mercoledì 26 marzo 2014

cosa lasciare andare

Ci sono persone che capitano nella tua vita per caso, che ti scivolano accanto una miriade di volte, ma che non ti sfiorano mai, quasi fossero un rumore di sottofondo, qualcosa a cui non presti mai attenzione, tranne per notare che sono li’ da un po’ ormai. Persone che non ti sei scelto, che fondamentalmente non ti interessano e non ti incuriosiscono, ma da cui un giorno, all’improvviso, puoi anche capire di non essere poi cosi’ distante come ti eri immaginato. Puo’ darsi che ad avervi separato fino a quel momento non sia stato altro che un sottile malinteso reciproco.

E’ iniziato tutto con una di quelle situazioni in cui non sai nemmeno da dove cominciare a rompere il ghiaccio, ma qualcosa lo devi pur dire. Devo essere stata io a tirare fuori l’argomento, le pulizie di primavera. Cosa c’e’ di piu’ banale, no? Mi e’ parso un argomento perfetto per quel momento, anche se, per quanto possa sembrare assurdo, le riorganizzazioni e le pulizie sono una sorta di tarlo costante e serissimo che ho da un po’ di tempo a questa parte. Non volevo certo spiegarlo, cercavo solo di riempire un silenzio. Non mi andava di raccontarmi, non mi sembrava che l’interlocutore lo meritasse. Non mi andava di dire che quello di cui stavo parlando in realta’ non era una pura sciocchezza come le pulizie di primavera, ma qualcosa di piu’ generale e astratto, un’esigenza profonda di rinnovamento e di chiarezza, di organizzazione un po’ in tutti i settori della vita.  

Beh, a giudicare dalla piega che la conversazione ha preso, protraendosi poi per ore, fino a notte fonda, puo’ darsi che in qualche modo abbia detto esattamente quello che avevo in mente fallendo nella superficialita’ che mi ero lucidamente prefissa.

Che miracolo. Di solito si fa una fatica immane nel tentativo disperato di spiegarsi, di capire e di farsi capire e invece per una volta e’ arrivato tutto cosi’, senza nessuno sforzo. Sto pensando che, chissa’, puo’ darsi che in tutti questi anni questa persona mi sia apparsa cosi’ estranea semplicemente perche’ era piu’ avanti di me, anzi era gia’ arrivata piu’ o meno nella direzione in cui pian piano forse sto andando anche io.

- Quando e’ morta mia madre, una delle cose piu’ difficili per me e mia sorella e’ stata tornare a casa sua e decidere cosa fare di tutte le sue cose. Mi madre era una di quelle persone incapaci di buttare perfino la spazzatura. Non sai quanto cibo scaduto da anni abbiamo trovato. E alla fine, e’ toccato a noi, sbarazzarci di tutta quella roba al posto suo. Ci sono volute settimane, e’ stato straziante. Gli oggetti piu’ preziosi, i due anelli che aveva disegnato lei stessa e che ci aveva regalato prima di morire, li abbiamo fatti seppellire insieme a lei. Abbiamo deciso di comune accordo, io e mia sorella, che era giusto cosi’, che appartenevano a lei, non a noi, ma non e’ stato semplice prendere una decisione cosi’ irreversibile.

Di lei mi e’ rimasta solo una grande scatola. Mia madre amava scrivere. Nel periodo in cui ho vissuto fuori citta’, mi ha scritto una lettera ogni settimana. E’ andata avanti cosi’ per anni. E poi ogni ricorrenza, ogni volta che ci scontravamo. Era il suo unico modo di aprirsi, di esprimere davvero quello che provava. Scrivere, non si risparmiava certo lei nello scrivere.

Ecco, quella scatola me la sono trascinata dietro per anni e anni. Di trasloco in trasloco. Senza mai aprirla. E’ sempre rimasta con me finche’ a un certo punto ha cominciato a pesare. Pesava al punto da cominciare a farmi perdere l’equilibrio, a trascinarmi giu’. Quella scatola sigillata, mi stava impedendo di andare avanti e cosi’, finalmente, dopo molti anni, sono riuscita ad aprirla. Ho scelto una lettera, una sola, che ogni Natale tiro fuori e rileggo e ho buttato via tutto il resto.

giovedì 20 marzo 2014

la nuova fase

Leggevo una lista di regole serissime redatte da Susan Sontag su come crescere un figlio. A un certo punto…

N. 7  Always speak well of his poop. (No faces, sighs, impatience, etc.)

N. 7 Parla sempre bene della sua cacca. (Niente facce, sospiri, impazienza, ecc.)

Cavolo lo dice anche Susan Sontag. Allora e’ proprio vero.

