martedì 28 luglio 2020

ruby bridges a denver

      

Nel 1960 a New Orleans Ruby Bridges fu la prima bambina di colore a frequentare una scuola di bianchi. Si ritrovò in classe da sola perché tutti gli altri bambini vennero ritirati e attirò a tal punto le ire dei razzisti che fu costretta a entrare in classe per mesi accompagnata dalla polizia. I pochi filmati dell'epoca che documentano le offese che le venivano rivolte da adulti invasati dall'odio, sono rivoltanti. Ma Ruby Bridges è comunque cresciuta ed è diventata la splendida donna che vedete nella seconda immagine. È diventata un'insegnante, un'attivista, per me un eroe e un modello inarrivabile, ne ho scritto tante volte (qui e qui). Così quando all'improvviso mi sono trovata davanti quel video proiettato proprio accanto a
The Problem We All Live With è stato un colpo al cuore. Finalmente ho visto dal vivo questo quadro che è stato così importante per me, per la mia crescita, a cui sono legati così tanti momenti della mia vita. Un quadro che ho sempre esitato a mostrare in classe per via di quella parolaccia scritta sul muro, ma che Barak Obama ha avuto l'ardire di esporre alla Casa Bianca, appena fuori dallo Studio Ovale.

A quel punto, è successa una cosa al museo. Ho cominciato a piangere come una fontana rotta, l'emozione ha avuto la meglio. Speravo di non essere notata mentre sotto la mia maschera cadevano copiose le lacrime. Non piangevo così da tantissimo tempo. Mi sono tornati in mente i miei piccoli studenti, quella bambina che assomiglia tanto a Ruby e che dopo aver ascoltato la storia, decise di mandarle una lettera di ringraziamento, quell'altra che mi chiese perché i bianchi uccidono i marroni. Ho pensato ai bambini senza scuola per tutti questi mesi che ora rischiano la salute per tornare in classe e poi all'odio che ancora resiste immutato, le manifestazioni di questi ultimi mesi. Poco è cambiato, molto è cambiato dal 1960. Cercavo di non incrociare lo sguardo di nessuno, ma il guardiano della sala appena ha visto che mi allontanavo, mi ha chiamata e ha fatto il gesto dell'abbraccio. Ovviamente non poteva abbracciarmi, ma voleva dire...ti vedo. Poi abbiamo parlato un po' ed è stato bello.

2 commenti:

Federica ha detto...

Sai che non conoscevo questa storia... e questi USA che racconti tu e ci raccontano ora i media dopo la tragedia di George Floyd (e tanti altri) sono davvero un paese lontano dal nostro immaginario..

nonsisamai ha detto...

Ciao Federica. Concordo. Tante volte passano due messaggi all'esterno: il paese della democrazia e della libertà o il paese del razzismo e della violenza. Il problema è che sono vere entrambe le cose, la vita vera non si può mai incasellare con precisione e gli Stati Uniti in particolare sono pieni zeppi di contraddizioni. Per questo forse sono ancora qui dopo tutti questi anni, per il disperato bisogno di capirci qualcosa.