lunedì 28 maggio 2018

e le molestie verbali?

C'è una serie comica americana (non so quanto sia conosciuta in Italia e con che titolo) che si chiama Arrested Development. E' appena uscita la nuova stagione e il cast la sta promuovendo un po' ovunque come succede in questi casi, ma durante un'intervista al New York Times, la scorsa settimana, è successo qualcosa che di comico purtroppo non ha molto. L'attrice quasi ottantenne Jessica Walter che interpreta la madre di questa stramba famiglia, ha denunciato di essere stata molestata verbalmente dall'attore che fa suo marito, Jeffrey Tambor, non nuovo a questo tipo di accuse. La notizia ha tenuto banco per giorni qui perché è una serie storica molto amata e anche perché nel fare questa denuncia la Walter non ha ottenuto nessun sostegno dal resto del cast maschile. Al contrario Jason Bateman e gli altri attori hanno sminuito l'accaduto e giustificato Tambor. Hanno detto che il mondo dello spettacolo è pieno di grandi attori che fanno le bizze e in sostanza sono cose normali. La Walter ha spiegato fra le lacrime che non è così normale se in sessant'anni di carriera le è successo solo una volta, ma è stata difesa solo dall'altra attrice presente, gli uomini le hanno voltato le spalle. E internet è esploso. Il giorno dopo sono arrivate le scuse molto pubbliche e molto sentite a Jessica Walter da parte di tutti quelli coinvolti e il tour  promozionale è stato sospeso. 
All'inizio ho dovuto rileggere un paio di volte per essere sicura di avere capito bene. Questo scandalo è scoppiato per delle molestie non sessuali, ma verbali. 
Il tizio durante la lavorazione della serie ha ripetutamente urlato e umiliato la collega. Si tratta di un maltrattamento psicologico che i colleghi di sesso maschile hanno coperto e giustificato. 
Ecco, a me che sia scoppiato un caso per questo motivo sembra di una civiltà incredibile. 
Sui siti italiani in questi giorni ho letto commenti di odio profondo nei confronti di Asia Argento che ha denunciato il suo stupro a Cannes. I commenti che vedo sui siti americani sullo stesso avvenimento, sono per lo più di segno diametralmente opposto, viene lodata per il coraggio e ringraziata.  
Qui addirittura adesso si sta andando oltre le molestie sessuali, si comincia a stabilire che non è giusto in nessun caso trattare nessuno, soprattutto le donne, come pezze da piedi. Si comincia a mettere nero su bianco che avere talento o potere non ti dà nessun permesso speciale per calpestare la dignità e i sentimenti degli altri, anzi.
E come all'inizio del #metoo, i ricordi personali hanno cominciato ad affiorare. Piccoli abusi che mi hanno fatto soffrire, ma che non ho mai considerato tali perché la cultura era diversa. Ho sempre pensato fosse colpa mia, questo mi hanno fatto credere per tutta la vita.
La prima cosa che mi colpí della scuola Flanders fu che gli insegnanti parlavano a bassa voce. Ero cresciuta credendo che fosse normale che gli insegnanti urlassero. Alle elementari avevo avuto delle grosse difficoltà perché una delle maestre (che ricordo ancora con grande affetto per il resto) ti rimproverava ad alta voce quando facevi un errore e io non lo tolleravo e mi si fermava il cervello e piangevo come una fontana, nessuno mi aveva mai urlato a casa. Sono convinta che il mio rifiuto per la matematica sia nato da lì, ma mai nessuno ha preso le mie parti. Sono cresciuta convinta di essere debole, ero quella che piangeva. A mia madre la maestra diceva che ero troppo sensibile e che peccavo di amor proprio, ancora oggi lo ricordo come un piccolo grande dramma.   
Nel mondo del lavoro, il primo a tornare alla mente è stato una sorta di supervisore in quella che è ancora oggi una delle più famose gallerie d'arte di Milano. Cito un episodio fra tanti. Una mattina mi passò accanto e davanti a tutti mi fece togliere la collana che indossavo perché secondo lui non andava bene. Ogni giorno aveva qualcosa da ridire sull'abbigliamento, i capelli, la postura, però il ragazzo che lavorava con me poteva venire vestito come gli pareva. Era un omone sulla cinquantina, uno che intimidiva fisicamente, molto più grande, grosso e anziano di me, con uno sguardo leggermente strabico, mi pare di ricordare. Il giorno in cui osai lamentarmi, fece una scenata incredibile. Mi urlò contro con gli occhi di fuori e la saliva che gli usciva dalla bocca per la rabbia. Me ne andai sbattendo la porta. Avevo resistito un mese in quella gabbia di matti. Fu un'esperienza che per un po' mi buttò giù e mi segnò. Ero giovane, avevo paura che fosse normale e che sarebbe successo di nuovo. Il proprietario di questa galleria, il capo di questo losco personaggio, comunque era una donna e non era da meno in quanto ad arroganza. Chiamava le sue assistenti scimmie e stupide e nonostante tutto c'era la fila per lavorare con lei. C'era quest'idea diffusa, e forse c'è ancora, che se hai potere puoi e gli altri ti devono anche dire grazie. Del resto, ancora oggi viene invitato nelle varie trasmissioni uno come Sgarbi che ci ha costruito una carriera sull'abuso verbale e l'insulto gratuito. 
Mi fa molto piacere constatare che pian piano anche questo tabù stia cadendo e si cominci a dire ad alta voce che non si fa, che siamo persone civili e meritiamo di trattarci in maniera civile.  
Questo paese è così assurdo. C'è quest'ignoranza diffusa, il razzismo, il culto delle armi e tutto il resto, ma poi a volte ti sorprende con un balzo pazzesco in avanti. Nel bene e nel male, dopo tutti questi anni non smette di appassionarmi.

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