mercoledì 31 dicembre 2014

just do right

Vorrei dedicare l'ultimo post del 2014 a Maya Angelou, che e' venuta a mancare qualche mese fa ed e' una delle donne che ammiro di piu' in assoluto. Ogni tanto mi metto ad ascoltare le sue interviste, dice sempre qualcosa di importante e lo dice in un modo che sembra che ti guardi negli occhi, proprio a te, che ti conosca, che sappia quello che hai bisogno di fare e di sentirti dire. Allora, lei che nella sua vita ha passato di tutto, dalla prostituzione all'alta letteratura, in uno di questi video, faceva tutto questo bel discorso sul miglioramento di se stessi, sulle difficoltà' della vita e soprattutto del vivere secondo le regole che ci si e' dati, sul valore della coerenza.
La forza dell'esempio insieme all'impatto positivo che tramite il nostro comportamento possiamo avere sulle vite degli altri, non andrebbe mai sottovalutato, me ne sono accorta in questo periodo. Poco tempo fa purtroppo, un vecchio amico mio coetaneo ha perso una gamba in un incidente e, con immenso coraggio e determinazione, per prima cosa e' andato a studiarsi l'esperienza di Alex Zanardi, quel pilota di Formula Uno che perse entrambe le gambe in un incidente qualche anno fa e che ora e' un grande atleta paralimpico. Immagino che Zanardi si sara' chiesto mille volte perche' gli sia capitata quella cosa terribile e nessuno potra' mai dargli una risposta, ma quello che ho visto e' che di sicuro, con il suo esempio sta aiutando in maniera concreta tante persone in difficoltà'.
Non tutti siamo fatti della sua pasta, ma se nel nostro piccolo, riuscissimo almeno a trasmettere qualcosa di buono a chi ci sta intorno, nel quotidiano, senza strafare, avremmo gia' fatto molto per la società.
Maya Angelou, in quel video, raccontava che quando aveva delle decisioni da prendere pensava a sua nonna che le diceva, e lo ha ripetuto guardando in camera:

You know what's right, just do right, tu sai quello che e' giusto, fallo.

Quale consiglio migliore per il futuro? Basta cercare scuse. Guardare ai fatti, usare la capacita' di giudizio che più o meno tutti abbiamo, e fare quello che c'e' da fare anche quando non e' la cosa più' semplice o conveniente perche', spiegava lei in modo perfetto, farlo soddisfa la nostra anima.

Ma si, in fondo cosa ce ne facciamo di tanti buoni propositi dimenticati il 2 gennaio? Penso che tenere a mente questa sua breve frase -You know what's right, just do right- possa bastare.

E che il 2015 sia un grande anno di crescita per tutti noi.

Auguri.


martedì 30 dicembre 2014

questioni vitali

Ho una domanda un po' strana.
Ma i ragazzini, non si annoiano piu' durante le feste? Voglio dire. Non fa parte delle feste annoiarsi almeno un po'?
No perche' ho invitato degli amici che mi hanno risposto che vengono, ma mi hanno anche chiesto se possono portare degli amichetti per i figli. Dovrei dare un'occhiata al dizionario, ma mi verrebbe da dire ciccia. Fossero stati adulti o al limite una famiglia benissimo, ma altri bambini sconosciuti che contribuiscono a smontarmi casa anche no. Pero' qualcuno mi fa presente che sto dando questo fatto della noia per scontato e che qui non e' cosi', che i ragazzini non seguono i genitori dappertutto annoiandosi durante le feste, ergo bisogna che si divertano. Ma davvero? Che devo fare?

venerdì 26 dicembre 2014

questi sono tutti i sogni che voglio fare

Il giorno della Vigilia di Natale, Joe ha scritto un'altra lettera a Babbo Natale e, con una certa gravita', l'ha definita "l'ultima".

Caro Babbo Natale,
Io ti voglio tanto bene. Babbo Natale, qualche volta io voglio giocare con te. Qualche volta, voglio portarti in un negozio per darti un po' di cibo. Babbo Natale, tu puoi anche avere un telefono per chiamarmi.
Ciao,
Joe  
Che si sia fatto l'idea che Babbo Natale sia una sorta di barbone? Chissà'. Ad ogni modo ero straconvinta che la mattina di Natale sarebbe stato al settimo cielo e soprattutto impaziente di vedere se fosse davvero passato di qui e invece...
Dopo essersi svegliato ogni mattina per più' di un mese chiedendo E' oggi Natale? quando il giorno e' arrivato, era triste, tristissimo. Diceva che c'era troppo sole e non poteva essere Natale.

- Joe, te l'ho spiegato, in Texas non nevica quasi mai.
- Ma quando ero piccolo ha nevicato a Natale...

E' vero. Due anni fa, ha nevicato proprio il giorno di Natale, ma e' stato un evento storico, ancora se ne parla. Lui giustamente ha pensato che quella fosse la norma, anche se non so, in realta' credo che fosse triste semplicemente perche' sapeva che, dopo tutta quell'attesa, Natale stava per finire, e come dargli torto. Ci abbiamo messo un'ora giusta o qualcosa in piu' a convincerlo ad andare a controllare se c'erano dei regali sotto l'albero, ma una volta entrato nell'atmosfera, si e' completamente dimenticato della neve e si e' divertito come un matto. Quando ha finito di aprirli tutti, e' corso in camera sua a prendere un disegno che aveva fatto il giorno prima e a cui mi aveva chiesto di attaccare un fiocco.

- Ecco questo e' per mamma e dada.

- Che bello, grazie! Che cosa hai disegnato?

- Questi sono tutti i sogni che voglio fare.


Questi sono tutti i sogni che voglio fare.

Caro Babbo Natale, 
Posso chiederti anch'io qualcosa? Ma non lo possiamo fare rimanere cosi' ancora per qualche anno questo bambino? No perche' davvero... e' meraviglioso. 

mercoledì 24 dicembre 2014

questo e' perche' non nevica


E cosi', ho spiegato a Joe che molto probabilmente non nevichera' a Natale perche' viviamo in Texas e qui non nevica quasi mai, nemmeno a Natale. Lui non ha detto nulla, deve essere stato un duro colpo. Il giorno dopo, pero', e' arrivato con in mano un pezzo del suo puzzle degli Stati Uniti.

"Ecco guarda. Questo e' perche' non nevica."

Messaggio ricevuto, forse.



Nonostante tutte le lettere, Joe ha sempre rifiutato di andare a incontrare "Babbo Natale" al centro commerciale come si usa qui. Rispondeva di preferire che venisse di notte senza farsi vedere, credo ne fosse un po' intimorito o forse e' solo che ha gia' capito che ce ne sono un po' troppi in giro di Babbi Natale. Ad ogni modo, l'altra sera, siamo stati in questo parco un po' magico e casualmente abbiamo ne abbiamo incontrato uno, da lui subito individuato come "quello vero".
Quando questo bellissimo signore barbuto, gli ha chiesto che cosa volesse per Natale, la sua risposta e' stata...

I love you so much, ti voglio tanto bene.

Dopo averglielo scritto per mesi, finalmente e' riuscito a dirglielo di persona. Babbo Natale lo ha abbracciato e gli ha detto I love you too, you are a very good boy ed e' stato proprio un gran momento per Joe, credo se ne ricordera'.

Buon Natale.

  

martedì 23 dicembre 2014

cereali seriali

Tutti parlavano di questo "cereal", la storia a puntate di un omicidio e io pensavo fra me e me... bello pero' che strano, perche' chiamare la storia di un omicidio a puntate "cereali"? Boh, fara' parte del mistero. 
Dopo un mese ci sono arrivata. 
Era "serial" non "cereal".
Trattasi di parole omofone. 
Che vitaccia.
Poi ieri ho anche conosciuto una tipa francese senza accento. 
Vitaccia, vitaccia.

lunedì 22 dicembre 2014

favori a pagamento

Domani vado dal medico e preferisco non portare Joe. Visto che la mia migliore amica abita proprio li' vicino e non dovrebbe essere una cosa lunga, le ho chiesto se per un'oretta Joe puo' stare da lei. Lei e il marito non ci saranno, ma i suoi figli si' e Joe puo' stare con loro visto che il maggiore ha tredici anni ed e' molto responsabile. I bambini sono cresciuti insieme come e piu' che cugini, passeremo insieme anche questo Natale come tutti gli altri e, per la prima volta, trattandosi di una cosa cosi' breve, mi e' sembrato piu' naturale e semplice rivolgermi a loro invece che cercare una babysitter.  

Ecco, qui arriva il piccolo scoglio. Culturale, suppongo, oppure ditemi voi.

- Fantastico, lo paghero' e sara' contentissimo di fare da baby sitter per Joe!

E' inutile che ve lo spieghi: era chiaramente un modo per dirmi di pagare suo figlio e a me questa cosa non piace. Non e' per i soldi, ma proprio perche' non mi piace il principio. Forse ho sbagliato, ma io gli ho chiesto un favore (che fra l'altro mi viene offerto da anni), non gli ho offerto un lavoro.

Mi sono rivolta a Mr. Johnson per capire un po' meglio la situazione e lui mi ha criticato aspramente per i miei dubbi. Ha detto che forse non e' stato elegantissimo suggerirlo, ma che e' del tutto normale e che si pagano sempre i figli degli amici per tutti i lavoretti. Che si fa per responsabilizzarli e per farli sentire importanti.

Discorso che ci sta e fila perfettamente, ma che vi devo dire? Non sono abituata cosi'. Le cose si fanno anche gratis, soprattutto fra amici. A me sembra che giri sempre tutto intorno ai soldi qui.

sabato 20 dicembre 2014

caro babbo natale...

