri della famiglia. E’ risaputo che i figli si divertono a mettere in imbarazzo I genitori, ma non credevo sviluppassero questa cosa cosi’ presto.

Poi abbiamo avuto questa surreale conversazione con l’infermiera. Non c’e’ che dire, lei sa come informare correttamente I pazienti senza seminare il panico.

- Mmmm….un bel po’ di punture, eh?

- Gia’, in Italia le zanzare sono agguerritissime…

- Beh anche qui adesso con quel virus…

- Ma quale virus?

- Eh…brutto…

- Ma brutto brutto?

- E beh si, in certi casi…ci sono stati moltissimi casi, si sta allargando a macchia d’olio…

- Ma quali sono i sintomi?

- Non lo so, l’ho solo sentito al telegiornale.

giovedì 26 luglio 2012

psicologia linguistica

Chiaccheravo con Cassandra per telefono del piu’ e del meno. Tutto tranquillo finche’ con lo stesso tono casuale, se ne esce con questa frase:

- …e poi sto soffrendo di una terribile depressione.

Avete presente quando capite le parole, ma vi fate ripetere la frase lo stesso? Mi sembrava impossibile che dicesse una cosa cosi’ intima e delicata in quel modo, poi proprio a me, insomma non c’e’ tutta questa confidenza, e invece, era proprio quello che voleva dirmi.

- Sto li’, guardo il soffitto, fuori fa caldo, mi sono resa conto che evidentemente sono molto depressa.

E poi ha ricominciato a parlare delle sciocchezze di tutti i giorni. Mi viene in mente un’osservazione che ha fatto un amico psicologo in Italia. Mi diceva che secondo lui, gli americani hanno molta piu’ familiarita’ con Ia terminologia psichiatrica rispetto a noi e mi ha fatto venire in mente un sacco di episodi capitati in questi anni.

Proprio qualche mese fa, ad esempio, una mia collega dovette correre a casa dal marito ‘malato’. Quando chiesi come stesse, mi dissero in tutta scioltezza che aveva avuto un crollo nervoso, cioe’ che quel giorno aveva cominciato a dare di matto, ma ora stava bene.

Un’altra volta, chiesi a un amico come stesse la moglie e mi disse che era un po’ depressa. Quando chiesi se fosse successo qualcosa mi rispose che it’s ok, she’s always depressed, it’s just part of who she is. Ovviamente lei non me ne aveva mai accennato.

Ci sono tante parole mediche che fanno parte del vocabolario quotidiano.

Passive aggressive, anal (vecchi traumi…), post traumatic stress disorder, bipolar, ADHD solo per nominare i primi che mi vengono in mente. Sembra che tutti conoscano una serie di psicofarmaci alla perfezione e non solo questo, anche gli effetti psicologici di farmaci comunissimi. A quanto pare c’e’ un sacco di gente che si fa di sciroppo alla ciliegia per dormire. Mi chiedo se questa sia una differenza culturale o se semplicemente qui ci sia meno imbarazzo a parlare di queste cose. In Italia, per tanti e’ un tabu’ ammettere di essere stati in terapia da uno psicologo o e’ maleducato suggerire a qualcuno di vederne uno. Voi cosa ne pensate? Il risvolto linguistico e’ comunque interessante.

mercoledì 25 luglio 2012

cose che si sentono qui sulle armi

Sbirciavo un dibattito sulla strage del cinema di Aurora, che si e’ presto trasformato in un dibattito pro o contro il diritto a tenere armi private con se’ ovunque. C’era questo tale che difendeva il diritto ad essere armati con ogni classica motivazione repubblicana. La costituzione, la liberta’, …quando succede qualcosa la polizia arriva dopo solo chi e’ coinvolto puo’ intervenire al momento e salvare la propria famiglia… e altre idiozie di questo tenore. Me lo sentivo che lo avrebbe detto, ma ancora in qualche modo speravo che non si rendesse ridicolo fino a questo punto.

- Se il cinema non fosse stata un’area dove e’ proibito entrare armati, sicuramente ci sarebbe stato qualcuno in grado di fermare l’assassino.

