venerdì 5 novembre 2010

ricordo della questura di milano

In questi giorni, ovviamente anch’io ho letto spesso della Questura di Milano, della telefonata e tutto il resto e mi sono tornati in mente tanti bei ricordi. Gia’, perche’ alla questura di via Fatebenefratelli ci ho passato tanto di quel tempo che nonostante lo sforzo e’ impossibile rimuovere l’esperienza dalla memoria. A quei tempi Mr. Johnson, che aveva un datore di lavoro disposto a regolarizzare la sua posizione di immigrato stava cercando di ottenere un visto per lavorare in Italia e cosi’ siamo finiti in via Fatebenefratelli. Ricordo che la prima volta che andai li’ rimasi scioccata. Da italiana non avevo mai visto quell’aspetto del mio paese. Non ricordo a che ora normale aprissero gli uffici, ma ti dicevano di cominciare a metterti in coda alle quattro, cinque di mattina, anche d’inverno. In coda vedevi bambini, donne incinte, anziani, che magari una volta arrivati finalmente all’entrata venivano anche rimandati a casa perche’ non avevano qualche documento. L’interno era sporco, i bagni indecenti. Non si puo’ dire che gli impiegati in generale, ne’ i carabinieri fossero di grande aiuto o comprensione, nemmeno per le categorie piu’ deboli. Senza parlare dell’incompetenza. Sicuramene ci sara’ stato qualche ottimo professionista, ma non mi e’ mai capitato di incontrarlo. La freddezza delle forze dell’ordine spesso si sbriciolava momentaneamente di fronte a noi. Vuoi mettere un’italiana e un americano con tutti quei morti di fame? A volte ci dicevano di non preoccuparci che “di sicuro” per un americano con un datore di lavoro in Italia sarebbe stato molto piu’ facile. Informazione completamente errata.
Infatti, Mr. Johnson quel visto non l’ha mai ottenuto.
A quando una bella telefonata per aiutare tutti quegli immigrati allo stesso tempo? In fondo, sarebbe molto piu’ semplice che intervenire su ogni singolo “caso disperato”. Basterebbe in modo molto banale, ordinare di dare una ripulita e di trattare le persone in maniera un minimo piu’ civile.  

4 commenti:

Anonimo ha detto...

che schifo
comunque quando vai al consolato americano non e' che siano piu' carini. Aspetti all'aperto, in fila, a qualunque temperatura e quando entri a fare il colloquio dipende molto da chi incontri. C'e' il tizio gentile e c'e' quello odioso che ti guarda con odio a priori. Il mio colloquio per l'H1B fu ai limiti della legalita'. Un console cosi' stronzo non so dove lo avessero preso. E se ti manca un documento, ti rispediscono a casa. E per telefonare al consolato americano devi chiedere un mutuo - i costi al minuti sono altissimi. L'immigrazione a L.A. non e' che sia piu' simaptica, file disumane per i Visa holders e domande da terzo grado. Immagino che in Italia sia anche peggio, molto peggio. Ma con gli immigrati tutti hanno un rapporto conflittuale, ti trattano sempre come se stessi rubando un diritto a qualcun altro.
valescrive

Eleonora ha detto...

Sto leggendo molti libri e racconti di scrittori/scrittrici immigrati in Italia, soprattutto dalle ex colonie Italiane in Africa. Uno sguardo all'Italia, alle nostre leggi sull'immigrazione e alla nostra burocrazia, da parte di chi la subisce. Perchè subire è la parola chiave qui.
Se ti interessa l'argomento dai un'occhiata a Pecore Nere, sopratutto i racconti Documenti, prego e Concorso, di Ingy Mubiayi.

fabio r. ha detto...

ma tu non avevi un signore che telefonava per intercedere dicendo che eri - che so - la nipote di Bush...!

nonsisamai ha detto...

vale: "ti trattano sempre come se stessi rubando un diritto a qualcun altro". non mi e' successo personalmente, ma lo trovo molto vero.

elfonora: grazie, ci daro' un'occhiata!

fabio r: mio zio bill clinton in quel momento era un attimo occupato, altrimenti...