E' successa una cosa buffa un po' di tempo fa. Vi ho gia' raccontato quanto Joe ami "scrivere" lettere. E' stato abituato a farlo sin da molto piccolo. Per fargli sentire i nonni e gli zii piu' vicini, abbiamo sempre avuto una piccola stazione di biglietti, francobolli e buste pronta in un angolino della cucina, cosi' ogni qualvolta avesse sentito l'esigenza di raccontargli qualcosa avrebbe potuto farlo senza problemi. Come quando ha avuto un piccolo problema a scuola e per prima cosa, ha scritto alla nonna "Cara nonna, oggi ho fatto un incidente...". Oltretutto qui le lettere si imbucano nella propria cassetta della posta, quindi e' proprio un attimo: scrivi, affranchi, corri in giardino e spedisci. Lui ha capito subito il meccanismo e gli e' piaciuto anche.
A un certo punto, pero', l'estate scorsa, ha cominciato, a scrivere anche a Babbo Natale aspettandosi senza nessun dubbio che Babbo Natale -logicamente- rispondesse.
Cosi', quel giorno, ho ragionato per circa dieci secondi su chi potesse essere il miglior candidato a rispondere alle lettere di Babbo Natale e sono arrivata a un unico nome, quello della zia di Joe, mia sorella, che avrebbe subito capito lo spirito dell'idea e che avrebbe fatto questo gioco con noi riempiendolo di divertimento e fantasia come solo lei sa fare.
Ed e' andata proprio cosi'. E' da mesi che va avanti questa bellissima corrispondenza fra Joe e la babba  Babbo Natale. Ed e' stupendo, anche se Babbo Natale e' un po' disperato perche' sembra che per Joe, la cosa piu' ovvia, scrivere che regalo vorrebbe ricevere per Natale, sia una questione del tutto marginale e lasciata al caso. A parte quella volta che ha disegnato e chiesto "una macchinina con il telecomando che dentro si puo' guardare i cartoni", lui a Babbo Natale, ci tiene solo a raccontare delle cose.
Una volta Babbo Natale gli ha detto di aprire un certo cassetto in camera sua e dentro c'era la "palla del sorriso". Ogni tanto quando ne combina una e non sono molto contenta di lui, mi porta la palla del sorriso. Che furbastro.
Tutte le mattine da un mese si sveglia ed esclama:
- Mamma! Oggi e' Natale?!
Poi io gli dico di no e lui mi risponde:
- Aspetta che vado a vedere!
Allora, si precipita alla finestra a controllare se c'e' la neve. Suppongo sia convinto che a Natale nevichi sempre o forse che quando nevica e' Natale. Non ha ancora capito o accettato che non viviamo in Austria, ma in Texas, poverino.
E' bello vedere quanto sia cresciuto in questi pochi mesi attraverso questi suoi pensieri e i disegni. L'ultima lettera, quella che ha scritto ieri sera, mi ha fatto un po' commuovere. Dice:

"Caro Babbo Natale,
Ti voglio tanto bene. Buon compleanno Babbo Natale. Quando sono grande e forte, io vengo con te. Puoi ricevere anche tu i regali. Ma qualche volta devo venire via da te perche' devo essere con la mia mamma e il mio dada. 
Ciao, Joe"   

mercoledì 17 dicembre 2014

lady oscar e le altre

Come forse sapete in inglese e in modo particolare in questo paese, i nomi propri di persona, sono intesi in modo molto diverso che in Europa. La classica domanda 'che cosa significa il tuo nome?' qua suscita un vago senso di sconcerto perche' presuppone un'idea a cui molti non hanno mai pensato e cioè che un nome debba o possa significare qualcosa. La maggior parte delle volte i nomi vengono scelti semplicemente in base al suono. Tanto e' vero che e' del tutto normale inventarli di sana pianta o usare cognomi come nomi (Jackson, Carter, Madison, Addison, Riley,...). Non lasciano mai indifferenti, i nomi tipicamente afroamericani, i cosiddetti 'ghetto names'. Sono nomi particolarissimi, caratterizzati da strani suffissi ('La', 'De', ...) o da segni di punteggiatura piazzati un po' a caso in mezzo alla parola. Qualche esempio. LaTanisha, JaMarcus, DeAndre, Demarco, Shaniqua, D'brickishaw, LaKeisha. Sono buffi, non c'e' niente da fare, ma e' probabilmente molto piu' utile approfondire un po' il discorso e capire da dove nasca e come si sia evoluta questa usanza che fare la solita ironia da quattro soldi. 
Fino agli anni Sessanta, i neri si servivano di nomi classici inglesi, poi con la nascita del movimento per i diritti civili si e' puntato alla differenziazione per superare quello storico senso di inferiorità' che era un riflesso della schiavitù'. Inizialmente si e' fatto ricorso a nomi africani, ma nel giro di qualche decennio, soprattutto dagli anni Ottanta in poi hanno cominciato a spopolare i nomi inventati. I nomi inventati, tra l'altro, sono comuni anche fra i bianchi (Jayden, tanto per citare il primo che mi viene in mente), ma nessuno li ha mai presi in giro per questo e anche questo e' un aspetto controverso della questione.   
Ad ogni modo, in inglese, ci sono anche tantissimi nomi unisex. Ashley, Tyler, Alex, Drew, Cameron, Casey, Harper, Jamie, Joey, Leslie, Robin, Sam, Sidney, Terry, solo per citare i piu' comuni, possono riferirsi a uomini o donne. Mi sono sempre chiesta il perche' e me lo ha spiegato oggi un'amica. Mi ha detto di aver dato alla figlia un nome maschile semplicemente perche' non voleva fosse discriminata, in caso le fosse interessato lavorare in un campo tipicamente maschile. Finalmente una vera spiegazione. Troppo facile dare sempre la colpa alle mode, all'ignoranza e alla poverta'. Tra l'altro, la mia amica e' afroamericana e ci ha pensato davvero bene a questa questione del nome. E' stato dimostrato che lo stesso curriculum firmato con un 'nome del ghetto' ha il 50% di possibilita' in piu' di essere rifiutato. Cosi lei per sua figlia, volendo andare proprio sul sicuro, non solo ha scelto un nome tradizionale, ma anche maschile.  
Sul motivo per cui vengano assegnati nomi femminili a esponenti del sesso opposto, ancora non ho avuto nessuna illuminazione purtroppo. Ma l'argomento mi appassiona sempre e continuero' a indagare.
Per il momento, penso che mi accontentero' della spiegazione data dal padre di Sue, con una pistola puntata in faccia. Ah, cosa farei senza Johnny Cash.


domenica 14 dicembre 2014

negozi di animali che promuovono le adozioni

Qui i negozi di animali non vendono cani e gatti, ma aiutano a far adottare i randagi, atteggiamento di grande civilta', a mio parere. Quindi, ieri passando davanti a uno di questi negozi mentre i volontari del canile cercavano di piazzare un po' di cani stupendi, mi sono ricordata tutta la gioia e l'emozione di incontrare i miei due amici tanti anni fa. A volte dopo tanto tempo, ti abitui talmente tanto a loro che quasi non vedi piu' l'essenza di quello che ti danno. Dai un po' per scontato tutto quell'amore incondizionato, quell'allegria, quella tenerezza. Una cosa che non sapevo all'epoca, e' che poi, tante volte, se i cani sono li', e' perche' hanno subito delle gran brutte cose nella vita e se un cane ha sofferto, purtroppo puo' capitare che le conseguenze se le porti addosso per sempre sia a livello fisico che psicologico. E' una cosa da considerare prima di imbarcarsi in una simile avventura. Vi faccio un esempio pratico. La nostra porta del garage rotta per quattro giorni e' stata una prova durissima per quella povera Ragazzina. Uno ci ride su, ma per lei il fatto che uscissimo e entrassimo da porte diverse era terrorizzante, e' stata molto male in questi giorni. Ogni cambiamento la spaventa a morte. 
Insomma, magari a volte rimangono un po' mattarelli come la Ragazzina, altre, lo vediamo noi con Mr.Bubu, si trasformano nel prototipo del cane perfetto, ma ti amano sempre in una maniera che mai nessuno.
Eh si. Ci siamo fatti un grande favore il giorno che ce li siamo andati a prendere.

venerdì 12 dicembre 2014

il daltonismo degli angeli

Ripenso a una scena che ho visto stamattina a scuola. C'era la recita di Natale e una nonna arrivata in anticipo, curiosava fra i lavoretti dei bambini appesi fuori da una classe.
Io ero li' a fare altro e ho visto che dopo un po' la maestra l'ha notata e le ha indicato il lavoretto della nipote. Tutto qui.
In un secondo momento, ho dato un'occhiata anch'io perche' quella maestra, per la prima volta, aveva preferito appendere questi lavori invece di quelli che avevano fatto con me e volevo capire perche', cosa avessero di migliore. Si tratta di angioletti di Natale con le ali fatte di centrino di plastica. Deve essere un classico perche' li vedo ovunque, li ha fatti anche Joe all'asilo.
Va bene, i miei alberelli alla Andy Warhol non saranno stati impeccabili (anche perche' li hanno fatti i bambini non la maestra) ma questi qui erano...completamente omologati! Una serie di angeli biondi con gli occhi azzurri identici e indistinguibili.
La nonna in questione era afroamericana, la nipote ha la carnagione estremamente scura. Ecco, assistendo a questa scena, mi sono chiesta che cosa le abbia suscitato una rappresentazione del genere. Forse niente, forse e' talmente abituata a queste cose che non ci fa nemmeno caso. Eppure se non ci fa caso lei, dovremmo farci caso noi come insegnanti. Per me queste piccolissime situazioni, in realta' hanno una loro dignita'. Perche' non fare lo sforzo di offrire la possibilita' ai bambini di rappresentarsi come si vedono? Invece di dargli solo i fogli rosa, gli dai anche quelli marroni, ce li abbiamo in un sacco di sfumature, non e' complicato.
Oltretutto la bambina in questione, durante la recita, era vestita da angelo. Come si sara' sentita? Avra' notato di non corrispondere per niente all'idea che la maestra ha degli angeli, a differenza delle altre sue compagne di classe?
Ma poi, scusate, che ne sa la maestra di come sono fatti gli angeli?
A me piacerebbe fare tante cose a scuola in questo senso, ma a volte mi pare che qui la scelta nell'affrontare i discorsi legati alle tematiche multiculturali siano fondamentalmente due: fingere di essere daltonici, mettere a fuoco le citta'.
 

mercoledì 10 dicembre 2014

gioie del bilinguismo

Joe in questo periodo mischia le parole. Parla sempre italiano, ma ogni tanto si incasina. Per dire 'ho dimenticato' dice 'ho forgato' (forget+ dimenticato). Per dire 'oggi' dice 'questo giorno' (sua traduzione letterale di 'today'). A volte mi fa morire al ridere.
- Joe non si dice 'questo giorno' si dice 'oggi'
- Ma questo giorno 'meansica' (mean+significa) oggi!
Lo ammetto, non lo correggo quasi mai.

martedì 2 dicembre 2014

quando la festa finisce

Fra qualche giorno e' il compleanno di Joe e gli sto organizzando una minuscola festa.
Le feste di compleanno dei bambini piccoli qui hanno una serie di caratteristiche comuni. Innanzitutto, coinvolgono tutti i genitori, anche quelli degli invitati, dal momento che purtroppo a quell'eta' non e' consentito accompagnarli e poi tornare dopo un paio d'ore a riprenderseli. I suddetti genitori, perfetti estranei, si ritrovano cosi', con evidente disagio e birignao, a cercare di intavolare debolissime conversazioni per riempire i silenzi. C'e' il genitore tappezzeria e quello che cerca di fare lo splendido, ma tutti in genere manifestano chiaramente sul viso un unico sentimento: quello di trovarsi altrove.
Queste feste, o almeno quelle a cui Joe viene invitato di solito, si svolgono raramente nei giardini delle case, mai dentro le case ho visto, e più' comunemente in qualche locale pubblico. A volte la festa di compleanno e' in un ristorante, altre in un museo, in uno zoo, un parco... c'e' un'enorme varietà' di posti e attività' ricreative a cui abbinare una festa di compleanno.
Le tre feste di compleanno di Joe, sono state molto simili fra loro, ma di tutt'altro segno. Tanto per cominciare, non ho mai invitato i suoi amichetti dell'asilo in blocco, ma solo i bambini con cui so che si trova bene a giocare, cioe' quelli con cui lo vedo giocare, i figli dei miei amici. Le sue, sono sempre state feste molto all'italiana direi. Sempre a casa. I bambini giocavano in una stanza e i genitori si intrattenevano e facevano festa anche loro in un'altra. Poi una bella torta, normale, fatta in casa, e tanti auguri a te.
So che un giorno, Joe arrivera' con un desiderio speciale per la sua festa e se sara' possibile lo accontenterò', ma non ho mai avuto la necessita' di affrettare i tempi. Ho sempre pensato... se anche noi possiamo divertirci con i nostri amici mentre lui si diverte con i suoi perche' andare a complicarsi la vita?
Le feste di compleanno a cui andiamo di solito, hanno quasi sempre un sito, degli inviti postati, stampati, spediti e tante volte anche un biglietto di ringraziamento con relativa foto della festa o del festeggiato che ti arriva a casa dopo un paio di giorni. Ecco, io finora ho chiesto alle persone se volevano venire, tutto qui. A me sembra normalissimo, ma se ti trovi in una realta' in cui non lo e', possono sorgere dei malintesi.
La cosa che mi fa piu' ridere, ad esempio, e' che alcuni non si rassegnino all'idea che alle feste di Joe non ci sia un orario di fine, ma solo di inizio.
C'e' una persona che mi ha sfiancato l'altro giorno.
- A che ora finisce la festa?
- Non lo so.
- Si ma a che ora finisce?
- Non lo so.
- Due ore? Tre? A che ora hai detto agli altri che finisce?
- Facciamo cosi': finisce a mezzanotte e voi tornate a casa quando ne avete voglia.