Sta a vedere che e’ stata colpa del cinema. Buio, fumo, confusione, panico, spari, morti. Ma ci rendiamo conto di quello che sarebbe potuto succedere se altri fossero stati armati in una situazione del genere? Quante possibilita’ avrebbe avuto un poliziotto di individuare il killer in un simile inferno? E quante una madre di famiglia come ce ne sono tante qui con la pistola in borsetta o un tizio qualunque di non commettere un tragico errore o di non farsi ammazzare a loro volta per sbaglio?

Il guaio e’ che qui ci deve essere davvero tanta gente che la pensa cosi’.

martedì 24 luglio 2012

il senso del tempo del piccolo joe

Ieri sera tardi e’ venuta a trovarmi Mrs. Monkey. Io avevo voglia di chiaccherare e lei non poteva dormire visto che suo figlio di tre anni a mezzanotte era ancora sveglissimo. Ci veniva un po’ da ridere (a lei non tantissimo forse…) perche’ sembrava lui quello che aveva appena attraversato mezzo mondo, non il piccolo Joe che invece alle otto e mezzo se ne era andato a dormire senza fiatare come se fosse sempre rimasto qui. Sembra quasi che abbia un bottoncino on/off a volte. In Italia era cosi’ felice con i nonni e gli zii che avevo paura che avrebbe sofferto nel ritrovarsi qui da solo all’improvviso, invece e’ stato subito benissimo. Questa cosa mi ha stupito. Sembrava essersi dimenticato di tutto e tutti. Invece, ora ho capito che evidentemente lui a un anno e mezzo ha un senso del tempo diverso dal nostro. Vive il presente con grande intensita’ e il passato lo lascia li’, non ci pensa, ma non lo dimentica. Infatti, quando abbiamo rivisto i nonni e gli zii su skype ha fatto una scenata tristissima. Gli parlava come se fossero davanti a lui e allungava anche le mani per passargli dei giochini o toccarli. Poi quando e’ arrivato il momento di mettere giu’ e’ stata una vera tragedia. Piangeva e strillava ogni volta che sentiva ‘ciao’. La cosa positiva e’ che a lui poi basta una distrazione minima per dimenticarsi nuovamente del computer, dell’Italia e di tutto, a noi invece e’ rimasto il nodo in gola.

lunedì 23 luglio 2012

l’odissea

Il primo aereo e’ arrivato in ritardo di tre ore, cosi’ abbiamo perso il secondo, ma siamo stati abbastanza fortunati da non dover passare la notte a New York. Peccato che anche il volo sostitutivo avesse un paio d’ore abbondanti di ritardo. Il viaggio alla fine, e’ durato 24 ore, quando si dice un’odissea, signora mia.

Anche questa volta l’equipaggio dell’American aveva un diavolo per capello. E io capisco che la compagnia va a rotoli e rischiano il posto, ma fosse anche il tuo ultimo giorno di lavoro che senso ha trattare la gente in questo modo? Bah. Ancora una volta ringrazio il cielo di avere un compagnuzzo di viaggi tranquillo. In effetti, forse il signore seduto dietro di lui, che a un certo punto e’ stato bruscamente svegliato a suon di bubu settete e risate a squarciagola, non e’ proprio dello stesso avviso, ma tant’e’. Non credo si possa chiedere di piu’ a un bambino di un anno e mezzo costretto su un aereo vecchio e piccolo per tutte quelle ore.   

Il viaggio e’ stato talmente frustrante e infinito che mi ci sono voluti un paio di giorni solo per realizzare dove fossi. Il piccolo Joe invece non ha fatto una piega. E’ tornato a casa, si e’ fatto le sue solite dodici ore di sonno e si e’ messo a giocare con il suo papa’ e i suoi giochini come se nulla fosse. Beato lui, dove lo metti sta. 

