giovedì 17 novembre 2016

una settimana

I giorni passano e le crepe non si trovano, ma voglio continuare a documentare quello che sta succedendo nella mia vita e in quella di tanti altri che vivono questa esperienza con me a futura memoria. 
Una settimana fa ci svegliavamo per la prima volta in questa sorta di realtà parallela in cui Donald Trump, l'eccentrico miliardario con il riporto, era stato eletto presidente. E una settimana fa sembrava davvero la fine del mondo in un certo senso. Ora pian piano ci stiamo abituando all'idea credo, cos'altro possiamo fare? Ci stiamo abituando soprattutto a guardare gli altri con sospetto. Fino al 7 novembre immaginavo che per tutti quelli che conosco Trump fosse poco piu' che una barzelletta di cattivo gusto, ma il silenzio assordante di molti di loro sull'argomento, mi ha insegnato a non dare nulla per scontato. Quando sentite dire che gli Stati Uniti adesso sono un paese diviso, prendetelo alla lettera. 
Un paio di amici mi hanno confidato casualmente che le prime volte che hanno avuto l'occasione di parlare con dei fan di Trump dopo le elezioni, si sono sentiti come se gli si spegnesse il cervello. Per quanto possa sembrare strano e' successo anche a me. Attribuisco il bizzarro fenomeno osservato, al livello di repulsione che ti prende istintivamente quando hai di fronte qualcuno che vorrebbe tutti i musulmani fuori dal paese, qualcuno che pensa che tutti i messicani siano delinquenti e violentatori, qualcuno che offende le donne, gli handicappati, incita alla violenza e potrei continuare a lungo, ma mi fermo qui che tanto ci siamo capiti. Il problema e' che qui, almeno quaggiù in Texas dico, c'e' tanta gente che pensa queste cose, anzi in realta' loro continuano a dire che non le pensano. La scusa ufficiale per aver votato Trump e' che lui le sparava grosse per attirare l'attenzione, ma non e' cattivo e loro lo hanno votato solo perche' o odiano a morte Hillary e Obama o sono d'accordo con le sue proposte economiche e con il suo no all'aborto. 
Bill Maher diceva l'altra sera che quando rimarranno senza assicurazione sanitaria potranno dire si', ma almeno non abbiamo una donna con un server per le email privato come presidente. Contenti loro.
Colpisce quanto sia personale tutto questo. Non mi e' mai capitata una cosa simile: un disaccordo politico che distrugge amicizie trentennali, famiglie all'apparenza unite, coppie. E parlo in parte per esperienza diretta. 
Un'amica bianca, ad esempio, mi ha detto che certo le spiace che Trump abbia vinto, ma non riesce a preoccuparsene perche' proprio adesso la sua vita sta cominciando a andare per il verso giusto e non ha l'energia per sobbarcarsi questo peso sulle spalle. Peccato che la mia amica messicana nella stessa identica situazione non abbia questa fortuna: a lei tocca affrontare quello che sara' e mettere da parte tutto il resto. Siamo privilegiati e nemmeno ce ne accorgiamo. 
All'inizio dell'anno e' entrato in vigore anche qui in Texas l'open carry. Si tratta di una legge che consente ai possessori di porto d'armi di accedere a qualsiasi edificio pubblico (che non sia una scuola o un ospedale o che non lo vieti esplicitamente) esibendo la propria pistola in una fondina collocata sulle spalle o alla cintura. In tutti questi mesi, non abbiamo mai visto nessuno in giro con la pistola a vista, questa settimana per la prima volta si'. Continuiamo a sentire dire che il Trump presidente sara' diverso da quello della campagna elettorale, ma ogni giorno si verificano episodi di intolleranza mai visti prima della sua elezione. I ragazzini del liceo che intonano cori razzisti durante una partitella a basket, quegli altri che strappano il velo alle ragazzine musulmane, gente che viene insultata solo perche' sentita parlare in spagnolo. 
Joe il giorno dopo le elezioni e' tornato a casa da scuola cantando I'm glad to be an American because at least i know I'm free (Sono felice di essere americano perche' almeno so di essere libero). Gli ho spiegato che ci sono tanti paesi dove la gente e' libera e ho aggiunto che non mi piace molto quella canzone. Pare sia una canzone molto famosa, non la conoscevo. La versione originale dice I'm proud, sono orgoglioso, ma la maestra ha optato per un I'm glad, sono felice, almeno. A me pare che non ci sia bisogno di fargli il lavaggio del cervello gia' da piccoli.
Oggi ho deciso di parlare con il signore delle pulizie, continuava con il mutismo e non ce la facevo piu' a non dire nulla, volevo fargli sapere che mi spiace che si senta cosi' e che io e la mia famiglia siamo dalla sua parte e come del resto tanti altri. E' bastato questo a farlo debordare come un fiume in piena. Dopo essere stato muto e divorato dal risentimento per una settimana, non riusciva quasi piu' a smettere di parlare, ma quando una collega e' entrata nella stanza, si e' precipitato fuori con una scusa facendomi sentire come se stessi partecipando a un complotto o a un'assemblea segreta. Quando lei e' uscita e' tornato:

- Capisci quanto e' grande dal fatto che i bianchi protestano. Ti rendi conto? Protestano anche i bianchi!

Lui dice che gia' prima doveva lavorare il doppio rispetto a un bianco e che c'era un presidente nero e si diceva che siamo tutti uguali, ma non era vero. Ora non si dice nemmeno piu'. Lui si aspetta il peggio.
L'unica cosa che mi sento di ricordare a me stessa e agli altri in questi momenti di sconforto e' che la maggior parte degli americani non ha votato per Trump. Piu' di meta' del paese e' nauseato dalla sua politica e dalle sue dichiarazioni e grazie a questo prima o poi le cose cambieranno anche se per adesso e' dura.

2 commenti:

Napee ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
pensierini ha detto...

Ciao, nonsisamai, è la prima volta che vengo qui, anche se leggo spesso i tuoi commenti altrove. Vivi a Dallas, leggo. Bel posticino, con gente aperta ed accogliente, non c'è che dire. Lo so bene perché la futura moglie di mio figlio ha insegnato per due anni - bilingue - ai messicanini, lì a Dallas. Ora è con lui nell'Upstate NY, e pensa sempre ai suoi ex alunni. Che Dio gliela mandi buona.