Alcuni penseranno che sono strana forte, ma io agli orari di fine delle feste non mi rassegno, gli ospiti non li metto alla porta a tempo scaduto. Tra l'altro, le cose piu' belle succedono proprio quando si va avanti e a nessuno sovviene di guardare gli orologi.
Mi e' venuto in mente un ricordo bellissimo. D'estate, al mare, i miei facevano spesso tardi con i loro amici, cosi' tardi che tante volte scattava la mitica spaghettata di mezzanotte. Se chiudo gli occhi posso perfino sentire il sapore di quell'aglio, olio e peperoncino nei piatti di plastica. Sembrava tutto piu' buono a quell'ora perche' era un'eccezione, uno strappo alla regola, un gesto di liberta', una prova di quanto si apprezzasse la compagnia reciproca. Sono anche queste le esperienze che uniscono le persone, no? Casualmente ci e' successo qualcosa di simile proprio lo scorso fine settimana qui, con degli amici americani. Abbiamo fatto talmente tardi che verso le tre abbiamo deciso di concederci una specie di seconda cena. Ed e' stato bellissimo, nessuno si e' lamentato di niente.
Come sempre vivendo all'estero, la cosa piu' difficile, e' mantenere un equilibrio fra chi sei e chi ti fanno credere che tu debba essere per essere accettato.

No, in questo caso, mi rifiuto: l'orario di fine festa per me non esiste.

Relax everybody.

mercoledì 26 novembre 2014

la realta' e' bellissima?

La maestra mi ha raccontato ridendo che, avvicinandosi il giorno del Ringraziamento, ha chiesto a tutti i bambini per che cosa fossero riconoscenti. Joe ha risposto 'sono riconoscente per la pizza'.
A lei e' sembrata una frase sconclusionata e buffa, to' guarda, al bambino italiano piace la pizza. Invece io l'ho trovata molto bella. Noi facciamo la pizza insieme, una volta alla settimana ed e' una festa. E' diventato un rito, la cosa che piu' ci divertiamo a fare insieme. E lui, tra l'altro, ormai e' diventato bravissimo. Mi suggerisce gli ingredienti e fa la sua pizza 'tutta da solo'. Si sente grande e vede subito il risultato del suo lavoro, anzi se lo pappa che e' ancora meglio.

Ieri notte Joe e' arrivato da me tutto spaventato.
Ricordo che quando avevo un incubo da bambina urlavo e piangevo, invece lui no. Viene sempre zitto zitto, mi fa toc toc con il ditino per svegliarmi e mi dice a bassa voce:
- Mamma, ho fatto un brutto sogno.
- Mi dispiace Joe, cosa hai sognato?
- Ho visto un mostro.
- Ma tu lo sai che i mostri li vedi solo nei sogni, vero? Basta aprire gli occhi e - guardati intorno - la realtà' e' bellissima.
Ecco, assonnata com'ero, tra l'altro anch'io stavo avendo un incubo, e' un periodo che sono un po' agitata, la prima cosa che mi e' venuta da dirgli e' stata questa: la realta' e' bellissima.
Mi sono appena svegliata ed e' la prima cosa che mi e' venuta in mente anche adesso: la realta' e' bellissima. O meglio, la realta' e' bellissima? Perche' a volte diciamo delle cose, quando ci svegliano nel mezzo di una notte tempestosa, che possono essere magari leggermente sbrigative.
Ma non importa perche' ora partiamo per il nostro tour di nonne e bisnonne in varie citta' e paesini del Far West e mi sembra un buon pensiero da tenere a mente nella cosiddetta settimana del Ringraziamento.

E poi tutto questo mi ha fatto ricordare, la canzone che forse piu' mi fa pensare a Joe, quella che parla proprio di un bellissimo bambino che ha sognato un mostro. Il suo papa', John Lennon, gli dice
Before you go to sleep Say a little prayer  
Every day in every way It's getting better and better  
Ogni giorno, in ogni modo, andra' sempre meglio.

domenica 23 novembre 2014

discussioni costruttive

Ms. Guorton, quest'anno e' la maestra di Joe, e mi parlava dei suoi disegni. E' un periodo che fa delle lettere in cima alla pagina e il disegno in basso. Se gli chiedi che cos'e', lui ti spiega che le lettere sono una storia e te la racconta. Pero' se indichi una singola lettera e gli chiedi cos'e', ti dice il nome della lettera.
Allora. Lei sostiene che non sono lettere, ma disegni a forma di lettera e che c'e' un bellissimo libro che dovresti leggere a riguardo, darling. Ma giuro che non capisco la logica. Se io faccio una 'acca' e poi spiego che e' una 'acca' ho scritto una 'acca', se un bambino fa lo stesso, ha fatto un disegno a forma di 'acca'?
Tutto questo mi ha fatto capire che Ms. Guorton forse sta meglio, i capelli sono ricresciuti e stiamo ricominciando a discutere come ai bei vecchi tempi. Sono contenta.

mercoledì 19 novembre 2014

l'ironia della sorte

Mi raccontava una mia amica texana prima che quando frequentava il liceo, con dei compagni mise in piedi uno spettacolo teatrale. Si trattava di una riduzione di Grease.
Il preside approvo' tutto tranne un dettaglio: a un certo punto un personaggio femminile ha paura di essere rimasta incinta. Ecco, lui reputo' questo contenuto un po' troppo forte per i suoi studenti e impose che il personaggio fosse si' sconvolto, ma a causa del divorzio dei suoi genitori.
E' un piccolissimo aneddoto, ma dice davvero tanto di una certa famigerata mentalita' texana. Devo dire che in tutti questi anni ben poche volte ho conosciuto persone capaci di simili gesti, pero' ogni volta che sento queste storie mi cascano le braccia.
Che ipocrisia.
Ironia della sorte poi, la ragazza che interpretava quel personaggio rimase incinta proprio durante il liceo e fu costretta ad abbandonare la scuola su caloroso suggerimento di quello stesso dirigente scolastico.
Forse era meglio parlarne, no?

lunedì 17 novembre 2014

scambi culturali

Una mia amica fa l'insegnante in Italia e mi ha raccontato che la sua collega di arte ha fatto un lavoro bellissimo. Allora le ho chiesto di mandarmi qualche foto, e' molto piu' semplice vedere che spiegare tutto il procedimento via whatsapp. E qui e' successa una cosa strana: lei ha dovuto chiedere il permesso alla collega e la collega alla preside. Tutto questo per fotografare dei disegni e non dei bambini. Mi e' sembrato un eccesso di privacy, per cosi' dire. Non e' mia abitudine, ma vedo che qui gli insegnanti pubblicano tranquillamente tutto, anche le foto dei bambini a meno che non abbiano richiesto in modo esplicito di non essere fotografati all'inizio dell'anno.
Ad ogni modo, da questo e' nato qualcosa di positivo perche' la preside, a quel punto, ha avuto un'idea: avviare uno scambio culturale fra una delle loro classi in Italia e una delle mie qui in Texas.
Il motivo per cui vi racconto tutto questo e' che credo che la mia preside ne sara' entusiasta, quando glielo raccontero', ma a lei o al resto dei miei colleghi non sarebbe mai e poi mai venuto in mente. Ci manda a fare un sacco di corsi di aggiornamento, ma in tutti questi anni, non ho mai sentito parlare di mediazione culturale in nessun modo. Eppure abbiamo avuto diversi bambini che sono arrivati da altri paesi e che all'inizio non parlavano nemmeno inglese. Mi da' l'idea di essere semplicemente una di quelle cose di cui non si parla perche' "non ce n'e' bisogno". Come se fosse ovvio che ci sia rispetto e integrazione per tutti. Ma e' proprio cosi'? 
Suppongo, da quello che ho visto qui e li', che un bambino rumeno o albanese in Italia, possa avere piu' difficolta' con i compagni e perfino con qualche insegnante forse, rispetto a un bambino messicano o cinese qui, pero' la realta' fuori dalla scuola, come tanti fatti di cronaca dimostrano, non e' necessariamente cosi' rosea (v. Ferguson, Missouri). Io credo che parlare di certi temi in classe, non sia mai superfluo e che dare per scontato che tutti sappiano e tutti condividano determinati valori possa essere un grave rischio.  
Me ne sono resa conto proprio io stessa l'anno scorso e per questo ho apportato dei cambiamenti al mio programma. Ve l'ho raccontato, a un certo punto ho avuto la sensazione che alcuni bambini apprezzassero molto quando si parlava dell'arte del loro paese d'origine o che altri si sentissero in qualche modo a disagio con la rappresentazione dei loro tratti somatici o di un'idea di bellezza magari un po' distante dai canoni a cui siamo abituati in classe (facciamo per lo piu' arte occidentale, Europa e Stati Uniti). Quando all'inizio dell'anno ho chiesto a tutte le classi se qualcuno fosse nato in un paese fuori dall'Europa o dagli Stati Uniti, c'e' stato un bambino che ha mentito e anche altri che non mi sono sembrati particolarmente felici di condividere quest'informazione. Le questioni e il razzismo esistono ovunque, i bambini lo sentono, anche solo indirettamente. L'approccio italiano mi piace di piu': parlarne sempre e sforzarsi di trovare modi creativi per farlo attraverso attivita', laboratori, scambi culturali e quant'altro. 
La mia esperienza, quando dico Italia in questo post, e' per lo piu' Milano. So che e' una grande citta' e che di sicuro nel piccolo paesino sperduto a nord o a sud non si faranno tutti questi laboratori multiculturali e discorsi sull'integrazione. Pero' anche Dallas e' una grande citta', eppure di tutto questo non ho mai sentito parlare. Quello che si comincia a fare nelle grandi citta' poi di solito, dopo qualche anno, arriva anche piu' lontano, ma se nessuno comincia, si rimane sempre fermi. Non mi importa se sono l'unica nella mia scuola: visto che ho la liberta' di farlo io vado avanti anche qui per questa strada, usando la storia dell'arte per far passare valori importanti. 
La scuola deve preparare prima di tutto alla vita. 