Non ho battuto ciglio. Solo dopo un po’ mi sono accorta che avevo automaticamente aggiunto una “o”.

Always speak well of his pOp (Parla sempre bene del suo papa’).

Proprio cosi’, e’ che ormai c’e’ un chiodo fisso in questa casa.

Dovete sapere che la mia vita di genitore ha subito un brusco cambio di rotta recentemente. C’e’ stato un passaggio radicale nella filosofia del piccolo Joe. Non so se sia normale, me lo auguro, ma si e’ passati da un bambino in piena fase contemplativo-metereologica a un bambino che parla solo di. Si’, proprio di quello che diceva Susan Sontag, ma con due “o”.

- Mamma dove seeeeei?

- In bagnooooo.

- Stai facendo la caccaaaaaa?

Prima guardava le stelle, si illuminava quando faceva giorno e si rattristava quando vedeva che il cielo diventava buio. Faceva osservazioni poetiche e domande difficili. Mi chiedeva dove fosse andata la notte o mi faceva notare le strisce degli aerei, le nuvole. Si stupiva che il cielo fosse ‘zzullo, mentre c’e’ la luna piccola. Era un piccolo esteta-astrofisico in erba, o qualcosa del genere.

Ora invece per lui ruota tutto intorno alla cacca. Si stupisce si’, ma soprattutto della sua cacca che contempla nella tazza per lunghi minuti in cerca di somiglianze (“Gualda la cacca sembla selpente con uovo”) e che saluta agitando la manina quando va giu’ “ciao ciao cacca!”.

Quando pensa ai suoi amichetti, ai nonni, agli zii, a tutti quelli che conosce, ci fa sapere che anche loro fanno la cacca.

Tizio fa la cacca.

Caio fa la cacca.

Immagini meno soavi di quelle a cui ci aveva abituato, devo ammettere, ma lui non vede nessuna differenza.

Prima mi ha spiegato con gravita’ che il mandalino diventa cacca mentre il latte pipi’. Oramai va cosi’, per fortuna che sembra che si stia affacciando all’orizzonte, una nuova fase. La definirei poetico-escatologica o scatologico- escatologica. Ma si, perche’ fare gli snob? In fondo la differenza la fa pur sempre una vocale, no?

L’altra sera, ad esempio, come ultima cosa prima di addormentarsi, mi ha detto I already miss you, mommy (Gia’ mi manchi mamma). Ci sto ancora pensando.

mercoledì 19 marzo 2014

scioccante, volgare e inadatto

Una notte non riuscivo a dormire e ho aperto Facebook. Un colpo al cuore. Mi sono rivista a tre anni, all’asilo, per mano alla maestra. Ho pochissime foto di quel periodo e rivedermi -tra l’altro cosi’ somigliante al mio stesso bambino che ora ha proprio quell’eta’- e’ stato una grandissimo regalo.

Nel dormiveglia vagheggiavo.  

In fondo anch’io sono una maestra. Magari fra trent’anni pubblichero’ su Facebook o quello che ci sara’, qualche foto come queste e anche i miei bambini ormai grandi e magari con figli dell’eta’ che hanno ora loro, si emozioneranno come me in questo momento. Potro’ restituire lo stesso favore, fare a qualcun’altro la stessa sorpresa, che fortuna.   

Poi ci ho pensato meglio la mattina successiva e ho completamente cambiato idea.

I miei bambini mi denuncerebbero. Non c’e’ dubbio.

L’altro giorno, a lezione, ho fatto vedere alcune opere conservate al Louvre e un paio di loro mi hanno processato sulla pubblica piazza affermando che il Gesu’ bambino nudo di Raffaello e’ completamente disturbing, gross and inappropriate (scioccante, volgare e inadatto).   