Questo mesetto in Italia e’ sembrato cortissimo a me che mi divertivo, ma evidentemente lunghissimo a Mr. Johnson che lavorava qui da solo. A casa, tutto splendeva, chi lo avrebbe mai detto, la noia, e lui che si mette perfino a pulire. E poi non solo questo, i dettagli! Le lenzuola fresche di lavatrice, i fiori sul tavolo della cucina, il mio gelato preferito in freezer, che’ lui gia’ lo sapeva che ne avrei avuto bisogno i primi giorni per coccolare l’inevitabile tristezza del rientro. Non c’e’ niente da fare, come mi conosce lui… e’ la prima volta che lo penso perche’ odio i distacchi, pero’ che bello ritrovarsi. Si e’ anche preso un giorno libero e abbiamo passato un sacco di tempo tutti e tre insieme questo fine settimana. Insomma, pian piano tutto sta tornando alla normalita’, alla mia normalita’ texana e l’Italia sembra sempre piu’ lontana ogni ora che passa.

Questa cosa e’ sempre stranissima, puoi stare li’ mesi, anni, ma appena vai via, e’ come se si spezzasse qualcosa. Cominci a non pensare piu’ a che ore sono la’, poi come a perdere l’orientamento e finisce che pian piano le proporzioni di tutto quello che succede cambiano: piu’ le cose ti sono vicine anche fisicamente e piu’ sono presenti nel tuo pensiero in un certo senso. Provia a ribellarti, ma non puoi farci niente, e’ cosi’. Non sono giorni semplici questi qui del ritorno, non lo sono mai stati e non credo lo saranno mai. E’ il momento in cui piu’ che mai la nostalgia preme e le scelte pesano, ma e’ anche giusto che sia cosi’, a ogni scelta vera corrisponde una rinuncia vera, e’ la vita.

giovedì 19 luglio 2012

penso alle zanzare

Domattina si parte, è dura. Da quando mi sono trasferita, ho scoperto che tornare in Italia è un rischio enorme. Ci sono talmente tante aspettative in un ritorno sporadico come questo che basta davvero poco perchè vada tutto a rotoli. In questi anni, qualche volta è andata bene, qualche altra volta meno bene, ma mai come in queste settimane è stato tutto perfetto. Ho avuto tutto quello che immaginavo nelle mie piu' rosee aspettative. Famiglia, amici, coccole, libertà e tantissima musica. Ora sono divisa fra l'impulso di buttarmi dritta dritta dentro a tutte queste emozioni e farmene travolgere e quello a trattenere il fiato almeno fino a Dallas. Anche perchè se piango, sull'aereo mi viene il mal d'orecchi e no, non non ne ho proprio voglia. Adesso mi metto a letto, chiamo Mr. Johnson che sa sempre cosa dirmi e poi cerco di pensare alle zanzare. Finalmente chiudo con queste maledette zanzare milanesi, non se ne poteva piu'.
 

mercoledì 18 luglio 2012

il cliente ha sempre ragione?

Qui nel quartiere dei miei, ci sono quattro o cinque negozietti che non sono stati spazzati via dalla grande distribuzione, ma che non mi sembra se la passino benissimo. A me piacerebbe che resistessero, cosi' da che' sono arrivata cerco di servirmene il piu' possibile per supportarli nel mio piccolo. Dopo tre settimane, mi dichiaro sconfitta. Ogni giorno c'è stato un problema, il culmine ieri.
Il panettiere mi ha detto di ripassare piu' tardi, il gelataio di aspettare la settimana prossima e il giornalaio ha sostenuto che a lui la mia rivista prerferita arriva un giorno dopo rispetto alle edicole del centro. 
A questo punto, se chiudessero non mi stupirei neanche un po', comprare qualcosa da loro è un'esperienza frustrante. Sicuramente questo sarà un caso limite, ma i commercianti italiani mi lasciano sempre asbbastanza interdetta quando li paragono a quelli americani. Mi pare che non tengano al cliente, che lascino un po' tutto al caso e che pensino soprattutto al guadagno immediato invece di costruirsi una clientela affezionata. Gli americani invece sono disposti a investire nel cliente, eventualmente anche a perdere dei soldi per farsi una buona reputazione. Il cliente ha sempre ragione per loro non è un modo di dire e nel bene o nel male i risultati si vedono. Certo, di negozietti piccoli purtroppo se ne vedono ben pochi, ma almeno quando devi comprare qualcosa sai che il tuo bisogno verrà soddisfatto nel migliore dei modi. In fondo, la cosa piu' importante è non perdere tempo prezioso per questo tipo di cose.