giovedì 13 novembre 2014

tutto scorre

Lo scorso fine settimana sono stata a San Antonio per la conferenza degli insegnanti di arte del Texas. E' un evento che aspetto sempre con grande entusiasmo. Innanzitutto per me significa, una volta l'anno, avere a che fare con altre persone che fanno il mio stesso mestiere. Sono l'unica insegnante di arte nella mia scuola e non ho mai il privilegio di potermi confrontare nel merito del mio lavoro. E poi c'e' la piacevolissima sensazione di essere finalmente nella propria tribu'. In albergo c'era una fila lunghissima per il check-in e tu capivi immediatamente chi erano i clienti normali e chi gli insegnati di arte. I primi entravano e si mettevano in fila, i secondi andavano a toccare il fantastico mosaico all'ingresso dell'hotel e poi si mettevano in fila.
La conferenza in se' e' organizzata piu' o meno come l'universita'. Tante diverse lezioni e laboratori dalla mattina alla sera e anche tanti espositori che vendono e lasciano provare ogni tipo di materiale artistico. E' molto divertente.
Quest'anno, per la prima volta, ho presentato anch'io una lezione. Mi stupiva, l'anno scorso, il fatto che nessuno parlasse di quello che insegno io e cosi' questa volta ho deciso di lanciarmi e di condividere la mia esperienza che suscita sempre tanta ammirazione nella mia scuola. Ho studiato tanto, forse anche troppo considerato il livello generale, pero' sono contenta di averlo fatto.
Per un paio di mesi mi sono sentita un po' come ai tempi dell'universita', prima di un esame importante, con un solo pensiero in testa giorno e notte. Tanto e' vero che non sono convinta che una lezione fosse sufficiente a esprimere tutto e sto pensando magari a un lavoro piu' articolato, ma chissa' se ne avro' mai il tempo.
Dicevo che il livello non mi sembrava altissimo perche' a fronte di tanta passione per il proprio lavoro e tanta laboriosita', ho visto anche quest'anno, poca sostanza. C'era chi distribuiva regali per avere piu' ascoltatori e non mi e' piaciuto. Un laboratorio banalissimo su come costruire un braccialetto con dei bottoni di plastica aveva la coda fuori dalla porta invece il tizio che si e' azzardato a parlare, che so, di arte digitale o di prospettiva aveva quattro persone di numero.
Di sicuro la mia forma mentale (il liceo classico prima e l'universita' in Italia e in Spagna poi), mi condiziona nel giudizio, pero' mentre ero li' mi chiedevo: a che accidente serve insegnare a fare un pupazzo di neve, una spilla di pezzi di vetro o, che so, una cupcake di carta e vernice? Divertente, magari, non dico di no, ma cosa stiamo insegnando veramente? Un conto e' insegnare una tecnica artistica, ma a cosa serve limitarsi all'oggetto? Il famoso lavoretto senza un'idea dietro?
Ecco, c'erano tante lezioni cosi', un po' povere di contenuti secondo me.
La mia riguardava quello che faccio, insegnare la storia dell'arte alle elementari, e cosi' sono andata a vedermi tutte le altre lezioni di argomento piu' o meno simile. In effetti, ce n'era qualcuna di storia dell'arte, ma solo a partire dalle superiori. Sono rimasta stupita.
Da una parte in positivo perche' gli insegnanti dimostravano un trasporto eccezionale verso il proprio lavoro e idee davvero originali. In generale, proponevano un insegnamento molto dinamico, fisico. C'era qualcuno che raccontava di insegnare la storia dell'arte attraverso lo yoga, per dire. Per tutti il filo del discorso era: dobbiamo inventarci qualcosa o questi ragazzetti qui muoiono di noia. Guardate un po' quanto e' grosso il libro di storia dell'arte, non glielo faccio nemmeno portare a casa.
E quando dicevano cosi', io pensavo al mio famigerato vocabolario di greco, che con la potente muscolatura di cui gia' a quattordici anni ero dotata, mi sono trascinata ovunque. Erano altri tempi, si', ma non so. Mi ha impressionato questa assoluta indisponibilita' ad accettare l'idea che i liceali, ragazzi dai quattordici ai diciotto anni, possano semplicemente sedersi, ascoltare e, una volta a casa, aprire il loro bel librone e leggerlo. E magari innamorarsene, perche' no?
Forse sono troppo all'antica, pero' non tutto e' gioco, altrimenti si rischia di non avvicinarsi mai alla sostanza delle cose.
Per questo ero preoccupata della reazione che avrebbero avuto alla mia presentazione, qualora qualcuno si fosse fatto vivo. Insegno alle elementari e il mio programma e' pieno di gioco, pero' in fondo e' anche molto serio, ha degli obiettivi e delle metodologie precise.
L'inizio e' stato un po' drammatico. La sala si e' riempita in fretta, segno che l'argomento ha almeno destato curiosita', ma appena ho cominciato a parlare Joe, si' proprio lui, ha cominciato a parlare ad alta voce sopra di me. Queste situazioni fantozziane e per niente professionali che le madri lavoratrici conoscono fin troppo bene. Poi c'era questa tizia in seconda fila che aveva gli occhi socchiusi e che ogni volta che aprivo bocca si circondava l'orecchio con la mano, dandomi l'impressione di fare una fatica enorme a sentirmi. Non mi usciva la voce. Dopo i primi drammatici istanti, pero' mi sono ripresa e mi sono anche divertita. Perche' e' bello comunicare le proprie scoperte e le proprie passioni, davvero tanto.
Mi porto a casa due cose da questa esperienza. Alcuni occhi che ho visto un po' spalancarsi mentre parlavo e che non mi hanno mai lasciato sola un minuto fino alla fine. Questa sensazione impagabile di avere aperto un piccolo varco di nuove possibilita' nella mente di qualcuno.
E la seconda cosa e' una frase a cui non pensavo da tanto tempo, che mi e' stata ricordata da un vecchio compagno di liceo, qualche settimana fa, in occasione della morte prematura del nostro amato professore di greco. Mi disse ricordati panta rei, tutto scorre. Ed e' a questo che ho pensato prima di mettermi a fare la mia lezione, mentre passeggiavo un po' in crisi sul lungofiume di San Antonio.
Tutto scorre. Non bisognerebbe mai dimenticarlo.


  

lunedì 3 novembre 2014

niente furti

Il parente di un'amica ha subito un furto piuttosto spaventoso nei giorni scorsi a Parigi. Quattro o cinque uomini gli hanno svaligiato casa, nel cuore della notte, mentre lui e il resto della sua famiglia erano presenti in un'altra stanza e si sono accorti di tutto.
Ho sentito racconti simili mille volte anche da parenti e amici a Milano.
Qui invece niente del genere, mai. Vivo qui da otto anni e non conosco nessuno che sia mai stato derubato. 

Proprio stasera -per darvi un'idea della situazione- e' successo che i nostri vicini uscissero e dimenticassero la porta del garage aperta. Dato che lasciare la porta del garage aperta, per come sono costruite le nostre case, e' come lasciare la porta di casa spalancata, li ho chiamati immediatamente per avvertirli e permettergli di tornare indietro a chiudere prima che si allontanassero. Mi hanno ringraziato, ma non devono essersi per niente preoccupati, visto che sono passate diverse ore, e' notte, e il loro garage e' ancora aperto. 

In compenso qui si sentono altre storie. Pare che l'altro giorno, ad esempio, in un quartiere di quelli poco rassicuranti qualcuno abbia cercato di scippare una signora e il marito gli abbia sparato e lo abbia ucciso. 

Ecco spiegata l'assenza di furti da queste parti.
Bisogna avere una certa temerarieta' a compiere uno scippo o a entrare in una casa dove molto probabilmente il proprietario e' armato e non esitera' a far fuoco. 


sabato 1 novembre 2014

dolcetto o scherzetto 2014

Per la prima volta abbiamo sperimentato un 'dolcetto o scherzetto' da film.

Negli ultimi anni ci sono tante discussioni su questa tradizione perche' la gente ha di fatto paura e tanti rifiutano di mandare i figli a bussare e a chiedere caramelle agli sconosciuti. C'e' chi lo fa e poi butta tutte le caramelle e c'e' chi partecipa ai 'trunk or treat' dove quelli che si conoscono si ritrovano in un parcheggio, mettono le caramelle nel cofano della macchina e i bambini vanno li' invece di bussare alle porte dei vicini di casa.

Noi, come tanti altri, abbiamo sempre seguito la tradizione senza nessun problema, ma anche senza vedere una grandissima partecipazione purtroppo.

Quest'anno invece e' stato tutto diverso. Gli abitanti si sono organizzati e hanno fatto una mappa precisa che spiegava dove andare e cosa fare. La cosa piu' bella e' che alcune persone hanno messo a disposizione le proprie case per la pausa pipi' o per il bere. Vi confesso che mi ha un po' commosso entrare in casa di completi sconosciuti e bere un bicchiere di vino o mangiare un biscotto, essere accolti in modo cosi' caloroso e amichevole.

Di solito, anche in Italia, la gente ha sentimenti del tutto contrastanti su Halloween: ci sono quelli che lo odiano e quelli che lo adorano. Io mi sento un po' nel mezzo. Quello che mi piace di piu' e' proprio l'idea del 'trick or treat', l'idea di bussare alle porte dei vicini di casa o degli sconosciuti, di fidarsi degli altri fino a quel punto.

Quest'anno e' andata davvero piu' che bene sotto questo punto di vista. Aumentano quelli che sono stufi di avere paura, un buon segno per la societa'.

venerdì 31 ottobre 2014

gli shock culturali altrui sono sempre i migliori

Ms. Guorton oggi mi ha raccontato del terribile shock culturale che ha subito quando e' arrivata qui quarant'anni fa dall'Inghilterra e sua cognata, americana, ha osato portare le figlie a fare 'trick or treat' per la prima volta.

Trauma decisamente non superato secondo me.

- Capisci? Prende le mie figlie che erano appena arrivate e non capivano cosa stava succedendo e non avevano mai nemmeno mangiato un dolce in vita loro e le porta di sera, con il buio, a bussare a casa di estranei per farsi dare delle caramelle. Ti pare possibile? Esattamente il contrario di quello che gli avevo sempre insegnato, erano terrorizzate!

Fantastici gli shock culturali altrui, soprattutto quelli un po' vintage.

Happy Halloween everybody!

domenica 26 ottobre 2014

eroi e scellerati

Guardavo le foto di Obama che abbraccia l'infermiera di Dallas guarita dall'ebola e pensavo alla differenza di trattamento fra lei e la sua collega spagnola. A una tutti gli onori, l'abbraccio presidenziale, l'affetto e la riconoscenza della popolazione, un cane che scorrazza tranquillo e perfino coccolato anche se in quarantena e all'altra un cane, il povero Excalibur, che e' stato immediatamente soppresso e una marea di accuse e fango da tutta una parte della politica e dell'opinione pubblica. 