Voglio dire, se sono cosi’ a otto anni, a trentotto c’e’ da avere paura. 

venerdì 14 marzo 2014

la rappresentazione della realta’

Nonostante viva all’estero oramai da diversi anni, come sapete sono ancora legatissima all’Italia in tutti i sensi. Seguo abbastanza la politica italiana e di tanto in tanto mi piace anche farmi del male guardando programmi di approfondimento come Piazza Pulita o Servizio Pubblico.

Ecco. Notavo che non c’e’ puntata in cui sia assente il servizio con la vecchietta che rovista nella spazzatura o il laureato disoccupato alla mensa dei poveri.

Qui tutta questa retorica della poverta’ con tanto di colonna sonora strappalacrime nei programmi giornalistici non la vedo. In realta’ non la vedo proprio da nessuna parte.

E allora mi chiedo perche’. Non ci sono i poveri qui? Figuriamoci. C’e’ sicuramente piu’ poverta’ e degrado qui che in Italia. La famosa forbice americana fra quelli che stanno bene e quelli che affondano. Eppure non c’e’ interesse a raccontare la realta’ in questa maniera. Ci sono campagne pubblicitarie e programmi che parlano di queste problematiche, perfino di come salvare gli stessi bambini americani dalla fame, voglio dire, le cose si sanno, ma non c’e’ la retorica, l’autocommiserazione.

Non e’ che vederci in quel modo, continuamente, giorno dopo giorno, non ci aiuta?

E’ solo una riflessione, una cosa che ho notato e che volevo condividere con voi.

giovedì 13 marzo 2014

di spagnoli e sudamericani. e anche di noi

Ho conosciuto degli spagnoli molto simpatici e interessanti l’altro giorno. Professionisti che hanno viaggiato, che parlano due o tre lingue, in teoria persone dalla mentalita’ aperta. Eppure una cosa mi ha colpito: come si riferivano ai sudamericani. Provano orrore per il modo in cui parlano spagnolo ad esempio e un po’ lo posso capire. Anche io ho imparato lo spagnolo in Spagna e all’inizio ero abbastanza frastornata. Devo confessare che in particolar modo, quando mi e’ capitato di fare da supplente di spagnolo qui, un po’ mi ha sconcertato vedere che non solo si usano altri termini, ma perfino le regole grammaticali vengono insegnate diversamente. Mi sembrava sbagliato perche’ era contrario a quello che avevo sempre saputo, pero’ non ho mai giudicato male nessuno per questo, so che si tratta di un’evoluzione naturale della lingua, non e’ una questione di ignoranza. Chi dice che una lingua e’ migliore di un’altra poi? Le lingue non sono una cosa morta e fissa, sono vive e si modificano in continuazione a seconda di chi le usa.

Tante volte vengo scambiata per sudamericana e la cosa mi e’ completamente indifferente. Se mi parlano in spagnolo rispondo in spagnolo, mica spiego che sono italiana. Invece questi spagnoli mi sembravano proprio desiderosi di distinguersi. In particolare, non mi e’ per niente piaciuta l’espressione che ho visto sulle loro facce quando a un certo punto e’ apparsa una quinceañera. Una quinceañera e’ una ragazzina che compie quindici anni. In Messico e’ una festa importantissima, ancora di piu’ dei nostri diciotto. Ignoro come vengano festeggiate in patria, di certo qui i messicani non badano a spese. Il fatto e’ che di solito e’ davvero una tamarrata incredibile, perfino i miei amici messicani ci scherzano su. Servizi fotografici, vestiti coordinati con gli invitati, limousines, tutto molto kitsch. Pero’ a vederli fanno comunque tenerezza questi genitori emozionati con queste ragazzine vestite da principesse che si godono il sogno di essere al centro dell’attenzione per un giorno. Gli spagnoli invece avevano un senso di compatimento che non mi e’ piaciuto, il classico guardare dall’alto in basso, senza simpatia, con superiorita’.

Insomma, mi sono chiesta se anche noi italiani facciamo la stessa impressione quando parliamo di come gli stranieri rovinino i nostri piatti o di come storpino la nostra lingua. 

Se e’ vero che critico chi cerca di preparare la nostra pasta in maniera improbabile, e’ anche vero che adoro gli egg noodles americani. Se e’ vero che per me la pizza italiana nel forno a legna e’ il massimo della vita, e’ anche vero che una pizza americana fatta bene la mangio piu’ che volentieri. Insomma, una cosa non esclude mai l’altra, c’e’ spazio per tutto e tutti.