martedì 17 luglio 2012

quelli che ti chiedono se sei felice

Una cosa che mi manca in una città come Dallas è la possibilità di incontrare le persone per caso, senza mettersi d'accordo. Siamo sempre tutti in macchina da soli, non ci si vede mai. Anche Milano è una grande città però sui mezzi pubblici, nei posti...non so perchè incontro sempre qualche faccia conosciuta.
L'altra sera a una festa mi sono ritrovata davanti una persona che non vedevo da tantissimo tempo. A sedici anni, uscivamo spesso insieme, ma non mi pare fossimo queste grandissime amiche. Ricordo che a un certo punto lei si era trasferita e non avevo mai piu' saputo nulla
Quando i nostri sguardi si sono incrociati di nuovo, però è stato speciale. Siamo rimaste un secondo quasi senza fiato, completamente impreparate a quell'incontro. Ci è voluto giusto un attimo per rimettere insieme i pezzi e rivederci proprio come eravamo. E' per questo che è stato speciale, ci guardavamo e rivedevamo una versione di noi che avevamo quasi dimenticato, ma che ci riempie di tenerezza e a cui ci è piaciuto pensare in quel momento.
Ovviamente, ci siamo chieste come va, cosa facciamo ora.
Lei mi ha raccontato un attimo del lavoro e di una storia finita che la sta facendo soffrire molto. Aveva un sorriso molto triste, proprio come quando uscivamo insieme da ragazzine.
Quando è arrivato il mio turno, le ho raccontato giusto un paio di cose, dove sono, cosa faccio. A quel punto mi ha chiesto a bruciapelo se sono felice e io ho risposto di si' senza nemmeno pensarci.
Sono felice? Credo di si', se cosi' si può dire, certo che fa impressione. Nel momento in cui lo dici hai quasi paura che si spezzi l'incantesimo.

lunedì 16 luglio 2012

la sindrome dell'occhio elettronico

Leggevo qualche giorno fa questo articolo di Umberto Eco sull'Espresso e pensavo che stranamente stavolta non sono per niente d'accordo con lui. Si scaglia contro l'usanza contemporanea di avere sempre una macchina fotografica in mano e di perdere brandelli di presente nel tentativo di catturarlo attraverso l'occhio elettronico. Fino a un certo punto lo seguo. In effetti, ci sono persone che sembrano vivere solo per poter fotografare e postare su facebook o youtube, però se invece penso alla mia esperienza personale mi rendo conto che non è proprio cosi'. Mi sembra che da quando ho una macchina digitale e scatto molte piu' foto la mia memoria sia migliorata. Può darsi benissimo che come dice lui, fotografando perda qualcosa di quello che sta accadendo intorno a me, ma a me sembra semplicemente di vivere il momento in un'altra maniera, piu' personale, piu' intima. Mi piace astrarmi in mezzo a una folla e pensare un secondo a un'inquadratura. Può darsi che, come sostiene lui, in questo modo perda per un attimo il filo generale della situazione, ma anche i particolari vogliono la loro parte, sono quelli che poi mi interessano di piu'. Ho fatto pochissimi viaggi senza una macchina fotografica e, quando penso a quei viaggi rimpiango molto di non avere nessuna foto, ma solo i miei ricordi fatalmente sempre piu' sbiadidti.  
  

venerdì 13 luglio 2012

la passeggiata

Stasera sono stata in un locale al cui esterno si teneva un concerto. C'erano tantissime persone sia ferme ad ascoltare che nei dintorni a fare una passeggiata. A un certo punto una mia amica ha incontrato delle persone che conosceva e gli ha raccontato che passava la serata con me perchè partivo fra pochi giorni. 


- Dove vivi?


- In Texas.


Era la prima volta che mi veniva chiesto visto che tutti quelli con cui esco sanno da dove vengo. La mia risposta è suonata un minimo surreale perfino alle mie orecchie, potete immaginare quanto abbia potuto incuriosire l'interlocutore, che si è lanciato in una lunga serie di domande, per poi concludere:

- Ma com'è la vita li'? Cioè noi usciamo, facciamo una passeggiata... voi?