Come al solito il protagonista della stessa storia e' un eroe o uno scellerato a seconda di chi e come la racconta.

giovedì 16 ottobre 2014

delle balene e di come nascono i bambini

Come sapete, mi affascinano da morire le teorie dei bambini. Questa e’ una piccolissima selezione delle ultime storie che ho sentito su un argomento classico e intramontabile: come nascono i bambini. 

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A cinque anni.

- I bambini escono dal portale magico, me lo ha detto papa’.

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A sette anni.

- Mamma come nascono i bambini?

- La mamma e il papa’ si danno cinque baci e il bambino entra nella pancia.

Il giorno dopo la madre e’ (giustamente) disperata.

- Non so perche’ l’ho fatto! Avrei voluto dire la verita’, ma non ci sono riuscita, mi ha preso alla sprovvista…ora ci insegue per casa cercando di farci baciare cinque volte perche’ vuole il fratellino…aiuto!

Dopo un paio di settimane, la stessa bambina torna sull’argomento.

- Mamma e’ vero che per fare un bambino l’uomo deve mettere il suo pene nella vagina della donna?

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A otto anni.

- Mamma come nascono i bambini?

- Allora. I bambini escono dalla vagina.

- [ Fa una piccola pausa e poi scoppia a ridere] Certo, come no! Figuriamoci…ora dimmi la verita’!

- E’ proprio cosi’, te lo assicuro.

Dopo qualche settimana madre e figlia vanno a trovare un’amica che ha appena partorito e la bambina, non essendo rimasta per niente soddisfatta della precedente risposta, decide di chiedere una conferma.

- Scusa, mi puoi dire come nascono i bambini?

- Certo. Il dottore taglia la pancia e fa uscire il bambino.

- Ecco, lo sapevo che non poteva essere come diceva la mamma. 

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A quattro anni.

Joe ha sempre questa vaga idea, come qualche mese fa, che i bambini siano in qualchTwo of Sendak’s drawings for <i>Pierre: A Cautionary Tale</i>, from his Nutshell Library, 1962<br />e modo stati mangiati, ma ha fatto un ulteriore collegamento con uno dei suoi libri preferiti dove c’e’ un leone che mangia un bambino. Il dottore mette il leone a testa in giu’, lo scuote ’un po’ e fa uscire il bambino. Ecco lui pensa che funzioni piu’ o meno cosi’.

Poco tempo fa, un’amica ci ha regalato un libro che spiega esattamente cosa succede. E’ molto bello perche’ e’ colorato, stile Keith Haring, e non parla di sesso, ma di biologia, quindi puo’ essere adatto a ogni tipo di famiglia. Joe era curiosissimo all’inizio, ma dopo che lo abbiamo letto, non ha detto assolutamente nulla. Anzi, in un secondo momento, lo ha anche nascosto sotto al letto e non lo ha piu’ tirato fuori. Credo che per adesso la storia del leone, lo soddisfi molto di piu’, del resto se l’e’ cucita su misura.

Mi e’ venuta in mente una scena di un film stupendo che ho visto da poco, Boyhood di Richard Linklater. A un certo punto, (forse alla fine della sua infanzia?), il bambino protagonista chiede al padre se esistono i folletti, se esiste la magia nel mondo e il padre dice la verita’, che tecnicamente i folletti non ci sono, ma…

Che cosa ti fa pensare che i folletti siano piu’ magici di qualcosa come una balena ad esempio? E se ti raccontassi una storia su come sul fondo dell’oceano c’e’ un enorme mammifero che canta canzoni ed e’ cosi’ gigantesco che il suo cuore e’ grande quanto un’automobile e volendo, tu potresti perfino strisciare dentro le sue arterie? Voglio dire… tu penseresti che e’ abbastanza magico, no? 

Io mi sento un po’ come quel padre del film, che e’ soprattutto un illuso e un romantico, me ne rendo conto, ma che la magia della vita vera la vede e la riconosce. Credo che l’incontro di un uovo e di uno spermatozoo sia magico abbastanza senza doversi inventare nulla di piu’. Mi piacerebbe farla vedere anche a Joe questa magia, quando sara’ pronto. Chissa’ se ci riusciro’.

martedì 14 ottobre 2014

il muro delle scuole medie

L’altro giorno ho fatto quattro chiacchere con un paio di amici che vivono qui da molti anni. Non sono italiani, ma europei e da come parlavano avevo la sensazione che venissero da un sistema scolastico e sociale molto simile al nostro.

Erano molto preoccupati per i figli che hanno appena cominciato le scuole medie.

Dicono che ogni ora cambiano classe e compagni. Fra una lezione e l’altra hanno quattro minuti per spostarsi e trenta miseri minuti per il pranzo. Tempo per socializzare ridotto ai minimi termini insomma. Infatti, non riescono a fare amicizia e uno di loro e’ gia’ stato preso di mira da un bullo. Per di piu’ l’ambiente e’ ipercompetitivo. Gli studenti sono spinti a competere in ogni area e i genitori intervengono di continuo. Nemmeno suonare uno strumento e’ legato puramente al piacere della musica. Ogni settimana i migliori stanno in prima fila e se sei in ultima fila tutti sanno che fai pena, e’ umiliante. Uno di loro ha tolto la figlia da nuoto perche’ alcuni genitori degli altri ragazzetti della squadra la sgridavano quando andava troppo piano e faceva perdere punti al gruppo. Mi hanno fatto venire un’ansia pazzesca con tutti questi discorsi. Soprattutto ho pensato che io non ce l’avrei mai fatta a undici anni a sopravvivere in un’ambiente simile. A me aveva traumatizzato che alle medie mi chiamassero per cognome, figuriamoci.

In effetti, da quando sono qui ho sentito dire innumerevoli volte frasi tipo la scuola media e’ un inferno, e’ il peggio, anni da cancellare, ecc. Speravo fossero esagerazioni e puo’ essere che lo siano. Ho un’amica americana con un figlio della stessa eta’ che non mi ha mai raccontato nulla di allarmante.

Quando le ho chiesto spiegazioni, mi ha detto che e’ vero, che la scuola media e’ orribile, ma che e’ normale, e’ cosi’ che va e non c’e’ niente di strano. Anzi e’ meglio che sia dura cosi’ si abituano poi per il liceo. Anche Mr. J. non era per niente scandalizzato quando gliene ho parlato.

La mia impressione e’ che avendo fatto le scuole qui, capiscano meglio la situazione e il fatto che sopravvivere e’ possibile e estremamente probabile per fortuna. Pero’ forse non capiscono che la scuola puo’ essere anche molto meglio di cosi’. Entrambi mi hanno raccontato di botte vere, di bulli che non scherzavano mentre io non ho mai visto niente di cosi’ grave in Italia. Credo che il motivo sia molto semplice: e’ difficile sfogare la propria aggressivita’ con qualcuno che si conosce. Magari il bulletto sull’autobus puo’ prendere di mira un ragazzino perche’ non gli piace la sua giacca o qualcosa del genere, ma una volta che lo conosce, che ci passa insieme ogni mattina, non credo si metta a massacrarlo di botte senza motivo. 

La nostra scuola avra’ tante pecche, e’ vero, pero’ il fatto di frequentarsi tutti i giorni abitua i ragazzi ad avere dei rapporti relativamente profondi ed elaborati fra loro. Ho conosciuto una delle mie piu’ care amiche alle scuole medie. Non credo sarebbe stato possibile senza vedersi ogni mattina e passare i venti minuti della ricreazione insieme. Per me imparare a conoscere delle persone, parlarci, aiutarsi a vicenda sono valori fondamentali. Mi sono servite certamente molto piu’ queste lezioni nella vita che l’algebra o l’educazione tecnica.

Questo della scuola media mi sembra un caso interessante perche’ e’ davvero uno di quelli rarissimi in cui ho visto un muro. Da una parte gli americani, quelli che hanno fatto la scuola qui e che, pur criticandola, l’accettano per quello che e’ e dall’altra noi europei che ci scaldiamo tantissimo e proprio non capiamo il senso, la scala di valori applicata.

martedì 7 ottobre 2014

il mondo degli adulti

Quando torno in Italia faccio i salti mortali per vedere tutti i miei vecchi amici. Quest’anno, per dire, mi sono fatta un viaggio Milano Roma solo per cenare con un’amica. Una piccolissima follia, tipo quelle che una volta si facevano per i fidanzati. No, non e’ rilassante, ma e’ ancora meglio. E’ interessante, e’ qualcosa che mi arricchisce. Il tempo e’ poco, ma tutti, oltre al grande affetto, mi insegnano qualcosa o mi danno qualcosa su cui riflettere. Li ascolto sempre un po’ a bocca aperta. Non sono piu’ abituata a tutte le mille cose interessanti che si fanno in Europa. Chi si inventa un evento mensile incentrato sul baratto di libri, chi tiene un laboratorio sulla scrittura di fiabe, chi fa un viaggio da Milano a Istambul in bicicletta, chi si ritrova fuori da un cimitero in mezzo al bosco per ballare la mazurka. Chi fa delle scelte personali piene di coraggio e chi no, ma per me e’ coraggioso lo stesso perche’ te lo dice senza inventare scuse e ci si ragiona insieme. E poi la qualita’ delle conversazioni, il confronto. Il non avere paura di offendere o di sbagliare a dire o a fare perche’ ci si sente al sicuro all’interno di quel rapporto e di quel momento tanto atteso che non puo’ essere sprecato in nessun modo, soprattutto per la paura di un giudizio che non arrivera’ perche’ non e’ mai arrivato.
Per loro e’ tutto cosi’ ovvio che si stupiscono del mio stupore, del mio shock culturale al contrario. Il fatto e’ che da quando vivo qui, e oramai parliamo di diversi anni, la maggior parte dei miei rapporti personali e delle mie conoscenze si sono basati su altre premesse.
C’e’ una grande formalita’ in generale. Una grande voglia di dare una certa immagine di se’. Chi sei che lavoro fai cosa mangi. E poi i figli. I figli sono il centro di quasi ogni scambio, ma tante volte in modo competitivo piu' che affettuoso. Cerco una scuola dove non si pratichino sport di squadra. Per i miei figli zero screen time fino a dodici anni. Mio figlio si allena per le Olimpiadi. Mia figlia va nella scuola dove hanno studiato le figlie di Bush, fa danza classica e parla francese con l’accento di Parigi. E poi si tende a escludere e a discriminare la gente per motivi piuttosto allucinanti.
Puoi essere discriminato ed escluso perche’ fumi, ad esempio. Vedo gente fumare solo in macchina e spesso con i finestrini alzati.
Perche’ non sei in forma, e’ molto comune.
Perche’ hai avuto un figlio giovanissima e senza un compagno.
Perche’ la tua casa non e’ abbastanza o il tuo stipendio non e’ abbastanza.
Perche’ non hai un titolo di studio.
Non mi sono mai sentita discriminata in prima persona per nessuno di questi motivi, ma chi lo sa. Quando senti che intorno a te l’atmosfera e’ questa, fai fatica, molto. Il livello delle conversazioni e dei rapporti umani, per forza di cose, almeno all’inizio e il piu’ delle volte in realta’, e’ drasticamente inferiore rispetto a quello che trovo fra i miei vecchi amici lontani. Del resto, se non ti sbilanci mai, se stai cercando di raccontarti in un certo modo invece di lasciarti leggere da chi hai di fronte, la spontaneita’ sparisce, la verita’ si offusca e ti tocca cenare con le briciole.
La difficolta’ piu’ grande, forse l’unica, del trasferirmi qui e’ stata questa, il non sentire per molto tempo di avere la possibilita’ di essere accettata per quello che sono e di avere rapporti come quelli che avevo sempre avuto prima con le persone intorno a me.
E’ noto quanto gli emigranti adorino idealizzare il paese d’origine e sarebbe semplice dirvi che noi invece, ma dopo averci pensato a lungo, vi dico di no. Non sono per niente convinta che la colpa sia di questo posto o di questa societa’. Forse se dopo gli studi mi fossi trasferita in un’altra citta’ italiana o europea avrei avuto le stesse difficolta’ nei rapporti interpersonali. Ho avuto a che fare con pochissimi americani in questi anni e non ho mai avuto esperienze negative, anzi alcuni sono diventati i miei migliori amici. La maggior parte dei comportamenti a cui accennavo sopra li ho visti molto piu' da altri stranieri che da americani.
Comincio a pensare che sia il mondo degli adulti.
Non c’e’ o si pensa che non ci sia il tempo di approfondire e cosi’ si etichettano le persone e si passa oltre. Anche in Italia ho sentito dire qualche volta che ora che c’e’ la famiglia e il lavoro a tempo pieno, gli amici non si vedono quasi piu’ e va bene cosi’ perche’ le priorita’ sono cambiate. Una volta invece, gli amici erano tutto. Non si faceva altro che parlare, imparando a conoscersi e a ridere insieme, dandosi una mano a vicenda, fidandosi delle proprie sensazioni, senza pensare a quello che ognuno aveva dietro le spalle. E’ chiaro che i rapporti nati in quel periodo abbiano una sostanza diversa.
Quando non sei piu’ uno studente e ti trasferisci in un posto nuovo, le occasioni  di socializzazione sono estremamente limitate. E poi quando finalmente incontri qualcuno hai talmente paura di sbagliare e rimanere di nuovo solo che perdi la spontaneita’. E questo non succede solo a noi expat, anche gli americani sono in una situazione molto simile. Non conosco nessuno che abbia i genitori e la famiglia in zona, sono tutti qui per lavoro e probabilmente di passaggio. Finiscono il college e via. Cinque o dieci anni in una citta’ e poi da un’altra parte e poi da un’altra parte ancora a ricominciare tutto da capo all’infinito. Non sembra sia un dramma per nessuno, al contrario, mi pare che la gente consideri normale traslocare spesso. Quello che vedo io dal mio piccolissimo punto di vista, pero’, e’ che questo continuo spostarsi delle persone, in termini di rapporti umani, rischia di falsare tutto.
Ci sono persone che incontri in vacanza o a un concerto o anche sul web con cui stabilisci un contatto profondo, che rimangono nella tua vita e ti seguono a distanza per moltissimo tempo. Io qui, molte volte invece, ne ho trovate delle altre che arrivano in pompa magna, ci mangi insieme, compleanni e feste comandate per due tre quattro cinque anni e poi spariscono, da un giorno all’altro di solito perche’ nessuno vuole dire di essere in trattativa per una promozione se non e’ sicuro di ottenerla, e non le vedi ne’ senti mai piu’. Alcuni dicono che sia un valore aggiunto, tutte queste esperienze, queste persone. Per me invece, e’ triste, faro’ sempre fatica ad abituarmi a una cosa simile. In questo senso forse in Italia va meglio perche’ ancora oggi la gente si muove molto meno e se lo fa poi tende a fermarsi, a mettere radici.
Una volta, anni fa, c’e’ stata una festa di addio per un’amica che partiva. E’ stato piuttosto straziante. E’ una persona splendida e mi ha aiutato tanto. Mi ha insegnato a tagliare le unghie a Joe quando era neonato ed ero sola e terrorizzata, per dire. A un certo punto durante la sua festa, scoppio’ a piangere e un’altra amica le disse non pensare di perdere i tuoi amici, li stai solo aggiungendo agli altri che troverai. Li’ per li’ mi sembro’ una bellissima cosa da dire e vera soprattutto, poi pero’ quell’amica, dopo che e’ partita come tante altre, non l’ho mai piu’ sentita. L’ho cercata tante volte all’inizio, ma nulla. Forse e’ per questo che piangeva perche’ le era gia' successo e sapeva che quello era davvero un addio, che non avrebbe avuto le risorse e il tempo per occuparsi della nuova vita e di quella vecchia e di quella nel suo paese d’origine e di quella nel paese d’origine del marito. Troppi semini sparsi per il mondo.
La buona notizia in tutto questo e’ che poi capisci che puoi comunque scegliere. Mi rimprovero il fatto di averci messo tanto a digerire quest’idea, avrei dovuto avere piu’ fiducia. C’e’ sempre un’alternativa nella vita. E in questo caso l’alternativa e’ non farsi prendere dal panico e aspettare le persone giuste, che pian piano, alla spicciolata, arrivano e in fondo capisci che non importa che stiano tanto o poco, ma che il pezzetto di strada che si fa insieme abbia valore.

martedì 30 settembre 2014

lo shock culturale e il bilinguismo a tre anni

Lo shock culturale mi affascina perche’ e’ qualcosa che riguarda tutti noi in una miriade di modi diversi. Quando arriviamo in un paese nuovo ci colpiscono le differenze piu’ macroscopiche, poi pian piano con il passare degli anni, cominciamo a cogliere i dettagli minori e le sfumature e il cerchio si chiude quando torniamo nel nostro paese e tutto si ribalta e ci stupiamo di quello che prima del viaggio era la normalita’. La parte migliore e’ che non e’ nemmeno necessario viaggiare per provare tutto questo, basta frequentare degli stranieri a casa propria.

E quello che ho appena descritto, capita a qualunque eta’. A tre anni se vivi a Dallas e vai per un mese a Milano, ti colpiscono queste cose.

Per Joe, i primi giorni, e’ stato difficile abituarsi all’idea che le formiche italiane sono innocue e non pizzicano. Non ci sono le formiche del fuoco come in Texas anzi fondamentalmente non c’e’ nulla di pericoloso in giro (niente serpenti, ne’ ragni velenosi…). Una volta capito questo, non ha piu’ voluto vedere un paio di scarpe fino alla fine della vacanza. Che quando gli ricapita giustamente. 

La seconda cosa e’ stata fargli capire che il bidet non e’ un lavandino, ma non e’ nemmeno un gabinetto. Un oggetto dagli imprevedibili risvolti misteriosi per il giovane dallasiano insomma, ma comunque dotato di un certo fascino.

Due cose hanno meravigliato Joe ogni giorno in Italia: i sassi, qui ce ne sono pochissimi, e le campane delle chiese. Cos’e’ questo rumore? Ooooh.

Quello che ha capito immediatamente, e non so se sia vero, e’ che i bambini italiani non fanno tanti convenevoli. Le prime parole che ha sentito al parchetto, ad esempio, sono state stai zitto te che ti tiro un cassotto. Qui non e’ mai successo e nemmeno ho mai sentito nulla del genere in otto anni, faccio fatica perfino a immaginarlo, ma non so bene cosa pensare, magari e’ una questione linguistica.

Ma passiamo ad altro. La metropolitana e’ stata un’esperienza quasi mistica. Un treno - e gia’ quello a Dallas e’ qualcosa di speciale- che per di piu’ va sotto terra. E si riesce anche a respirare. Non e’ mai riuscito a rilassarsi pero’, troppe questioni da capire.

Per quanto riguarda la lingua, una cosa non gli entrava mai in testa: che la motocicletta e il motoscafo sono decisamente due cose diverse cosi’ come l’elicottero e il fenicottero. Pero’ ho visto il suo italiano migliorare a vista d’occhio nel giro di pochissimi giorni. Ha preso proprio delle espressioni tipiche che sentiva li’. Dopo qualche settimana, mi ha dato l’impressione di regredire un filo. A un certo punto inventava canzoni che sembravano in inglese, ma che invece non avevano senso. Quando siamo tornati qui ha cominciato a usare i verbi come se li traducesse letteralmente dall’inglese ‘sto colorandolo’ ‘I’m coloring it’. In generale, pero’ vedo che il suo uso della lingua e’ migliore di quello che aveva prima dell’estate.

Conosco tanti genitori stranieri qui che si dannano l’anima perche’ i figli imparino bene la lingua d’origine. Per noi, invece, e’ sempre stato tutto molto spontaneo e semplice e per ora sta funzionando. L’unica cosa che facciamo e’ parlare in italiano e cosi’ lui fa lo stesso, senza nemmeno pensarci, da quando e’ nato. Avendo visto l’esperienza di tanti altri nella nostra situazione, mi sembra il metodo migliore, quello che da’ piu’ risultati con meno fatica. Ultimamente abbiamo cominciato a leggere l’edizione originale di Pinocchio, un capitoletto alla volta, e mi stupisce il fatto che bene o male riesca a seguire la storia. Spero che continui a coltivare sempre il suo italiano cosi’, senza nemmeno rendersi conto di farlo, in modo naturale e piacevole. 

venerdì 26 settembre 2014

strabiliante

Dovevo uscire da scuola alle tre e mezza. Come al solito sono le sei e sono appena arrivata a casa, a dir poco distrutta. Bilancio della giornata. Tanti complimenti per i nuovi lavori, ma uno in particolare, bellissimo, da una persona che stimo. Una collega che, con una faccia tosta sconvolgente, ha cercato di farmi fare il suo lavoro e poi si e’ anche offesa quando con immensa tranquillita’ le ho fatto notare che stava cercando di farmi fare il suo lavoro. Tre corsie dell’autostrada chiuse, traffico infernale. Joe che attacca con ci son due coccodrilli o partira’ la nave partiraaaaaa’ ogni volta che cerco di accendere la radio. E’ vero, oggi dopo otto anni sono arrivati i pastelli multiculturali e questo conseguimento mi ha dato un lungo istante di gioia, ma in questo preciso momento, voglio solo raggomitolarmi e dormire nove ore. 

In tutto questo delirio,  ho in mente un bambino, fra i tanti che ho visto oggi.

Viene da me tutto entusiasta dopo la lezione, con in mano un foglio che dice "Art is even on animals!" (l'arte è perfino sugli animali!) e poi c’e’ una freccia che indica un serpente tutto pieno zeppo di forme e colori. Quegli occhioni, quello stupore.

Me lo ha regalato da appendere in classe, cosi’ tutti possono rallegrarsi di questa notizia strabiliante.

E niente. Mettendo tutto sul famigerato piatto della bilancia, faccio sempre tardissimo, ma non credo di avere tanti modi migliori di investire il mio tempo.

martedì 23 settembre 2014

una piccola pagina bianca

Qualcuno ha detto che avere un figlio e’ come innamorarsi per la prima volta a dodici anni, ma ogni giorno. Ci penso tanto a questa cosa.