Noi no. In Texas ora come ora ci sono quaranta gradi anche la sera, non è che ti venga tutta questa voglia di passeggiare e anche se ti venisse, come succede spesso alla sottoscritta, il posto non è fatto per passeggiare piu' di tanto per strada la sera, per andare in piazza ad ascoltare un concerto o solo a bere un birra, a mangiare un gelato specialmente in questo periodo. A me pare che ai texani non piaccia molto stare fuori. Certo fa caldissimo però anche qui con tutte queste zanzare assatanate non è che sia tutto rose e fiori. La differenza è che gli italiani traggono piacere dallo stare all'aria aperta, i texani molto meno, almeno questo è quello che vedo a Dallas. Se penso alla parola passeggiata ad esempio, ho in mente una sorta di far niente, il dolce far niente, passeggiare, godersi la serata, vedere cosa succede. I Texani mi sembrano troppo pragmatici per rallegrarsi di una simile attività.  Uscire a piedi sotto casa, incontrare sempre degli amici o dei conoscenti per caso, fare una passeggiata insomma, loro non ne vedono la necessità. Bisognerebbe che qualcuno glielo insegnasse perchè poi quando vengono qui, si divertono un mondo.
 

giovedì 12 luglio 2012

ai bordi di periferia

La mattina do un cucco al piccolo Joe e ce ne andiamo insieme a comprare il pane. Mi piacerebbe tanto poterlo fare a Dallas, ma laggiu' non funziona cosi' la vita. Mi vesto in modo decente nonostante il caldo perchè non vorrei incontrare qualche vecchio fidanzato e far brutta figura, è importante lasciare un bel ricordo, no? Sono due minuti di strada a piedi e ogni giorno incontriamo qualche perfetto sconosciuto che mi chiede se è proprio lui l'americano. La nostra fama ci precede anche se in realtà lui oramai non ha già piu' nulla di americano. Parla solo, o ci prova, in italiano e ha una bisnonna che lo insegue alle quattro del pomeriggio con la pasta con i peperoni. Però quando dice ciao cosi' naturalmente mi emoziono sempre un po'. Per il resto, anche se non è assolutamente vero, durante queste nostre brevi passeggiate mattutine sembra che ben poco cambi. Il farmacista che ti incarta le medicine come un regalo, per esempio. Una volta mi sembrava normale ora mi chiedo perchè lo faccia, è un bel gesto non te lo aspetteresti da un farmacista frettoloso. Poi ci sono una serie di personaggi bizzarri che ci sono sempre stati e che restano uguali a se stessi. Il piu' misterioso è un signore che sta tutto il giorno, da almeno vent'anni, all'angolo a guardare le macchine che passano. Di solito è appoggiato alla sua bici e sembra essere appena arrivato. Mi sono sempre chiesta cosa pensi tutto il giorno li', se qualcuno lo aspetta a casa, cose cosi'. Non sembra matto. In fondo è una delle persone che ho visto piu' spesso per anni e anni e non so assolutamente nulla di lui.  
Il resto delle mie giornate somiglia a una tabella excel. Ho qualcosa da fare ogni ora e sono tutte cose belle. Vedere amici, andare in qualche bel posto, mangiare qualcosa di buono. Di questo passo, sarà davvero duro il rientro.   

mercoledì 11 luglio 2012

poi cambia il modo

Tornando, mi immaginavo di trovare piu' o meno tutti i miei amici italiani sulla rotta del matrimonio e dei figli e invece sono diventati recentemente quasi tutti single. E felici! Belli dentro e fuori, alleggeriti, consapevoli. Mi raccontano delle storie fantastiche, mille avventure. Si buttano ma senza ansia, lasciano fare molto di più al caso e vengono premiati. Giocano con il presente e il futuro con molte meno paure di prima, si prendono il bello della situazione perchè ora, a trent'annni suonati, dopo essersi crogiolati per benino in tutto il brutto che c'era in giro, hanno imparato che del bello c'è anche li', nel posto esatto in cui si trovano e che si può imparare a ridere di tutto. Hanno coraggio. 
E io sono convinta che quando ti senti cosi' è perchè la vita ti sta preparando qualcosa di buono. 