Ultimamente Joe e’ uno spasso. Lo intervisto di continuo, voglio sapere tutto quello che pensa. Ha una qualche strana idea su ogni cosa e io adoro stare ad ascoltarlo.

L’altra mattina, per prima cosa, appena ha aperto gli occhi mi ha detto:

-Sai mamma, ho dormito proprio bene. Con gli occhi chiusi.

Per lui nulla e’ scontato, sta imparando tutto per la prima volta e io sono qui a gustarmi lo spettacolo di questa piccola pagina bianca che pian piano si riempie di significati nuovi. Quale immenso privilegio.

Fa quattro anni a dicembre Joe e la sua e’ un’eta’ stupenda, magica, vorrei non finisse mai. Anche se, certo, ci sono delle cose che mi sfuggono completamente di lui.

Un giorno stavamo giocando a costruire una strada e lui a un certo punto si e’ stufato. Allora ha preso la sua sega e ha cominciato a segare me invece dei tronchi con cui stavamo giocando. Mi ha segato un braccio, una gamba, un orecchio, il naso…ridi e scherza mi ha fatto a pezzi. Dopo un po’ gli ho chiesto di rimettermi insieme e lui ha appiccicato tutto, ma al posto sbagliato. Non mi ero mai accorta di avere in casa un novello Hannibal Lecter.

Un’altra volta, Joe mi ha raccontato che gli piacerebbe trovare un nuovo amico. Gli ho risposto che magari al parco avrebbe incontrato un nuovo amico, ma lui ha ribattuto che in realta’ ha gia’ trovato un amico. Si chiama Joe Ombra. E’ un bambino buono che gioca con lui. Sta dietro alla sua schiena e dorme sotto al suo letto. Dopo qualche giorno, e’ spuntato anche Joe Specchio. Non ho mai avuto un amico immaginario e mi ha sempre affascinato da morire questo fenomeno, solo che ora che e’ toccato a Joe, mi sono preoccupata molto, ho avuto paura che stesse soffrendo di solitudine, questo soprattutto. Per fortuna ho l’amico psicologo che anche dall’altra parte del mondo e’ sempre pronto a venire in mio soccorso spiegandomi tutti i perche’ e i per come.

E’ che Joe, come tutti i bambini, ha una fantasia sterminata. Inventa continuamente delle cose. Recentemente, ha inventato una festa comandata, ad esempio. Gli altri bambini aspettano Natale o Halloween, lui invece aspetta Halloweenchristmas. Ne parla di continuo e disegna anche le decorazioni di Halloweenchristmas nell’attesa.

In macchina prima a un certo punto e’ scoppiato a ridere. Uoooooooo! Che bello che bello e’ come uno scivolo, uno scivolo di macchina!

Avevo semplicemente frenato a un semaforo rosso.

Inventa le barzellette e soprattutto le canzoni. Sono lunghissime, non finiscono mai. Sono delle storie-canzoni in cui si immerge e si perde completamente.

Recentemente ha inventato perfino un supereroe. Si chiama Stinky Man, uomo puzzolente, ma non puzza a quanto pare, le sue caratteristiche sono altre. E’ amico di Superman ma non di Spiderman ed e’ un po’ buono e un po’ cattivo, ma piu’ buono.

Joe ama anche cucinare, anzi e’ la cosa che gli piace di piu’ in assoluto, credo. Per cucinare abbandona perfino i cartoni, che sono senz’altro la seconda cosa preferita. E poi scrive, scrive tanto, cioe’ fa delle righe a zig zag e poi ti spiega a voce cosa vogliono dire quelle parole. Quando combina qualcosa, fa un disegno di lui e poi scrive quello che ha fatto e cosi’ digerisce la lezione, suppongo, proprio come la sua mamma.

Nelle scorse settimane ha cominciato a disegnare le facce (tipo un cerchio con dentro due puntini e una lineetta) ma in questi giorni mi sono resa conto per prima volta che sta abbandonando l'astratto. Questo per una mamma maestra di arte e’ un duro colpo. Perche’ noi maestri di arte delle scuole elementari lo sappiamo com’e’ che va a finire. Per un po’ di anni e’ bellissimo e poi all’improvviso, il rubinetto della creativita’ comincia a chiudersi e il pensiero comincia sempre di piu’ ad assomigliare a quello degli adulti. E’ l’inizio della fine insomma. Oppure di un nuovo inizio ancora, chi lo sa.

Per adesso vedo che mi osserva, sono costantemente sotto la sua lente di ingrandimento. Credo che abbia un’opinione estremamente alta di me perche’ non me ne fa passare una, per lui sono infallibile e se sbaglio me lo fa notare piu’ di una volta. L’altro giorno dimostrando ottimi riflessi, ho evitato di investire uno scoiatttolo incauto che ci ha attraversato la strada e lui mi ha rimproverato Mamma tu hai spaventato quello scoiattolo. E io che pensavo di aver quasi fatto un miracolo.

Se mi passa un pensiero nella testa, mi chiede perche’ fai la faccia brutta? E poi mi dice che mi vuole bene. E adesso puoi fare la faccia bella. La faccia brutta e’ una faccia seria, anche solo l’espressione che ho mentre faccio retromarcia o se mi sto concentrando su qualcosa. Non c’e’ nulla che lo preoccupi di piu’ della mia faccia brutta, cioe’ senza sorriso. Ma forse anche questa cosa ce l’abbiamo in comune.

Quello che mi preoccupa e mi preoccupera’ sempre di lui e’ esattamente lo stesso, che sorrida, che stia bene. Tutto qui.

venerdì 12 settembre 2014

non e’ vero, ma un po’ ci credo

Tempo fa suo cognato si ammalo’ in modo piuttosto serio e lei mi disse testualmente e in almeno un paio di occasioni:
- Perche’ lui? Perche’ sempre i migliori? Non poteva succedere a lei? [La cognata ndr]
Una frase che mi gelo’, o almeno mi raffreddo’ molto, il sangue nelle vene. Ora. Io posso essere una persona razionale e sapere perfettamente che augurare una cosa non significa provocarla, ma poi…no, non si fa.
Sono cresciuta con la chiara idea che non si augura il male a nessuno. Non ci ho nemmeno mai riflettuto sinceramente sul perche’ e il per come, e’ una di quelle cose che sono cosi’ e basta. L’ho sentito talmente tante volte che ho finito per assorbirlo in maniera del tutto acritica. E’ un immenso luogo comune, ma non dei peggiori, a mio parere.
Ecco. Potete immaginare il brivido che mi e’ corso lungo la schiena quando nemmeno un mese dopo, la suddetta persona mi ha annunciato in tutta serenita’ che la cognata aveva scoperto di avere un tumore.
Certo, non si puo’ dire che lei sia responsabile, ci mancherebbe, ma fossi stata al suo posto mi sarei sentita come minimo in imbarazzo, se non addirittura colpevole in qualche strano modo. Lei nulla invece. Ma proprio nulla, come se se ne fosse dimenticata, come se quelle parole, ripetute ben due volte in mia presenza e per cui, assumo, ragionate con convinzione, non fossero mai esistite.
Lei non immaginerebbe mai di sentirsi in difetto per una cosa del genere, a me invece e’ stata la prima cosa che e’ venuta in mente.
Lei e’ americana, io italiana. La tentazione di generalizzare trattando qui di shock culturale e’ tanta, ma in realta’ non saprei. Una cosa simile non l’ho mai sentita dire da nessun’altro in tutti questi anni, quindi non so se questa totale assenza di scaramanzia (e buon gusto, diciamolo) sia una particolarita’ di questa persona o una differenza culturale vera e propria. Quello che mi ha lasciato a bocca aperta e’ il fatto che non abbia fatto nessun collegamento fra le due cose, nemmeno per scherzo. Forse per lei e’ del tutto inconcepibile che ci sia una qualche connessione fra augurare il male di qualcuno e il fatto che questo male subito dopo si realizzi. In effetti, la sua posizione e’ molto piu’ logica della mia. 
Comunque, meglio cosi’. Le due ora vanno d’amore e d’accordo com’e’ giusto che sia data la situazione drammatica.
Nel frattempo, la cognata ha perso tutti i capelli per via della chemio e lei le ha anche offerto, per solidarieta’, di rasarsi non tutta la testa, che dopo tutto insomma…ma una striscia di capelli laterale. La generosa proposta e’ pero’ caduta nel vuoto.

mercoledì 10 settembre 2014

le ultime dalla classe di arte

Una delle cose che amo di piu’ del mio lavoro e’ la liberta’. Non mi hanno mai dato programmi prestabiliti, ho sempre potuto fare piu’ o meno quello che mi andava. In questi anni, ho insegnato soprattutto l'arte europea e americana, ma sento che non e’ stata una scelta deliberata fino in fondo: sono gli argomenti che conosco meglio, ho solo seguito l’istinto. Fin dall’inizio comunque mi sono messa a studiare e insegnare anche l'arte messicana e afroamericana, mi sembrava indispensabile vivendo qui. E quest'anno ho deciso di allargarmi ulteriormente e di inglobare, per quanto possibile, anche gli altri continenti che ho sempre toccato in maniera molto superficiale.

E’ che non vorrei che i bambini pensassero che l’arte occidentale e’ piu’ importante e che questa cosa li limitasse a livello estetico o in nessun altro modo. Quelli stranieri o con origini straniere poi, credo apprezzeranno essere un po’ protagonisti. Vorrei dimostrargli che tutti noi abbiamo da imparare dalla nostra diversita’ e che non c’e’ un meglio e un peggio.

Ho cominciato a fare qualche indagine e ho scoperto che ho una carissima amica laureata in storia dell’arte africana, l’avevo completamente rimosso, e poi che a scuola abbiamo bambini originari della Nigeria, della Giordania, del Brasile, dell’Arabia Saudita e di tanti altri posti esotici. Siamo pieni di spunti interessanti da approfondire.

Sono entusiasta di avere un’ottima scusa per scombinare i piani che io stessa ho organizzato.

E tutti impareremo un sacco di cose nuove insieme. E io credo che sia fantastico.

martedì 9 settembre 2014

il privilegio di essere l’acqua

Quest’estate abbiamo visitato una caverna negli Ozarks, in Missouri.

Piu’ o meno a meta’ percorso, nel buio piu’ pesto, dove ormai non c’e’ quasi piu’ traccia di vita, c’e’ quello che il ranger che ci accompagnava ha chiamato una ‘doccia’, una sorgente di acqua che cade in gran copia dall’alto, da un punto nel soffitto della caverna. Sono state condotte numerose indagini, ma nessuno ha mai capito da dove arrivi quell’acqua che va avanti a scorrere cosi’ in maniera incessante immagino da secoli o millenni, vista l’enorme vasca di calcare che ha formato ai suoi piedi. Nel momento in cui, diversi anni fa, la regione rimase vittima di una terribile siccita’, la ‘doccia’ ha continuato incredibilmente a fuoriuscire, fornendo un grande aiuto alla popolazione. Come e’ possibile? E’ un gran mistero.

Fuori dalla caverna -un posto davvero selvaggio in cui il primo essere vivente che abbiamo avvistato e’ stato un copperhead, uno dei serpenti piu’ velenosi in circolazione- non riuscivo a smettere di pensare alla sorgente misteriosa.

Quante volte mentre affronti una qualche siccita’ nella tua vita, l’aiuto si materializza in quel modo. Sei in un posto che pensavi completamente arido e all’improvviso eccola li’ la fonte che ti disseta. Ringrazi perche’ stai morendo di sete, ma non capisci cosa ci faccia li’. E poi soprattutto perche’ l’acqua la trovi in un posto imprevisto e non dove pensavi di averla lasciata.

In questo periodo, penso di essere qualcosa del genere per qualcuno. Quella fonte che ti aiuta a superare la siccita’ e che non sai bene da dove sia spuntata, ma che in qualche modo ti tiene su. E’ la prima volta che mi capita di ricoprire questo ruolo ed e’ difficile perche’ ci sono momenti in cui anche la fonte ha la sensazione di cominciare a prosciugarsi in maniera pericolosa, ma e’ soprattutto un grande privilegio. Avere la possibilita’ di fare qualcosa per qualcun’altro e’ sempre un privilegio.

lunedì 8 settembre 2014

il puntino

Se attraversi in macchina il Texas dell’ovest ti accorgi che pian piano somiglia sempre piu’ a un deserto, a est invece e’ tutto molto verde, ci sono grandi alberi, boschi, laghi. Ed e’ proprio in questa zona che abitano i nostri amici, in una bellaIMG_20140830_164856 casa ranch direttamente davanti a un lago. Sulle sponde di questo piccolo lago, crescono le ninfee piu’ grandi che abbia mai visto, colorate e davvero belle. Mi hanno subito colpito, ma mi e’ stato spiegato che in realta’ sono piante infestanti e ogni volta sono costretti a chiamare un qualche giardiniere specializzato che le faccia fuori. Da noi le ortiche e qui le ninfee giganti. Come al solito niente e’ mai semplice o semplicemente piacevole in Texas. 

Appena arrivati i bambini, hanno chiesto di fare un giro sulla barca a pedali cosi’ gli abbiamo fatto mettere i giubbottini galleggianti e li abbiamo aiutati a salire. Mr. Johnson, Joe e altri quattro bambini. Io e il nonno, un altro meraviglioso nonno del Far West che mi ricorda tanto il nostro compianto, siamo rimasti a riva a guardare.

Appena partono noto qualcosa dirigersi a tutta velocita’ verso di loro, formando una lettera V nell’acqua. Lo faccio presente al nonno anche se abbiamo il sole di fronte e la visibilita’ non e’ ottima.

- Abbiamo dei castori qui…pero’ non vedo la testa e poi di solito si rituffano subito loro….

- Belli i castori, ho appena visto un documentrario, che meraviglia vivere nella natura!

Nel frattempo il puntino continua la sua corsa. Sono curiosa, ma non mi preoccupo molto perche’ il padrone di casa non mi sembra in grande allarme.

- Beh…non deve essere un serpente, va cosi’ dritto e veloce…

Azzardo io, supponendo che i serpenti mantengano il loro moto ondulatorio anche nell’acqua. Nel frattempo il puntino si avvicina sempre di piu’ alla barca.

- Appena arrivati qui abbiamo avuto anche qualche alligatore, ma…

- Come?

- Niente di che, dei piccoli alligatori, ma e’ da un bel po’ che non ne vedo…

Neanche il tempo di ripetere nella mia testa quella frase assurda -niente di che, solo dei piccoli alligatori- che dalla barca in lontananza esplodono le grida dei bambini.

Ah bene. Era solo un serpente. 

Eccitazione e paura. Che meraviglia vivere nella natura.

venerdì 5 settembre 2014

come usare dieci minuti

La nuova maestra di Joe, la settimana scorsa era tutta soddisfatta:

- Da lunedi’ cominciamo a offrire il servizio di carpool. Sara’ comodissimo, niente perdite di tempo, non dovra’ nemmeno scendere dalla macchina. Che bello, eh? Con questo caldo poi…

In pratica, invece di parcheggiare e andare a prendere i bambini in classe, i genitori adesso si mettono in coda in macchina davanti alla scuola. La maestra afferra tuo figlio, te lo posiziona nel seggiolino, gli allaccia la cintura di sicurezza e te lo porti via.

Grandissima comodita’, dice.

In effetti, quando il sistema sara’ rodato, forse si risparmieranno una decina di minuti (che per ora si passano in macchina), ma la domanda che avrei voluto farle e che non le ho fatto e’:

perche’?

Cioe’ come vi e’ venuto in mente? Quali sono le vostre priorita’ nella vita?

Il parcheggio e’ enorme e comodissimo e il momento dell’uscita da scuola era quello in cui si riuscivano a fare due chiacchere con la maestra e magari conoscere un po’ gli altri genitori e gli altri bambini della classe per organizzare un parco o una merenda, una festa di compleanno. Perche’ impedire alle persone di avere qualunque contatto fra loro?

E dire che questa scuola ha perfino una caffetteria stile Starbucks all’interno. Mi ero fatta l’illusione che promuovessero la socializzazione, che ci fosse una qualche idea dietro a un investimento cosi’ insolito.

Invece, anche qui l’interazione sociale non viene nemmeno presa in considerazione. Sono sicura che nessuno la’ dentro ha pensato a questa controindicazione. Saranno tutti contentissimi di aver regalato ai loro clienti dieci minuti in piu’ per fare. Chissa’ cosa.

mercoledì 3 settembre 2014

ne vale sempre la pena

Mi e’ capitato innumerevoli volte di sentire italiani criticare l’ignoranza o la stupidita’ degli americani tutti e allora dato che a volte questi giudizi arrivano anche da persone che stimo e magari sono provocati da aneddoti che io stessa racconto, invece di schermirmi perche’ ovviamente non sono d'accordo, stavolta ho deciso di spiegare come la penso.
Prima di tutto voglio dire che anche a me sembra che qui ci sia un’ignoranza spaventosa e per certi versi sconvolgente. C’e’ gente che non crede nella teoria dell’evoluzione. Gente che non crede ai dinosauri perche’ la Bibbia non ne parla. C’e’ gente che si scandalizza se faccio vedere il David a scuola perche’ e’ nudo. Gente che parte all’attacco se una mamma allatta in pubblico o che e’ convinta che se si sente in pericolo ha il diritto e al limite anche il dovere di farsi giustizia da sola.
Pero’.
In Italia secondo voi non c’e’ l’ignoranza?
Certo, e’ un altro tipo di ignoranza, su questo non ci piove. Vi faccio qualche esempio.
Avete mai fatto caso a quello che dice la gente, anche quella piu’ tranquilla e normale, durante le partite di calcio? Tanti in Italia quando l’ho fatto notare, mi hanno detto che sono io che non ho piu' il senso dell’umorismo, che sono cose che non si pensano e che si dicono solo in quei casi, ma rimango convinta che non sia sano dare del frocio o del negro, mai. Se non lo pensi davvero, proprio per niente, non ti dovrebbe mai venire in mente di dirlo. Ecco, a quei trogloditi degli americani non saprei nemmeno come spiegarlo un comportamento simile, per loro non esiste e dire che lo sport va per la maggiore anche qui. Recentemente in televisione c’era addirittura un documentario che parlava del razzismo calcistico italiano, per dire.
Poco tempo fa il nostro ministro dell’Interno Angelino Alfano ha apostrofato gli extracomunitari nordafricani chiamandoli vu cumpra’, un termine sorpassato e razzista che fa venire i brividi e ancor di piu’ all’interno di un contesto istituzionale. Il senatore Calderoli, cavalcando altri ridicoli stereotipi razzisti, proprio in questi giorni ha affermato che il padre dell’ex ministro Kyenge, gli avrebbe fatto la macumba. La macumba. Come uno di quei personaggi delle barzellette di una volta, la tribu’, il pentolone. Almeno qui certe cose le senti dire alla gente comune e sono il prodotto di una sottocultura -pericolosa eh- ma per niente sdoganata. Se un qualunque rappresentante della societa’ si azzarda a fare certe affermazioni in pubblico perde il posto, e’ successo mille volte.
In Italia non esistono sacerdoti disposti a negare l’evoluzione per fortuna, e’ semplicemente impensabile. Pero’ esistono quelli che per tanto tempo hanno  in modo sottile  dimostrato accondiscendenza verso la mafia regalandole un terreno fertile in cui prosperare. Non penso che il danno culturale sia stato minore.
A me pare che quelli che mi dicono mi dispiace per te costretta a convivere con questa gentaglia invece noi qui, dimentichino una cosa fondamnentale. In questo paese, negli anni Sessanta e Settanta e’ scoppiata una vera e propria guerra culturale che prosegue tutt’oggi fra quelli che volevano ed hanno poi ottenuto la fine della segregazione razziale e in generale l’avanzamento dei diritti civili e quelli che hanno usato la paura del cambiamento per instillare l’odio razziale e quest’idea arcaica di individualismo che ti dice che non e’ lo stato a doverti proteggere, ma sei tu che devi letteralmente imbracciare le armi per tenere al sicuro la tua famiglia, proprio come nel Far West. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Una parte della societa’ fa da faro al resto del mondo e l’altra produce nefandezze che non si possono immaginare. La settimana scorsa una bambina di nove anni ha ucciso per sbaglio il suo istruttore di mitragliatore. Omicidi di massa, rivolte razziali, non c'è bisogno che mi dilunghi.  
E’ semplice fare i superiori di fronte a certe persone, ma è la strada piu’ facile, quella che non porta mai molto lontano. Perché non cercare di capire e prendersi il bello invece? Ribadisco. Per me il bene e il male sono distribuiti ugualmente. Decodificare quello che ci sta intorno, riconoscere quello che e’ da salvare e quello che e’ da buttare, fa parte della nostra responsabilita’ individuale, ovunque. Non esistono isole felici e se anche esistessero immaginate che noia.
Pensate a questo.
Degli amici texani ci hanno aperto la loro casa questo fine settimana. Ci hanno trattato come persone di famiglia. Ci hanno portato in un lago immerso in un magnifico bosco, un posto che a loro piace molto. Nonostante fosse frequentato anche da tanti di quelli che credono che discendiamo tutti da Adamo ed Eva e magari vanno da Wal Mart con la pistola in tasca, gli ho visto lasciare portafogli e telefoni sul cruscotto della macchina senza nemmeno il dubbio che a qualcuno potesse saltare in mente di rubarglieli. In barca, come sempre faceva caldissimo, cosi’ si sono buttati tutti in acqua e l’acqua, come nella maggior parte dei laghi texani, era marrone. Sai che, minimo, rischi di imbatterti in un qualche serpentello o in una di quelle tartarughe che mordono, e non si vede niente. Tu che fai? Stai li’ e rifiuti perche’ ti fa schifo e sei abituato al mediterraneo o ti butti? Beh, io mi sono buttata e avevano ragione loro, it feels good. Mi sono divertita un mondo e dopo mi sono fatta una fantastica doccia. Ne valeva la pena. Vale sempre la pena di buttarsi e indossare i panni degli altri per un momento.