martedì 10 luglio 2012

medicina all'italiana

L'altro giorno sono stata da uno specialista. A dire il vero, avrei preferito fare altro nel mio breve soggiorno italiano, ma dall'altra parte dell'oceano ogni tanto hai come l'impressione che i medici tendano a esagerare un tantino su diverse cose. C'è un termine che senti spesso, overmedication, e a volte ti viene come il dubbio che tutta questa leggerezza nel prescrivere farmaci e vere e proprie operazioni non sia del tutto trasparente, cosi' ho chiesto un secondo parere italiano.
Quando mi sono presentata all'appuntamento, per prima cosa ho affrontato la segretaria. Il fatto che il suo modulo non fosse pensato per un indirizzo americano l'ha mandata subito piuttosto in crisi, però scoprire che il mio c.a.p. aveva lo stesso numero di cifre di quelli italiani le ha restituito quel minimo di serenità per poter proseguire senza scoppiare a piangere o avere una crisi isterica.
Una volta dalla dottoressa ho risposto di nuovo piu' o meno alle stesse domande. Mi ha chiesto un numero di telefono e quando le ho spiegato che poteva comunicare tranquillamente a mia madre i risultati dei miei esami (penso che mi potrebbe venire un infarto se un medico mi chiamasse dall'altra parte del mondo...), mi ha riso in faccia come se avessi detto un'ovvietà, ma lei probabilmente non sa che da dove vengo io sono abituata a una precisione quasi maniacale sull'argomento privacy. Ogni volta mi tocca specificare non solo a chi possono comunicare cosa in caso di mia irreperibilità, ma perfino se sono autorizzati o no a lasciarmi un semplice messaggio. 
Poi è cominciata la visita vera e propria. La dottoressa mi ha ispirato subito una grande simpatia e competenza, ma purtroppo, dopo un lungo colloquio, mi ha dato un parere pressochè identico a quello del medico americano. Quello che mi ha colpito di piu' è stato l'uso della termine scientifico 'sfiga'.     

- Figlia mia sei proprio sfigata!
- Eh che sfiga!
- Beh, che sei sfigata te l'ho già detto, no?

I medici americani di solito ti accolgono in una stanza dalle luci basse in questi casi. Ti dicono che ti devi spogliare, ti danno un lenzuolo per coprirti, tirano la tenda del separè ed escono anche dalla stanza per poi rientrare dopo qualche minuto e solo dopo aver bussato per essere sicuri che abbia avuto il tempo di spogliarti e ricoprirti con il lenzuolo. Il medico italiano è rimasto li', ma proprio li' li' continuando a parlare imperterrita senza sessun problema. Niente lenzuolo, niente tendina, luci sparate. Mi ha parlato mezz'ora mentre io ero non solo nuda, ma anche in una posizione che definire scomoda è poco. Quando doveva prendere qualche strumento o segnarsi qualcosa si appoggiava alla mia gamba con una familiarità assurda, quasi fossi una figlia o una parente. Mi sono vergognata da morire e in realtà mi sarei vergognata anche se fossimo state parenti davvero. Mi devo essere abituata troppo bene con il puritanesimo americano, cosi' mi dicono.

A quel punto è successa una cosa piuttosto misteriosa. Quel problemino per cui mi trovavo li', fotografato dal medico americano un mese prima, non c'era piu'. Se fosse confermata, una notizia pazzesca per la sottoscritta, ma come dice una mia collega...quando sembra troppo bello per essere vero, di solito, non è vero. Vedremo, intanto bene cosi', c'è molta speranza.

Alla fine, mi ha accompagnato fuori, ha avvistato subito mia madre che è una sua paziente da tanti anni e le ha spiegato tutto, ma proprio tutto tutto, in una sala d'attesa che era tutta orecchi e, se non si fosse capito, non si parlava di un raffreddore. Ecco perchè le era venuto cosi' da ridere prima, quando parlavamo della privacy...

Sono contenta di aver fatto questa visita e soprattutto che i due medici, quello americano e quello italiano, fossero d'accordo ma l'esperienza complessiva qua e là è davvero diversa e in un modo che per me oramai, dopo sei anni, è sorprendente.